Ipermercati da ripensare? E chi lo fa?

“Chi nasce tondo non può morire quadrato”. La saggezza dei proverbi non può non farci riflettere. Chi ha una certa forma mentale, una visione, un’esperienza consolidata, difficilmente le modificherà.

Secondo questa scuola di pensiero per il format IPER progettato negli ultimi cinquant’anni è game over. Nessuna speranza. Tutto ciò di cui parliamo oggi nasce dalle  interessanti riflessioni provocatorie di Bernard Trujillo che ha tracciato i principi base di quella che oggi chiamiamo ancora la moderna distribuzione organizzata. Lavorando per NCR e vendendo registratori di cassa è stato il primo che ne ha intuito l’applicazione pratica e quindi il potenziale per il commercio.

Alla faccia dei TED odierni, l’incipit dei suoi seminari ai CEO delle grandi imprese del settore di allora era la richiesta di un minuto di silenzio alla futura memoria di chi, pur presente in sala, non era affatto consapevole che, il mutamento dello scenario competitivo, lo avrebbe cancellato dal mercato. Rude ma efficace.

Il termine “ipermercato” (hypermarché) fu inventato da Jaques Pictet nel 1966. Il primo viene aperto in Francia nel 1963 a Sainte-Genevieve-des-Bois nella periferia sud di Parigi. L’insegna? Quella di Carrefour. In Francia il leader di mercato è, da sempre, E.Leclerc con circa 600 ipermercati seguito da Carrefour con circa 250 e Auchan con 150. Seguono poi altre insegne sempre con presenze rilavanti (Casino, intermarché Hiper, Hiper U e Cora).

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Grande Distribuzione. Il gong è suonato. La vera partita è iniziata…

Nel tennis si parlerebbe di un Ace favoloso quello portato a termine da Conad con l’acquisizione di Auchan. E’ una mossa intelligente e ben calcolata di un gruppo di imprenditori poco conosciuti ma nient’affatto sprovveduti. L’Italia, fortunatamente ne è ricca. Nella crisi della GDO e dei suoi formati hanno intravisto una grande opportunità di business. Hanno un ottimo direttore d’orchestra in Francesco Pugliese che ne esprime la sintesi perfetta ma dietro c’è la sostanza di chi vive tutti i giorni nei punti vendita. Imprenditori che volano basso stimati dai collaboratori e attenti alle esigenze dei consumatori.

C’è chi dice che Auchan non vedeva l’ora di andarsene da nostro Paese. Può anche essere però occorre  prendere atto che un’imprenditore francese abituato ad imporre il suo gioco alza le mani, sconfitto, dopo trent’anni di presidio del mercato italiano per sue precise responsabilità mentre oltre duemila piccoli dettaglianti italiani scommettono, attraverso le loro sei cooperative,  sulla loro capacità di intervento. E si rimboccano le maniche.

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Grande Distribuzione tra Auchan e Conad una sfida per veri imprenditori

In un bellissimo film del 1966 “La battaglia di Algeri” in un passaggio importante un leader del FNL, parlando con La Pointe, avverte il giovane ” che la lotta rivoluzionaria è difficile, vincere è  ancora più difficile ma, solo dopo la vittoria, iniziano le vere difficoltà”. Mi è ritornato alla mente oggi mentre ho inviato  i miei complimenti a Francesco Pugliese AD di Conad.

E’ una operazione di grande profilo economico e sociale che mira a cambiare i pesi nella Grande Distribuzione italiana. Oggi, finalmente, abbiamo un player nazionale che mette insieme capacità imprenditoriali diffuse in tutto il territorio con una visione strategica importante. E’ l’affermazione di un modello di piccola impresa che pensa in grande perché sa mettersi insieme e riconoscersi in qualcosa che va oltre il proprio territorio ma che lo rispetta e lo conosce a fondo.

Francesco Pugliese, insieme ad Aldo Bonomi, hanno scritto un libro importante: “Tessiture sociali”. Un libro che  dà senso e contenuto allo slogan “Persone oltre le cose”. Uno slogan che poteva apparire forzato, fuori misura, forse un po’ datato. E’ esattamente il contrario. Rappresenta la consapevolezza che non esiste una impresa che non sa fare i conti con il territorio nel quale interagisce, che non ne rispetta i valori e la cultura. Che non sa mettersi in ascolto di ciò che si manifesta al suo interno. E’ riscoprire che nel commercio, grande o piccolo, multinazionale o locale si vince se si parte da lì.

Poi vengono le promozioni, l’efficienza, le strategie commerciali. Quel libro parla di un grande viaggio nei territori, proprio alla loro scoperta.  E da quella esperienza, che si ripete ogni giorno, che trae energia chi opera nel territorio.Le multinazionali del settore hanno cercato in tutti i modi altre vie. Leggi tutto “Grande Distribuzione tra Auchan e Conad una sfida per veri imprenditori”

La rappresentanza del terziario innovativo tra vecchie rendite di posizione e nuove sfide

La conclusione dell’ultima tornata dei rinnovi contrattuali nel terziario di mercato segnala la necessità di una urgente riflessione a 360°. Innanzitutto occorre sottolineare che le parti contraenti più importanti hanno provocato, più o meno consapevolmente, una forte discontinuità rispetto alla situazione precedente: i dipendenti dei settori dei Pubblici esercizi, della Ristorazione e del Turismo hanno lasciato il contratto nazionale fino ad allora condiviso  con Federalberghi così come  Federdistribuzione che si è firmata un suo contratto.

La stessa Confesercenti ha ottenuto modifiche economiche al testo di Confcommercio costringendo quest’ultima a chiedere uno sconto ai sindacati di categoria. Infine Coop da sempre prodiga in fase di rinnovo ha ottenuto un risultato economico a cui Federdistribuzione ha reagito malissimo. Che dire.

Oltre ai contratti pirata che nel terziario raggiungono numeri significativi  la stessa  contrattazione tra i soggetti più rappresentativi si è tradotta in una gara al ribasso infinito che ha avuto come epicentro il solo commercio e che ha lasciato alla finestra tutte le tematiche di innovazione e di cambiamento.

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Lavoro povero, salario minimo e contrattazione nazionale.

L’ultima posizione del Governo giallo verde sembrerebbe sintetizzata nella proposta di riservare il salario minimo ”solo dove oggi non esiste la contrattazione, cioè in aree residuali, mentre dove essa c’è non si potrebbe abbandonarla per rifugiarsi nel minimo di legge» e, secondo Luigi Sbarra della CISL, anche in caso di disdetta del contratto, ne resterebbe in vigore il «trattamento economico complessivo». Facile a dirsi, difficile a farsi. Impossibile da sanzionare.

Un contratto nazionale non è solo il minimo tabellare concordato. Welfare, tutele, diritti, doveri e indennità di varia natura lo completano e ne determinano il costo complessivo. Tutto questo, insieme ai contributi fiscali e previdenziali e ad altri costi indotti confluiscono nel costo del lavoro. Già applicando un qualsivoglia contratto nazionale di lavoro i costi per le imprese non sono uguali per tutti. Solo il salario da corrispondere lo è. E poco altro. Il resto è materia da tribunali.

Aggiungo che un contratto di lavoro può essere disdettato comunque. E’ sufficiente un congruo anticipo.  Vale a tutti i livelli. Nazionale, aziendale e territoriale. Nei sottosettori “poveri”, nelle realtà legate ad appalti o in crisi una disdetta di una  singola impresa comporterebbe un immediato effetto domino. 

Prendiamo, ad esempio, il caso del contratto del commercio. Da un lato esistono i cosiddetti contratti pirata facili da individuare e da eliminare. Sono l’obiettivo di Tiziano Treu. Da un altro lato, però,  esistono i contratti in dumping firmati dai sindacati confederali con le organizzazioni datoriali più rappresentative. Una sorta di “pirateria legalizzata” e concordata tra soggetti, a loro dire, assolutamente  rappresentativi. Leggi tutto “Lavoro povero, salario minimo e contrattazione nazionale.”

È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)

Nel comizio del primo maggio a Bologna, Maurizio Landini,  il dirigente sindacale proveniente dalla federazione più ortodossa e meno unitaria del comparto industriale italiano ha rilanciato sul tema sostenendo che non ci sono più le ragioni politiche e quindi organizzative che rendevano improponibile l’unità sindacale.

Ha addebitato forse un po’ frettolosamente tutte le responsabilità alle vecchie culture novecentesche, oggi in crisi di identità ma ha omesso, però,  per ragioni del tutto comprensibili, che la deriva identitaria, percorsa consapevolmente da tutte e tre le organizzazioni confederali, ha avuto e continua ad avere anche robuste ragioni interne che alimentano le ragioni delle divisioni.

Savino Pezzotta, pur ritenendo importante la ripresa del dibattito sul tema,  sottolinea dove sta il problema dell’unità sindacale :”Il tema centrale che oggi si pone in modo nuovo e quello di una radicalizzazione del concetto di autonomia che va ripensata come capacità di espressione di una politicità culturale, valoriale, etica e sociale e non solo come distanza e separazione dalle forze politiche.”

Lo stesso Marco Bentivogli, sollecitato recentemente sul tema non si è certo sottratto: ”Immagino un sindacato che vada oltre l’ideologia che sappia tenere insieme alla protesta la proposta, l’emergenza ma soprattutto la prospettiva, un sindacato che guardi all’innovazione non come un nemico da combattere ma come una terreno di sfida su cui costruire nuovi diritti, capace di immaginare l’esercizio della rappresentanza anche attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Prima dell’unità dobbiamo riconquistare una buona reputazione per candidarci ad essere un soggetto di rappresentanza vera, costruire una forma organizzativa in grado di raccogliere le persone di oggi, non limitarci a una banale riedizione di forme organizzative del passato, che magari funzionavano bene quarant’anni fa ma non più oggi.” Leggi tutto “È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)”

Domeniche, fatturati e occupazione nella Grande Distribuzione

L’occupazione e i fatturati nella Grande Distribuzione in senso lato, dalle liberalizzazioni montiane ad oggi, sono aumentati. Chi dice il contrario non sa di cosa parla. Sembrerebbe logico affermarlo ma così non è, ad esempio, per una parte dei  sindacati di categoria che, ciclicamente, elencano dati assolutamente strumentali per poter tentare di sostenere la tesi abolizionista.

Innanzitutto non va sottovalutato che, la loro difficoltà di lettura del contesto è data dalla conoscenza parziale del comparto complessivo (circa 200 mila occupati su un bacino di oltre 600 mila compreso l’indotto in termini di industria, servizi, piccoli imprenditori, trasporti e logistica). E ovviamente questa tesi è avallata da tutti coloro che pensano che un ritorno al passato sia auspicabile e magari senza alcun costo per gli occupati. Dovrebbe essere sufficiente  la matematica per smontare le semplificazioni sui numeri del  lavoro domenicale e festivo ma per ulteriore chiarezza ritorniamo di nuovo sull’argomento.

I due Decreti del Governo Monti, ormai noti come salva-Italia e cresci-Italia (D.l. 201/2011, convertito nella Legge 214/2011; D.l. 1/2012, convertito nella Legge 27/2012), hanno introdotto elementi forti di liberalizzazione nel settore del commercio.  Il provvedimento di allora è importante anche perché ha messo in discussione le normative regionali sul commercio emanate nei dieci anni precedenti. Il salva-Italia, che è intervenuto sulla regolamentazione che si applica alla generalità delle imprese commerciali, ha così affrontato in modo radicale il tema della liberalizzazione.

I residui vincoli che limitavano la concorrenza, quelli rimasti dopo gli interventi, prima, della riforma del settore del 1998 e, poi, per effetto del D.Lgs. Bersani del 2006, sono stati eliminati. Da quella data e in forza di quei provvedimenti legislativi gli ingenti investimenti hanno interessato quasi tutti i settori che fanno riferimento a quella che, genericamente, viene chiamata Grande Distribuzione. Leggi tutto “Domeniche, fatturati e occupazione nella Grande Distribuzione”

Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.

A mio modesto parere il sindacato confederale ha sbagliato a non cogliere l’opportunità. Ha preferito riproporre una cerimonia nel solco della tradizione. I segnali provenienti dal mondo delle imprese non sono stati colti. Sfumature diverse ma risultato identico.

Le imprese non possono partecipare ai festeggiamenti del primo maggio. L’unica concessione viene da Annamaria Furlan segretaria generale della CISL con un generico: “..per il momento”. Credo sia un errore. La mano tesa è stata sostanzialmente respinta al mittente.

Tra l’altro il primo maggio non è la prima “festa” che viene in qualche modo sottratta all’esclusiva. E’ già successo con il 25 aprile e con l’8 marzo. Una parte ha dovuto rendersi conto che senza un coinvolgimento e una responsabilità condivisa di ciò che quelle feste rappresentano si rischiava di perderne il significato profondo e trasformarle in liturgie che non avrebbero retto il tempo. Vengano pure gli imprenditori emiliani al corteo senza però farsi notare troppo. Sul palco però no.

Un dato è certo e non va sottovalutato: il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici ha segnato una svolta. Non coglierlo è un errore. Da una cultura sostanzialmente fordista le imprese del settore hanno fatto un passo avanti importante. Si può giudicarlo insufficiente, modesto, irrilevante ma quel passo c’è stato. Le persone sono tornate al centro delle loro imprese. Leggi tutto “Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.”

Le difficoltà di rinnovamento del sindacalismo confederale

Oggi Ferruccio De Bortoli rilancia un tema quanto mai attuale sulla necessità di un rinnovato ruolo dei corpi intermedi con un focus sul sindacalismo confederale ( http://bit.ly/2DDtC10 ). Indubbiamente ha ragione. Il peso specifico nelle imprese e nella società è ai minimi storici e non certo per responsabilità della politica.

Tutte le indagini sul campo sono lì a dimostrare che c’è una crisi di strategia ma anche di credibilità complessiva. Non mancano però gli esempi virtuosi come ammette lo stesso De Bortoli che sembrerebbero indicare una via percorribile, innovativa e in grado di riportare entusiasmo, convinzione e determinazione elementi indispensabili per percorrere strade nuove.

Caratteristiche queste ben presenti in alcune categorie della CISL e della UIL ma anche della stessa CGIL. Non c’è solo la FIM CISL che è sotto i riflettori costantemente per il dinamismo del suo segretario generale Marco Bentivogli. Ci sono segnali importanti anche nei chimici, nello stesso sindacato agroindustriale e in altri comparti che conosco meno a che però sono lì a dimostrare che c’è una ripresa positiva di ruolo e di interesse nei confronti del sindacalismo confederale. Lo dimostrano la qualità degli accordi sottoscritti che resta una delle modalità più concrete per valutare la qualità  dei gruppi dirigenti.

Certo c’è ancora un affanno strategico nelle confederazioni. Un po’ perché l’elezione di Maurizio Landini è appena avvenuta e, per ora, non ha prodotto alcun effetto misurabile sulle politiche confederali unitarie. La CISL e la UIL avrebbero parecchie carte da giocare sul terreno dell’innovazione sociale ma, per il momento, non sembrano interessate ad imporre alcuna accelerazione nel confronto con la CGIL. Leggi tutto “Le difficoltà di rinnovamento del sindacalismo confederale”

Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…

C’è un destino che, purtroppo, le accumuna. UPIM, Standa, Rinascente, Sma, GS, All’Onestà hanno costituito per certi versi la spina dorsale del consumismo popolare post bellico. L’agonia è durata quello che poteva durare. Un declino inevitabile da cui si sono salvati in pochi.

Oggi solo UPIM, qualche ex GS, grazie ad un management che nel tempo gli ha cambiato i connotati e Rinascente grazie a all’ubicazione principale  in piazza Duomo a Milano e all’intuizione che l’ha trasformata in un contenitore di alto livello per grandi marche. Ma nulla a che vedere con l’identità di perimetro.

Per le altre non sono serviti i continui passaggi di mano, i piani di ristrutturazione infiniti, i tagli dei costi, gli interventi sulla quantità e qualità del personale. Non dimentichiamo che la cassa integrazione, concepita inizialmente  per l’industria, entra nel commercio e nel terziario attraverso le vicende che hanno coinvolto, a suo tempo, Standa. Certo, numerose catene e punti vendita, piccoli o grandi, sono stati ceduti e hanno ritrovato la loro ragion d’essere sotto altre insegne. Per queste, no. Un male oscuro sembra averne contraddistinto il declino.

Adesso tocca a SMA. Troppo piccola e diffusa territorialmente per costituire un ponte di rilancio alla presenza di Auchan nei negozi di vicinato, peraltro già in pesante crisi su altri formati, troppo complessa sul piano gestionale, logistico e organizzativo per interessare, nella sua interezza un unico soggetto, priva di un’identità specifica spendibile sul mercato. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…”