Reddito di cittadinanza e lavoro invisibile. Una miscela esplosiva.

La vicenda che ha coinvolto il padre del Ministro Di Maio avrebbe dovuto aprire un dibattito vero sul tema del lavoro nero in Italia e nel Sud in particolare. Purtroppo è rimasto confinato alla lotta politica in corso tra maggioranza e opposizione. E quindi si è trasformata in un’inutile contrapposizione sui rispettivi padri.

Non si è colto un tema che, al contrario, è centrale se si vuole parlare di lavoro, fisco, previdenza e dumping tra imprese grandi e piccole. Girarsi dall’altra parte serve a poco. Così come negare l’evidenza. In molti casi per una piccola impresa o per una famiglia l’alternativa non è se assumere una persona in nero o in regola. L’alternativa è tra assumere in nero o non assumere. Purtroppo.

Una badante per una famiglia di ceto medio basso spesso è una necessità irrinunciabile ma anche un problema. Basterebbe farsi raccontare dagli uffici vertenze del sindacato come finiscono i rapporti di lavoro costruiti sulla stretta di mano o sul passa parola.

Il reddito di cittadinanza, è meglio saperlo,  aggraverà questa situazione. Così come la cassa integrazione straordinaria aveva creato negli anni 80 un mercato parallelo di lattonieri, carrozzieri, meccanici, imbianchini, piastrellisti, ecc. dediti ad un lavoro nero utile ad integrare il loro reddito e a far risparmiare chi vi si rivolgeva. Leggi tutto “Reddito di cittadinanza e lavoro invisibile. Una miscela esplosiva.”

I Cobas contro Marco Bentivogli. Coincidenze pericolose.

Con una tempestività perlomeno singolare  all’articolo di Simone Fana (https://jacobinitalia.it/marco-bentivogli-il-sindacalista-che-piace-alle-imprese/) contro Marco Bentivogli è seguito l’attacco  da parte dei Cobas in coda all’incontro con FCA.

Bentivogli è certamente un sindacalista atipico. Dice sempre quello che pensa. Non solo sui giornali o nelle interviste. Lo spiega nelle assemblee davanti ai lavoratori con cui  condivide le vertenze. Prima, durante e dopo. Le vive come ogni sindacalista dovrebbe viverle. Con una intensità simile a chi, da quelle vertenze, può vedersi stravolta la vita, i propri progetti per il futuro, la dignità e il senso del proprio lavoro.

Non c’è nulla di ideologico in tutto questo. C’è solo l’amore per il proprio lavoro e la convinzione che si vince o si perde tutti insieme. E la sconfitta non è mai una piacevole compagna di strada.  Nel suo pensare e nel suo agire c’è sempre un desiderio di essere utile, propositivo, di individuare una soluzione più che credere nella lotta in sé.

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A ciascuno il suo Rubicone…

Trovo molto interessante gli spunti contenuti nell’articolo di Venanzio Postiglione sulle attese (deluse) del nord sul Corriere di oggi. Un nord che intorno alle insegne del Partito del PIL cerca di segnalare un disagio profondo, palpabile e foriero di sviluppi oggi ancora imprevedibili.

E’ il contrario del popolo delle campagne della Brexit inglese o dei gilet gialli francesi. In Italia il disagio sta crescendo nei vagoni di testa più che da quelli in coda al treno. E questo le elezioni  politiche del marzo scorso non lo avevano segnalato con forza. Anzi.

Mentre il disagio sociale, le disuguaglianze, le promesse mancate assegnavano ai 5S la delega politica in antitesi a chi aveva governato fino ad allora,  solo una parte modesta dell’elettorato riconosceva alla Lega la rappresentanza di quella parte del Paese che non ha affatto voglia di decrescere. In pochi mesi, però, lo scenario politico e sociale è cambiato.

I 5S, sempre più paralizzati dalle loro nicchie ideologiche di riferimento, stanno faticando a competere con Salvini e questo li ha costretti a “territorializzare” con maggiore radicalità i loro princìpi. Il reddito di cittadinanza ne è un esempio evidente ma anche i tentativi della ministra per il Sud, Barbara Lezzi di recuperare ruolo ed immagine vagheggiando improbabili riequilibri di risorse a favore de mezzogiorno.

Salvini d’altra parte sembra voler confermare un disegno nazionale per la sua Lega. Sa che può farcela ma ha ancora bisogno di tempo. Le elezioni europee sono alle porte e solo lì il peso effettivo nella coalizione verrà certificato. Così come quello di chi è all’opposizione. Quello, credo, sia il vero Rubicone da attraversare per Salvini.

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Grande distribuzione. Il contratto lo porterà Babbo Natale…

Questa sembra essere  la volta buona. Gli sherpa dei sindacati Fisascat Cisl, Filcams Cgil, Uiltucs UIL e di Federdistribuzione sono al lavoro sotto traccia per limare le ultime divergenze e per poter arrivare al confronto finale. Forse, prima di Natale avremo il quarto contratto applicabile alle imprese della  Grande Distribuzione.

Al di là di ciò che si potrebbe pensare,  la situazione di oggi richiede comunque uno scatto in avanti. La pressione sul settore è fortissima. Una parte del Governo ha dimostrato ampiamente di voler “aggredire” la GDO su più versanti. Sul lavoro (qualità, quantità e sua distribuzione) i 5S hanno purtroppo assunto la posizione dei Cobas. Sulle domeniche e sulle festività prevale, nella migliore delle ipotesi una visione passatista. 

Dario di Vico ne ha tratto una valutazione assolutamente condivisibile quando afferma che ”l’impressione è che il Ministro Luigi Di Maio non abbia intenzione di cogliere la complessità di queste trasformazioni e usi l’argomento delle chiusure festive come una facile “reductio ad unum” dei problemi del settore.”

E questo senza considerare che sembra esserci una grave sottovalutazione dell’importanza e dell’evoluzione di  luoghi dedicati ai consumi ma anche all’intrattenimento e al divertimento di massa.

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Nero come un venerdì…

A Filadelfia sostengono che il nome “Black Friday” derivi dal traffico causato quel giorno per le vendite straordinarie, altri sostengono che è il momento nel quale le vendite fanno un balzo in avanti lasciando il rosso delle perdite per il nero dell’attivo per i negozianti. In ogni caso è un nero che, stando ai dati, fa bene all’economia americana.

I consumatori italiani meno ossessionati si erano ormai abituati ai tranquilli saldi post natalizi. Un giro per le vetrine prima di Natale, soprattutto nelle città,  con l’acquisto rimandato a dopo le feste. Così come i commercianti che, salvate le vendite prenatalizie svuotavano con maggiore tranquillità le vetrine e, a volte, i loro magazzini dell’inveduto.

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Lavoro festivo e domenicale. Non scherziamo con il fuoco….

E’ di pochi giorni fa la notizia che BCPartners ha preferito congelare le procedure di vendita dell’azienda Old Wild West (http://bit.ly/2DrAH5j) per la poca chiarezza sul tema delle aperture domenicali. E’ vero. Fino ad oggi si è parlato prevalentemente della GDO e delle conseguenze negative che potrebbero verificarsi.

Non si è parlato abbastanza di chi vive di aperture domenicali. Ad esempio dei bar e dei ristoranti dei centri commerciali, di tutte le attività collaterali e dell’indotto. Decine di migliaia di piccoli imprenditori, artigiani, lavoratori, professionisti che nelle domeniche e nelle festività svolgono una parte importante del loro lavoro.

Per i 5s tutto questo non esiste; esistono solo quelli che loro ritengono lavoratori sfruttati. Ancora una volta la loro attenzione sembra essere sollecitata solo da un punto di vista. Il loro. E’ chiaro che ci sono lavoratori che non vorrebbero lavorare la domenica o nelle festività o che vorrebbero essere pagati di più. Così come è altrettanto chiaro che alcune di queste attività potrebbero essere distribuite nell’arco della settimana.

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La nuova politica tra scontri, assestamenti e prospettive

Ha ragione Mario Sechi quando sostiene che il sistema politico sta attraversando una fase di assestamento dagli esiti ancora incerti. Probabilmente occorreranno più appuntamenti elettorali per potersi confermare definitivamente.

Il risultato elettorale del 4 marzo è stato però uno spartiacque fondamentale. Nulla sarà più come prima. Inutile illudersi che sia sufficiente mettere in piedi la replica 4.0 della  “gioiosa macchina da guerra” comunque attrezzata. Il cammino sarà lungo.

Troppe esigenze di protagonismi personali non in grado di ricucire il rancore che comunque si è riversato sull’establishment, sul passato e sul centro sinistra individuati come responsabili principali della situazione attuale per la maggioranza dell’elettorato. Idee e facce nuove necessitano però di tempo.

E questo spingerà la parte produttiva del Paese ad incalzare chi, nel Governo, è meno lontano da loro. Molti nella Lega lo hanno già capito e, su certe partite si stanno già riposizionando rendendo problematica  la convivenza con i 5s. Leggi tutto “La nuova politica tra scontri, assestamenti e prospettive”

COBAS, CODACONS e compagnia cantante…

E’ un interessante interrogativo su cui riflettere quello che ci propone Dario Di Vico (http://bit.ly/2Pj8dBd) sul Corriere di oggi. E’ il primo sciopero della storia che accompagna e sfida il Governo sul suo terreno. O almeno una sua componente importante.

Lo invita a non essere timido, lo incita ad andare sino in fondo. Ne interpreta i sentimenti profondi e ne rivendica le teorie più ardite propugnate dai suoi consulenti. COBAS e CODACONS rappresentano due delle numerose  constituency alla base del successo del Movimento.

Sono entrambi un modello di organizzazione sociale di estremizzazione del malcontento collettivo e individuale che ha trovato nel movimento una sponda concreta. E così mentre il CODACONS si è assunto il compito di lanciare campagne che nascono e muoiono nel mondo della comunicazione mordi e fuggi, i COBAS, oggi, rilanciano uno strumento antico e desueto, lo sciopero del venerdì, per ribadire e rilanciare la primogenitura sui contenuti.

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In ricordo dell’amica Jole Vernola…

L’ultima volta che l’ho incontrata è stato in ospedale. Poche ore prima che entrasse in coma. Non voleva vedere nessuno salvo la mamma e Francesco Rivolta. Di fatto un padre, un amico che l’ha vista crescere, ne ha apprezzato le doti e l’entusiasmo e l’ha accompagnata come nessun altro in tutto questo tragico percorso finale. 

Non voleva vedere nessuno. Soprattutto nelle ultime settimane.

Con me Jole ha fatto un’eccezione perché mi voleva bene e sapeva quanto ci tenevo a portarle un ultimo saluto. A guardarla negli occhi. 

Era una persona fuori dal comune. Ci siamo conosciuti tanti anni fa quando lavoravo in Standa, poi in Federdistribuzione e, infine, in Confcommercio. Mi considerava una sorta di fratello maggiore. Da quando mi ero trasferito definitivamente a Milano mi chiamava ogni venerdì pomeriggio per scambiare opinioni. Un appuntamento fisso. Il tema del lavoro, della contrattazione e dei problemi delle imprese  ha sempre appassionato entrambi.

La ragione vera delle sue telefonate però era per chiedermi se, a mio parere, i suoi atteggiamenti giudicati a volte  troppo ruvidi da molti, fossero sbagliati. Se le davo torto cercava di convincermi delle sue buone ragioni. Ci teneva al mio parere.

Sentivo che mi voleva bene. Un sentimento contraccambiato. Cercavo di esserne all’altezza.

In qualunque situazione si trovasse Jole non lasciava nulla al caso. Studiava, leggeva, si preparava. Era difficilissimo tenerle testa. Profondamente convinta e sempre in buona fede, indossava la maglia dell’organizzazione che rappresentava in quel momento con una determinazione  fuori dal comune.

Pretendeva da tutti ciò che imponeva a se stessa. Totale impegno e dedizione alla causa individuata. Amava concentrarsi sui dettagli. Era impossibile spingerla ad accettare soluzioni ambigue tipiche di un certo mondo non solo sul versante sindacale. Le norme dovevano essere sempre chiare ed esigibili. Per tutti. Chiarezza e comportamenti li pretendeva dalla aziende ma anche dalla sua organizzazione. Non amava le furbizie e le indecisioni. Ovunque e comunque  perpretati.

In un contesto organizzativo che non ha mai dato al tema del lavoro l’importanza che avrebbe meritato è riuscita ad ottenere e imporre risultati eccezionali. Trovarsela di fronte nei negoziati nazionali per i sindacalisti del comparto del terziario ha sempre rappresentato una esperienza indimenticabile come ricordano i migliori tra loro.

Stimava l’interlocutore intelligente, disistimava e non lo nascondeva gli interlocutori  superficiali o impreparati.

La Confcommercio perde una grande professionista.

Per me se ne è andata un’amica. In questo momento penso solo alla madre anziana e al fratello che è rimasto vittima di un gravissimo incidente qualche anno fa. A quello che Jole rappresentava per loro. E all’amore di Jole nei loro confronti.

Penso ai pochi giorni che abbiamo passato insieme in vacanza con le rispettive famiglie, penso ai momenti sereni, al suo sorriso. Al giorno che si è accorta del male che l’aveva colpita. Alle lacrime  trattenute. A come ha gestito con grande dignità e consapevolezza la sua malattia. Al bacio che ha cercato di darmi poco prima di mancare dalla poltrona in cui era inchiodata da mesi. E al fatto che, non riuscendoci,   mi ha guardato, spostando con grande fatica la maschera dell’ossigeno  biascicando le parole: “Mario, non ci riesco.  Però  fai come se te lo avessi dato”.

Questa era Jole.

Non riuscendo a fare ciò che per lei era importante in quel momento doveva comunque darmi una spiegazione. Come nei nostri venerdì. Adesso se n’è andata. Per sempre. Mancherà a tutti. A me moltissimo.

Cara amica mia, che la terra ti sia lieve.

Ich bin Mailänder….

Sta venendo giù tutto. Era evidente fin dall’inizio che l’alleanza giallo verde non ci avrebbe portato da nessuna parte. Adesso rischiamo di essere veramente vicini all’orlo del burrone.  In questi mesi siamo stati accompagnati dal silenzio assordante dei corpi intermedi rimasti sostanzialmente al palo annichiliti dal risultato elettorale.

Soprattutto dal persistere di una campagna elettorale continua che si nutre di un rapporto diretto tra eletti e popolo. C’è stato chi ha tentato di sollevare interrogativi preoccupati o ha cercato di smarcarsi, ma tutto è sembrato inadeguato alla nuova situazione. Le organizzazioni di rappresentanza non sono riuscite a trovare un punto comune sul quale esercitare la loro responsabilità e il loro ruolo.

Nei giorni scorsi, però è successo qualcosa di nuovo. E non poteva che provenire da Milano. Un appello accorato, argomentato e coinvolgente si è levato dagli imprenditori milanesi. Carlo Bonomi, Presidente di Assolombarda ha rotto gli indugi e ha buttato il cuore oltre l’ostacolo. Un discorso semplice ed efficace. Un discorso “milanese” (http://bit.ly/2EwFC72 ) nel senso che si inserisce in un filone che dall’Expo in avanti ha caratterizzato l’ agire di questa città, delle sue istituzioni, della regione nella quale è inserita e di una politica portata avanti all’interno di una visione che sa mettere sempre il primo piano il bene comune. E quindi anche dell’insieme delle organizzazioni di rappresentanza.

Difficile inquadrare quelle parole nelle dinamiche politiche che vedono protagonisti i partiti di Governo e di opposizione. Milano non gioca quella partita. Non ne è interessata. “Sentirsi protagonisti del proprio futuro”. Non credo che uno slogan possa essere più efficace soprattutto di questi tempi. Leggi tutto “Ich bin Mailänder….”