Conad/Auchan. Sogni, visioni, specchi e muri..

L’operazione Conad/Auchan esce dagli schemi classici di una necessaria ristrutturazione aziendale a seguito di una acquisizione. Pensare di condurla affrontandola in modo tradizionale può riservare amare sorprese a chi cerca scorciatoie.

Auchan non esiste più. Con il 31luglio ha chiuso. Sul campo 256 punti vendita e diciottomila dipendenti distribuiti in  più sedi. Conad (e qui sta il primo equivoco) non ha comprato l’universo di Auchan  Italia. Ritiene di aver acquisito dall’azienda francese 256 negozi distribuiti sull’intero territorio nazionale, Sicilia esclusa.

Il sogno almeno nella testa dei suoi leader è quello di costruire, nei modi e nei tempi possibili, un grande realtà italiana. Ma Conad è un consorzio di imprenditori radicati ciascuno nel proprio territorio. Non è un’azienda classica. Non basta aver un sogno e una visione per cambiare cultura e atteggiamenti in profondità. Il “ potere” sta saldamente in mano alle singole cooperative. L’impresa che aderisce al consorzio, ovunque sia collocata, vive all’interno di logiche precise. Le apprensioni dell’imprenditore, i rapporti diretti con i collaboratori, meritocratici anche se a volte ruvidi. La concorrenza delle altre insegne, le abitudini di acquisto e la scelte dei consumatori, l’offerta commerciale e i suoi costi (affitto, personale, ecc.) ne determinano il successo.

Ad oggi, solo un terzo circa del personale coinvolto lavora in PDV ex Auchan in sostanziale equilibrio.  Quindi stiamo parlando di una realtà che, prima di lasciare, era complessivamente al collasso. Pensare di affrontare e condurre un negoziato sindacale senza partire da queste premesse  porta subito fuori strada. Leggi tutto “Conad/Auchan. Sogni, visioni, specchi e muri..”

Conad/Auchan. Declinare per ritornare a crescere..

Purtroppo le aziende della Grande Distribuzione non sono simili al calcio. Non basta cambiare la proprietà o l’allenatore per avere immediatamente una svolta. L’ex Auchan oggi BDC (51% Conad 49% il finanziere Raffaele Mincione) nei mesi di Luglio e Agosto conferma il calo delle vendite.

Sono ripresi gli incontri con le OOSS e il quadro sembra delinearsi con ancora maggiore chiarezza. La posta in gioco resta altissima e perdere tempo non credo giovi a nessuno. Il sindacato di categoria si trova di fronte ad un nodo gordiano che però dovrà sciogliere, in un modo o nell’altro, in tempi ragionevolmente brevi.

Da una parte del tavolo un’azienda o meglio un insieme di imprenditori che, forte dei risultati ottenuti fino ad ora nel loro lavoro,  stanno gettando il cuore oltre l’ostacolo in un’operazione sicuramente  al limite delle capacità gestionali per chiunque. Dall’altra, un sindacato di categoria che non si è mai misurato con quella che, allo stato, resta una scommessa su cui si gioca la  credibilità e il prestigio fatti dal numero di persone coinvolte, dalle problematiche organizzative, costistiche e gestionali all’interno di un’operazione che vede una multinazionale, la sua cultura e tutto ciò che ha costruito nei suoi trent’anni di permanenza nel nostro Paese essere messi in discussione in pochi mesi.

C’è sicuramente la consapevolezza della gravità della situazione ma il riposizionamento comporta passi concreti e inevitabili anche sul costo del lavoro quindi sul livello degli organici, sulle loro condizioni contrattuali e sulle modalità di impiego. Operazione indispensabile ma non sufficiente senza un analogo intervento sui fornitori, sugli affitti e sui tempi di integrazione tra le reti. La necessità di operare in questa direzione mette, per il momento, in secondo piano altri interventi altrettanto necessari sulla sede e sulle altre strutture collegate. L’urgenza, come è naturale, è concentrata sulla rete. Leggi tutto “Conad/Auchan. Declinare per ritornare a crescere..”

Grande Distribuzione. Differenze e similitudini…

Come ho già avuto modo di scrivere auguro a Gérard Lavinay, CEO di Carrefour di venire a capo dei problemi della filiale italiana della multinazionale francese. In altri Paesi è già stata alzata  bandiera bianca (Giappone, Colombia, Svizzera, Grecia e ultimamente Cina). Una resa nel nostro Paese rappresenterebbe la seconda sconfitta sul nostro territorio per il gruppo transalpino. Le perdite di 900 milioni e rotti del triennio 2015/2017 non sono certo un buon viatico.

Dobbiamo augurarci che Alexandre Bompard CEO di Carrefour conceda a  Lavinay tutto il tempo necessario. E, soprattutto, che quest’ultimo capisca velocemente il male oscuro che attraversa la sua realtà. D’altra parte la resa di Auchan non aiuta.

Il modello Carrefour soffre della stessa centralizzazione decisionale e quindi della stessa lentezza di movimento. Prima dell’arrivo del nuovo CEO l’ossessione sul costo del lavoro e l’aggressività verso i fornitori sono state le due leve che hanno accompagnato tutti i tentativi di rilancio. E, purtroppo, quando le aziende della GDO entrano in questo loop non ne escono più.

Le acquisizioni hanno forse mascherato per anni quello che è il limite vero di queste realtà. Innanzitutto la gestione dei punti vendita e il loro rapporto con il contesto e, in secondo luogo, una struttura manageriale formata tradizionalmente e rigidamente orientata al controllo dei costi che si è in parte deprofessionalizzata nel tempo. La comunicazione è top down. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Differenze e similitudini…”

La qualità della rappresentanza e le proposte sul futuro di Milano…

Carlo Sangalli pensa giustamente ad agevolare la riuscita delle Olimpiadi del 2026 riproponendo il modello Expo che ha ben funzionato. Sono assolutamente convinto che fa bene (http://bit.ly/2H5zCRL). Trecento milioni di indotto in due settimane stimati dall’ufficio studi di Confcommercio non sono bruscolini ma, soprattutto sono l’occasione per consolidare il brand di Milano nel mondo.

Nel fare questo però sfugge al tema principale che dovrebbe essere al centro del riflessione della Confcommercio e della Camera di Commercio sul futuro di Milano. Secondo uno studio di McKinsey tra 15 anni due miliardi di persone vivranno nelle 600 maggiori città del mondo. Il 60% del PIL mondiale sarà prodotto in queste 600 città. Tra le principali 50 grandi città nel mondo solo 9 saranno in Europa occidentale e una sola in Italia. E questa sarà Milano.

Cosa significa parlare di periferie, di istruzione, di trasporti e di vivibilità in una città che espanderà necessariamente i suoi confini attuali in ogni direzione dovrebbe essere il punto centrale della riflessione. E questa manca. La stessa idea alla base delle Olimpiadi del 2026 tra Milano e Cortina va inevitabilmente  in una direzione che stravolge l’idea novecentesca di confini di un territorio. Per questo Torino ha sbagliato a chiamarsi fuori.

In quest’ottica, però, Milano non può porsi né in maniera provinciale né pensando di vivere ripiegata su se stessa. O sull’effetto Expo che, di per sé non è destinato a durare in eterno.  Deve sapersi aprire. Come ha recentemente sottolineato anche il Presidente di Assolombarda  la vera sfida del futuro non è tra Stati Nazione ma proprio tra territori. Leggi tutto “La qualità della rappresentanza e le proposte sul futuro di Milano…”

La RETE e i suoi buchi…

Si racconta che nell’ultimo avvicendamento alla guida di Rete Imprese Italia (Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti) Carlo Sangalli abbia cercato, tramite Il suo Segretario Generale Luigi Taranto, di bypassare il suo turno come Presidente adducendo la fatica dei troppi incarichi di cui sarebbe titolare.

Ovviamente nessuno lo ha assecondato. Le malelingue presenti hanno subito collegato la sua presunta stanchezza alla volontà di sottrarsi ai confronti previsti con il Governo sulla legge di stabilità prevista per l’autunno dove sarebbe stato necessario esporsi politicamente.  Cosa tutt’altro che gradita al Presidente di Confcommercio.

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Il terziario di mercato italiano e l’innovazione richiesta alla sua rappresentanza

Per cercare di capire meglio uno dei problemi principali della difficile affermazione/evoluzione del terziario di mercato nel nostro Paese può essere utile la metafora del bruco e della farfalla. La crisalide per trasformarsi in farfalla deve compiere, essa stessa, uno sforzo enorme. Ma è solo quello sforzo che permetterà alle sue ali di rafforzarsi consentendole così di completare il proprio ciclo vitale naturale.

Nel terziario di mercato questo processo naturale evolutivo non c’è ancora stato.  O meglio c’è stato solo in alcuni sotto settori.

Sul resto non si è mosso nulla di significativo perché rallentato nella crescita dalla presenza di una rappresentanza tradizionale modellata,  su quella parte della propria base, culturalmente più conservatrice e meno portata alla sfida dell’innovazione.

E così, come nel caso della crisalide, si è continuato ad intestardirsi nel ritenere sufficiente il mantenimento della titolarità del contratto nazionale per rappresentare le esigenze complessive del terziario in forza di una presunta  proprietà transitiva. Leggi tutto “Il terziario di mercato italiano e l’innovazione richiesta alla sua rappresentanza”

The Times They Are A-Changin’

Era il 1964 quando Bob Dylan cantava:”…se per voi il tempo ha qualche valore allora è tempo di cominciare a nuotare o affonderete come pietre perché i tempi stanno cambiando…”. Poco tempo dopo dal novembre del 1965 al dicembre 1966 si sviluppò una tra le  vertenze sindacali più difficili: il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. 11 mesi di negoziato. I tempi stavano cambiando anche da noi. A suo modo fu un contratto storico, forse il peggiore come risultati concreti. Era, però, per la prima volta, un piattaforma unitaria.

Leggendo la nuova piattaforma unitaria dei metalmeccanici (http://bit.ly/2YFcpfc) il pensiero, non mi spiego il perché, è andato immediatamente lì. Cinque punti chiave allora  (la famosa mano aperta ad indicare le cinque dita dei manifesti del 1966), sei oggi. 1) Relazioni industriali, diritti di partecipazione e politiche attive. 2) Contratto delle competenze, Inquadramento, Formazione. 3) Welfare Integrativo. 4) Ambiente, Salute e sicurezza sul lavoro. 5) orario. 6) Salario.

A prima vista può sembrare meno ambiziosa rispetto all’ultimo rinnovo in termini qualitativi. Ciò che non è stato fatto, anche per responsabilità delle imprese, ha pesato non poco. E si vede.

Ci sono, nel contratto in scadenza,  tre passaggi  che avrebbero permesso di accompagnare il lavoro che cambia e far fare un vero salto di qualità alle relazioni industriali del comparto: il diritto soggettivo alla formazione, la disponibilità a cominciare a mettere mano all’inquadramento professionale ormai obsoleto e l’individuazione del livello aziendale come elemento centrale della condivisione degli obiettivi di impresa e del riconoscimento del lavoro e della sua rappresentanza come soggetti attivi. Leggi tutto “The Times They Are A-Changin’”

Salario minimo. Ogni frutto ha la sua stagione

C’è qualcosa che non quadra nella discussione che frappone le parti sociali contrarie al salario minimo e i sostenitori dello stesso. Per questo fa bene Giuseppe Sabella a sottolinearne i limiti (https://bit.ly/2My2wNI). Non è più sufficiente, come pensano alcuni, ribadire la volontà di mantenere l’intera materia nelle mani della rappresentanza sociale ed economica senza però proporre un’idea condivisa di ciò che questo significa.

È vero che da un lato la contrattazione nazionale copre circa l’80% dei lavoratori dipendenti e che quindi il tema è semmai come tutelare  la quota mancante ma, il discorso quantitativo e apparentemente semplice, si scontra con quello qualitativo difficilmente risolvibile.

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L‘ ombelico e i corpi intermedi…

Un anno perso secondo Carlo Bonomi. Oggi, sul Foglio, ha scritto un articolo interessante e da leggere. Aggiungo un anno dove, però, praticamente  tutti sono stati a guardare. I movimenti sussultori nati nelle aree economiche del nord più sensibili sono stati capitalizzati da una parte del governo e impiegati nello scontro con l’altra parte. Così almeno dicono i risultati delle elezioni europee.

Flat tax, clausole IVA e salario minimo hanno, di fatto, narcotizzato le parti sociali. L’enfasi di quell’inutile cerimonia al Viminale dove ognuno ha recitato la sua parte in commedia a favore di telecamera ne è la dimostrazione plastica. È singolare come, tolto Maurizio Landini a nome dell’intero sindacalismo confederale e probabilmente perché nuovo a certe liturgie tutti gli altri si sono fatti strumentalizzare come dei principianti. 

L’incontro successivo con il Presidente del Consiglio  non ha avuto la stessa risonanza. Era scontato. Il punto è che nessuno dei partecipanti si è sentito parte di qualcosa di più utile e più importante per il Paese. Ciascuno era troppo preso a mostrare il proprio ombelico. C’è voluto Matteo Salvini per unirli intorno ad un tavolo  così come per mostrare a tutti quanti l’evidente afonia delle 43 associazioni in rapporto alla fase che stiamo attraversando.

Nessuno sembra aver capito né di essere stato strumentalizzato né di non essere in grado di ribadire alcunché se resta rinchiuso nel suo angolo. Al contrario entrambe le  piattaforme dei due partiti di governo sono chiarissime. Aggiungo che all’elettorato sembra non interessare affatto la loro praticabilità. Leggi tutto “L‘ ombelico e i corpi intermedi…”

Nelle operazioni di M&A occorre accettare la sfida del cambiamento. Nei fatti.

Ogni cambiamento è sbagliato.Se non è sbagliato si poteva fare meglio.Se al meglio, si poteva fare prima. Ma poi..erano ben altre le priorità.  J. B.

Per quanto si possa studiare e analizzare i dati da fuori, un’azienda resta un’incognita fino a quando quei dati non prendono forma, sembianze e profumo delle persone che li hanno generati. Spesso le operazioni di merger&acquisition incontrano difficoltà  proprio su questo.

Le aziende sono costruite su valori e culture differenti. Hanno tutte gli stessi obiettivi ma ancora prima dei loro modelli organizzativi, delle loro procedure amministrative, di business e di come rispondono al cliente prende forma un modo di essere che le contraddistingue nella loro vita quotidiana.

Ciascuna ha un suo “galateo” di riferimento, un modo di essere e di porsi nei rapporti interni, un modo di gestire responsabilità e compiti che la contraddistingue. Addirittura un proprio linguaggio. Se multinazionale (pur con le dovute eccezioni) le leadership inviate dalla casa madre nelle “colonie” assumono e pretendono atteggiamenti da provincia dell’impero propri del plenipotenziario di turno.

I meriti in genere vengono scippati, le colpe addebitate agli “indigeni”. Tutto questo crea quell’atteggiamento tipico definito degli studiosi della materia con il famoso “protect your ass” che contraddistingue le organizzazioni complesse. Riunioni infinite inutili e gremite di partecipanti, mail usate come armi improprie, reportistica da pubblico impiego, deresponsabilizzazione e tanti silenzi seguiti da improbabili quanto inutili “io l’avevo detto”.

L’azienda non è “solo” business. È un insieme di cultura specifica, modi di essere e di fare, riti e liturgie che tengono insieme una comunità di persone. Quando le cose vanno bene questi modelli chiusi ne amplificano il successo replicandolo in ogni situazione. Quando vanno male ne rallentano la cura.

Ma anche quando vanno bene, creano inevitabilmente le premesse per il loro insuccesso futuro. Le leadership non sono tutte uguali così come i contesti di business.  Quando il  professor Stefano Zamagni parla di “totalismo aziendale” si riferisce proprio a questa incapacità di andare oltre quella impostazione di presunta autosufficienza. Tutto questo da fuori non si vede. Spesso nemmeno dall’interno è percepito come un limite oggettivo che si frappone ad ogni  cambiamento necessario. Leggi tutto “Nelle operazioni di M&A occorre accettare la sfida del cambiamento. Nei fatti.”