Carrefour. Una riorganizzazione sempre più glocal…

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Sono convinto che i vertici di Carrefour (non solo in Italia) abbiano dedicato più di una riunione di approfondimento alla gestione e al rapido epilogo  della vicenda Conad/Auchan. Soprattutto sulla “dissoluzione” della sede centrale di Assago realizzata senza eccessivi contraccolpi sindacali né mediatici.

L’architettura concordata dai francesi per lasciare in silenzio il nostro Paese salvaguardando le restanti attività sul  territorio  senza particolari contraccolpi si è dimostrata azzeccata.

Se Auchan fosse stata costretta a gestire la ritirata in prima persona avrebbe subito un costo molto più alto sia economico che di immagine. E, probabilmente, sarebbe ancora inchiodata tra costi fuori controllo, scaffali semi vuoti, clienti in fuga impossibili da recuperare, blocco dei licenziamenti, accuse e contro accuse sia in Italia che in Francia, probabilmente costretta a cedere a condizioni molto più pesanti e nell’ignominia generale.

Comprendere questo significa comprendere il ruolo complessivamente positivo che ha avuto Conad nella vicenda, la complessità stessa di un’operazione contemporaneamente di crescita aziendale e di salvataggio di una realtà ormai finita, le alleanze necessarie per portarla a termine e gli equilibri economici, politici e sociali fondamentali per gestirla.  

In casa Carrefour credo che l’ipotesi di seguire una strada analoga a fronte di possibili e continui risultati negativi sia stata scartata a priori. Carrefour resta una multinazionale di un’altra categoria rispetto a Auchan. Il piano di Cristophe Rabatel presentato ai sindacati, pur evocando una situazione da “penultimatum”, propone  una opzione più in continuità con Lavinay, il CEO che lo ha preceduto, accompagnata da una serie di interventi di riposizionamento più o meno comuni a tutte le imprese della GDO che, se realizzati, contribuirebbero a rimettere in carreggiata le aspettative dell’azienda francese nel nostro Paese.

Cedere a terzi i punti di vendita compromessi o in grande affanno e diventare così il maggiore franchisor della GDO italiana resta l’elemento più visibile del piano. Almeno per ora. La vera scommessa sarà, come ho già scritto, nella qualità di questo rapporto che dovrà essere costruito con gli imprenditori interessati e il suo legame con l’identità dell’insegna percepita dal consumatore. 

Questa scelta è in linea con quanto stanno facendo in Francia. 37 supermercati Carrefour Market e 10 ipermercati, ovvero circa 3.500 dipendenti, passeranno tra breve a terzi con una formula analoga a quella proposta da Rabatel ai sindacati per il nostro Paese. “Carrefour ha appena superato la cifra di 10.000 dipendenti trasferiti agli acquirenti delle attività negli ultimi tre anni, sottolinea il sindacato francese. “Un sostanziale subappalto che causa una riduzione della retribuzione stimata in uno o due mesi e perdite significative di benefici sociali”.

L’obiettivo è evidente. Ricentrare il business per accelerare la trasformazione del modello spinge a cedere a terzi i punti vendita ormai difficili da recuperare. Una sorta di “spezzatino” autogestito senza sostanziali impatti occupazionali seppure indigesto ai sindacati. In Francia come in Italia.

Cristophe Rabatel viene proprio da una consolidata esperienza di gestione del franchising.  Alla fuga dalle responsabilità decisa a suo tempo da Auchan, Carrefour tenta di rispondere in altro modo. Sarà sufficiente? In Francia i numeri dicono di si. Nei 47 punti vendita trasferiti, parte del “rischio di impresa” si sposterà sui franchisee  e sui lavoratori che ne pagano un prezzo in termini salariale ma si garantiscono la continuità del posto di lavoro. E l’azienda si garantisce una sostanziale continuità del business seppure gestito in parte da altri.

Per i sindacati italiani la partita è però diversa. I loro colleghi francesi lamentano che i buoni risultati ottenuti da Alexandre Bompard CEO di Carrefour non vengano distribuiti equamente e si preparano ad uno scontro frontale dall’esito incerto. Tra l’altro la paventata ipotesi di cessione a Couche Tard, tenuta coperta per non irritare la politica e le sue scadenze elettorali,  non è certo un elemento di tranquillità per gli stessi sindacati francesi.

Da noi il perimetro principale non è per nulla messo in sicurezza e quindi i sindacati, volenti o nolenti, saranno costretti ad accompagnare il piano Rabatel così come lo dovranno inevitabilmente fare con Conad. Con tutte le conseguenze che questo comporta. Alzarsi dal tavolo non è mai una buona cosa. La salvaguardia del contratto aziendale per un ulteriore anno negoziata dai sindacati con Carrefour è comunque un segno di disponibilità aziendale al confronto da non sottovalutare di questi tempi.

Concentrazioni, dismissioni, chiusura di punti vendita sono elementi fisiologici per le imprese commerciali nel terzo millennio. È terminata da tempo la fase tradizionale di crescita interna infinita. Queste operazioni però tendenzialmente non raggiungono l’ obiettivo se l’unica “ossessione” è rappresentata dai costi e se le altre leve restano sulla carta.

Cristophe Rabatel in Polonia ha lavorato bene. Leggendo le poche interviste che ha concesso mi ricorda quei manager a cui viene affidata una missione fondamentale anche per la propria carriera e che la portano avanti con la freddezza e la determinazione necessaria. Spesso funziona. Nel calcio come nelle grandi imprese l’orgoglio per la  maglia che si indossa è fondamentale.

L’esperienza che ho fatto a fianco di numerosi top manager francesi e non solo mi fa dire che se l’orgoglio è condiviso con l’intera comunità aziendale che si rappresenta pro-tempore, fa leva sui punti di forza presenti e rispetta il Paese dove si gioca la partita  i risultati attesi quasi sempre coincidono con gli obiettivi. Se nascondono solo le proprie (pur legittime) ambizioni di carriera spesso falliscono inesorabilmente. La differenza tra top manager di grande spessore in fondo è tutta qui.

Per guidare una fase di ristrutturazione pesante, riorientamento dei propri collaboratori e riorganizzazione del business non basta, come in passato,  avere la forza o il commitment decisivo del quartier generale. Occorre avere qualità e competenze umane per saper gestire con sobrietà e lungimiranza il potere di cui si dispone.

Aggiungo che comprendere il mercato italiano di oggi con le sue dinamiche localistiche non è per nulla facile per un manager francese. Ricordo che  lo stesso Goethe diceva che “ I francesi sono come i matematici. Se dici loro qualcosa lo traducono nella propria lingua e oplà, diventa immediatamente una cosa diversa”. 

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