Lo smart working tra aspettative, scorciatoie, illusioni e realtà…

Pensare che il corona virus in qualche modo possa accelerare l’adozione dello Smart working nelle imprese è una delle tante scorciatoie sulla materia che si leggono in queste settimane sui giornali. A parte le poche aziende strutturate e orientate verso modelli organizzativi più flessibili per la stragrande maggioranza di quelle che si sono trovate nella necessità di lasciare a casa parte dei propri collaboratori ci sarà presto un ritorno alla normalità.

In qualche direzione HR si rifletterà se prevederlo nei futuri piani di crisi o se sperimentarlo sul serio.  Lo smart working non è affatto il semplice “lavorare da casa”. In termini generali  è lavorare “anche” al di fuori del tradizionale luogo di lavoro. In questo modo la  postazione di lavoro non è più vincolata ad un luogo fisico, ad un orario di lavoro, ad un controllo visivo della gerarchia. Fanno testo i progetti, gli obiettivi assegnati, i risultati ottenuti. I contenuti del proprio lavoro prevalgono sul contesto organizzativo nel quale questo contenuti si realizzavano in precedenza.

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Conad/Auchan. 32.500 firme per tenere in campo i francesi

L’obiettivo che si erano prefissi un gruppo di lavoratori  circa tre mesi fa è stato raggiunto. Oltre 32.500 firme raccolte per chiedere un coinvolgimento delle aziende del gruppo Auchan ancora presenti in Italia nell’offrire opportunità occupazionali alle persone che rischiano il posto di lavoro a seguito della “fuga” della multinazionale francese del retail dal nostro Paese.

Con circa  50 miliardi di euro di fatturato, una presenza in 16 paesi e 300 mila dipendenti l’azienda di Villeneuve-d’Ascq, vicino a Lille nel profondo nord della Francia di proprietà del gruppo più familistico del capitalismo francese, la famiglia Mulliez, su cui comanda di fatto ancora  l’ultra ottantenne Gerard Mulliez a capo  dell’Association Familiale Mulliez (1.300 tra figli, nipoti, cugini e cognati) mantiene in Italia, un perimetro di  attività economiche di tutto rispetto.

L’emergenza del Coronavirus tiene purtroppo lontano l’interesse dell’opinione pubblica e delle istituzioni e questo non aiuta ma, questa iniziativa, fuori dagli schemi classici delle tradizionali vicende sindacali segnala comunque la volontà di mantenere una pressione anche sul gruppo francese, sulle sue responsabilità e sulle opportunità di lavoro che è in grado di offrire indipendentemente dalla vicenda legata alla cessione dell’azienda.

La petizione (http://bit.ly/39bHbST) è molto chiara ed è stata recapitata a tutti i potenziali decisori coinvolti in questa operazione e alle istituzioni. Per evitare equivoci di sorta è evidente che ci sono due piani molto diversi tra di loro su cui poter agire. Il primo è quello legato alla cessione a Conad dei punti vendita Auchan. Con la vendita le obbligazioni nei confronti del personale sono passate a BDC, oggi Margherita distribuzione, quindi nulla può essere contestato sul piano formale ai francesi. Gli obblighi sono totalmente in carico all’acquirente italiano.

Ci sono però aree specifiche di sofferenza occupazionale che potrebbero essere affrontate non solo e non tanto in una logica di incentivi alternativi al licenziamento ma di ricollocazione in nuove realtà e a nuove condizioni. Tutte da costruire. Aziende del Gruppo francese comprese.

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L’impasse sui contratti nazionali non è un buon segno per il Paese….

Mi sembra che pochi osservatori abbiano colto il significato profondo dell’interruzione del trattative per il rinnovo del contratto nazionale dell’industria alimentare. Insieme al comparto chimico sono settori da sempre caratterizzati da una cultura improntata alla collaborazione tra i sindacati dei lavoratori e le associazioni imprenditoriali.

Collaborazione che non è mi venuta meno e che ha consentito in larga parte la gestione delle riorganizzazioni e i processi di cambiamento nelle imprese e nei gruppi del comparto stesso. Abbandonare il confronto dopo sei mesi di negoziato e tre mesi dalla scadenza del CCNL è un segnale forte che potrebbe indicare l’accentuarsi di un cambiamento significativo già presente altrove.

Secondo il sindacato degli alimentaristi il contrasto è di sostanza. Sul diritto soggettivo alla formazione, sugli appalti e sull’inquadramento professionale le imprese del settore sembrano intenzionate a continuare a fare da sole. E nessuna  delle due parti è interessata, più di tanto, a formulazioni generiche quanto inutili sui temi controversi ma ritenuti qualificanti, come in passato. Leggi tutto “L’impasse sui contratti nazionali non è un buon segno per il Paese….”

Salario minimo. I rischi di una risposta sbagliata ad un problema reale…

Se fossimo in un Paese normale la discussione sull’introduzione del salario minimo avrebbe ben altri sbocchi. In tempi passati sarebbe stata circoscritta alle parti sociali che lo avrebbero affrontato, quantificato e definito direttamente nei contratti nazionali. In fondo  l’Europa è interessata al merito più che  alla forma.

Non è certo materia che si può imporre. Però l’invito ad affrontare il problema che sta alla base di questa proposta è presente come peraltro prevedono gli accordi politici che hanno determinato l’elezione di Ursula von der Leyen. Andrea Garnero espone un suo condivisibile punto di vista sul sole 24 ore (http://bit.ly/2SPGU2q) cercando di allargare il campo evitando così una discussione sterile e ridotta  al “si o no” al salario minimo.

Come spiega correttamente Giuseppe Sabella (http://bit.ly/37ZQGU0) le parti sociali, da parte loro,  restano  contrarie ad una sua introduzione. Al massimo ne potrebbero tollerare una presenza marginale e limitata a ciò che non può essere compreso nei CCNL. Ovviamente estendendo al massimo possibile la copertura di questi ultimi oltre quel 90% che ne rappresenta il perimetro attuale.

La partita però è molto più complessa di quello che appare. Sul fronte politico il Ministro del lavoro ha, da parte sua, rotto gli indugi e presentato la sua proposta. La cifra di riferimento  sembrerebbe attestarsi  tra i 7 e gli 8 euro, in linea con i maggiori Paesi Ue (solo la Germania è sopra i 9 euro). Leggi tutto “Salario minimo. I rischi di una risposta sbagliata ad un problema reale…”

Nel web c’è spazio per tutti….

Nelle vertenze sindacali, specialmente in quelle dure e complesse, si affacciano sempre personaggi particolari. Novelli Savonarola che balzano improvvisamente sotto i riflettori della rete che a volte ne amplifica ruolo e peso. Ovviamente si nutrono esclusivamente di negatività. Non tifano affinché le cose vadano necessariamente male. Ma, in base ai riflessi condizionati che li guidano, ne registrano solo gli aspetti negativi.

In genere sono ex dipendenti, manager accantonati, sindacalisti periferici. Alcuni addirittura dell’azienda acquirente magari messi da parte in passato. Diversi sono pure in buona fede. Altri si sono rapidamente scordati di essere stati, fino a qualche mese indietro,  con la lingua attaccata alle chiappe di chi ha causato la situazione nella quale si trovano oggi e che denunciano con veemenza. In  rete, con gli pseudonimi, c’è da aspettarsi di tutto. Anche qualche dipendente interno veramente spaventato dalla situazione. Ma, in questo caso, generalmente lo si capisce immediatamente.

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Conad/Auchan. Dalla multinazionale all’impresa diffusa. Il difficile ruolo del sindacato di categoria

L’incontro al MIP del Politecnico di Milano sulla vicenda Conad/Auchan è andato molto bene. Due ore intense e fino alle 20.30 dopo una giornata passata in aula con una classe di giovani professionisti in carriera di aziende diverse che dedicano più week end lunghi alla loro  formazione è stata un’esperienza interessante soprattutto per per me. Tanta attenzione e  domande sui vari passaggi che hanno caratterizzato questa operazione fino ad oggi.

Mi hanno colpito in modo particolare quelle sul ruolo del sindacato in questa complessa vicenda. Nessuno ne contestava l’importanza sul piano teorico, il ruolo di tutela per i lavoratori in generale, l’assoluta necessità che ci debba essere una rappresentanza dei lavoratori in grado di gestire i momenti di crisi, le sue ricadute e gli interessi in campo.

La platea era eterogenea e proveniente da diversi settori. Persone che hanno a che fare con sindacalisti dell’industria in vertenze aziendali o di categoria estremamente complesse. Le domande su questo aspetto erano tutte concentrate sulle competenze e sul contributo dei sindacalisti in questa vertenza, sulla loro capacità o meno di interpretare un ruolo di tutela del lavoratore in un contesto di grande cambiamento nella vita di un’impresa.

C’era interesse sul ruolo del sindacato ma anche sulla presenza o meno delle competenze necessarie di un mestiere difficile in fasi così dirompenti. La GDO, nel terziario, si presta tra l’altro a parallelismi realistici con analoghe realtà per dimensione organizzativa, tassi di sindacalizzazione, livelli professionali  coinvolti, numero di dipendenti complessivi e la loro distribuzione territoriale. Leggi tutto “Conad/Auchan. Dalla multinazionale all’impresa diffusa. Il difficile ruolo del sindacato di categoria”

Testimonianza al MIP- Politecnico di Milano. Punti forti e contraddizioni nelle operazioni di M&A. Il caso Conad/Auchan.

L’enfasi con la quale vengono spesso presentate le operazioni di M&A non trovano molte volte  riscontri concreti all’altezza delle aspettative iniziali e non solo per una sopravvalutazione delle strategie che le hanno determinate. La realtà spesso pone problematiche che, se sottovalutate, ridimensionano quelle aspettative o introducono complessità in corsa che spingono a continui aggiustamenti successivi. I tempi troppo stretti o troppo dilatati dell’operazione, le differenti culture tra chi acquisisce e chi viene acquisito, la qualità della comunicazione interna e esterna, le ricadute sociali e occupazionali che determinano, le competenze e la gestione delle risorse umane influiscono e modificano il contesto. 

Il MIP – Politecnico di Milano, con un percorso di riflessione, si propone di affrontare queste criticità attraverso l’analisi dei best performer e delle buone pratiche messe in campo in questi casi. E di approfondirli attraverso la presentazione di casi aziendali, situazioni specifiche e testimonianze.

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Conad/Auchan. La distanza siderale tra due mondi…

Recentemente  mi ha colpito un tweet con una definizione interessante e centrata, a mio parere,  sulla figura dell’imprenditore: “È il motore del sistema economico e il fulcro del progresso… sono persone che hanno visto possibilità dove altri non vedevano nulla, che hanno colto delle opportunità dove altri esitavano, che hanno perseverato quando altri rinunciavano”.

E questo è un aspetto poco considerato nella vicenda Conad/Auchan. Il ruolo, l’impegno e il sogno degli oltre 2500 imprenditori del mondo Conad di fronte ad una sfida di quelle dimensioni. Ad ascoltare il giudizio del sindacato di categoria c’è da preoccuparsi. Additati come personaggi inaffidabili, dediti allo sfruttamento, incapaci di un’idea moderna di impresa chiusi nel loro egoismo e refrattari ai diritti altrui. Una caricatura, certo, ma un sentimento diffuso che coinvolge il giudizio sull’insieme della piccola e piccolissima impresa del nostro Paese che conta milioni di piccoli imprenditori.

Se ad oggi non abbiamo un accordo sul passaggio dalla ex Auchan è perché, di questo modello imprenditoriale, si insiste a sottolinearne i limiti presunti,  non i suoi punti di forza. Soprattutto, nel caso in questione, dove l’imprenditore, avendo ben compreso la sua solitudine, si consorzia anche per potersi permettere di ingaggiare manager di prim’ordine e dotarsi di strategie commerciali altrimenti precluse mettendo a fattor comune risorse ed esperienze.

La vera forza di Conad sono questi imprenditori con le loro contraddizioni, le loro ruvidità e il loro orientamento al risultato. Per una cultura passatista più legata agli schemi del 900 un modello da contrastare. Con la grande impresa e con le multinazionali sembra più facile. Quando qualcosa non funziona basta scaricare il conto sulla spesa pubblica. Leggi tutto “Conad/Auchan. La distanza siderale tra due mondi…”

Lavoro e futuro prossimo. Occorre riflettere su cosa c’è dietro l’angolo

Fuori dalle aziende e dalla scuola c’è chi si sta addestrando, seppur inconsapevolmente, per il lavoro di domani. Sempre più ragazzini maneggiano tablet, smartphone e altri sofisticati strumenti elettronici che li formano e li predispongono  nell’utilizzo pratico delle nuove tecnologie, nell’accettarne interattività e vincoli e, soprattutto, li spingono a considerare il tempo e le modalità utilizzate  come variabili assolutamente ininfluenti.

Restare connessi è normale e scontato. Lo si fa per un obiettivo o uno scopo. Oppure per restare in attesa di obiettivi e scopi altrui. Spazio, tempo e distanza contano sempre meno. Conta la connessione. O c’è o non c’è. L’azienda di domani, in parte, funzionerà anch’essa così. I più giovani non lo sanno ancora ma, oltre che digitali, stanno diventano compatibili.

Tecnologia sofisticata e connessa che trasmette disposizioni, tempi di esecuzione, modalità applicative. L’input, in questo contesto, può generarsi ovunque. Così come il controllo e le comunicazioni. Quindi, tre pilastri dei modelli contrattuali del 900, fordista e di quello attuale post fordista, verranno in parte (ovviamente non dappertutto) rimessi in discussione: il tempo, la distanza dalla gerarchia e dai colleghi, la postazione  di lavoro.

L’orario di lavoro, la sua retribuzione, il luogo dove la relazione con il capo e con i colleghi si manifestano, la distanza e le modalità da dove vengono impartiti criteri e disposizioni di lavoro potranno essere completamente stravolti. L’azienda stabilirà i suoi nuovi confini non più dentro un perimetro fisico  ben definito continuando  comunque a proporre al suo interno valori, linguaggi, modalità di crescita, di comportamento e di coinvolgimento. Leggi tutto “Lavoro e futuro prossimo. Occorre riflettere su cosa c’è dietro l’angolo”

Grande distribuzione. La fragilità del middle management nelle ristrutturazioni aziendali

In tutta la grande distribuzione in Italia non ci sono più di settecento manager con la qualifica di dirigente. L’ossatura portante delle imprese è costituita ormai da tempo  da un’altra altrettanto importante figura professionale: i quadri.  Se togliamo i top manager e poco altro  non c’è molta differenza concreta tra le due categorie.

Negli ultimi quindici anni c’è stato un depauperamento evidente  di responsabilità e di ruolo del dirigente e questo ha reso ancora meno marcate le differenze. E, contemporaneamente ha reso più conveniente per molte imprese inserire quadri in ruoli che prima erano ritenuti dirigenziali.  Nell’ultimo periodo sembra esserci una modesta inversione di tendenza nel terziario di mercato ma non nella GDO. Anzi.

I Contratti nazionali continuano a tenerli rigidamente separati. I primi hanno un loro contratto specifico, i secondi, per storia e tradizione costituiscono la parte apicale dell’inquadramento unico. Sono però gli aggettivi a fare ancora la differenza. Il quadro,  nei testi contrattuali, ha funzioni di “notevole” importanza e autonomia, il dirigente ha “ampi” poteri e “rilevante” autonomia. Così almeno è scritto.

In azienda, nel quotidiano, è un altro film. Sono due popolazioni che, al loro interno, presentano sfaccettature e responsabilità ormai difficili da separare nettamente. Se non fosse per il welfare contrattuale, le differenze, nelle aziende del terziario, sarebbero minime. Il Quadro ha a disposizione Quas per l’assistenza sanitaria, Quadrifor e Forte per la formazione e Fonte per la previdenza, il dirigente ha a disposizione FASDAC per l’assistenza sanitaria, Mario Negri e fondo Pastore per la previdenza e Cfmt e Fondir per la formazione. Welfare più costoso per l’azienda e il dirigente, certo, ma di altro livello per questi ultimi. Leggi tutto “Grande distribuzione. La fragilità del middle management nelle ristrutturazioni aziendali”