Sono sempre stato convinto del ruolo centrale che il sindacato di categoria potesse e dovesse assumere nella gestione di questa complessa vicenda anche quando mi sono permesso di avanzare critiche per come una parte dello stesso aveva deciso di posizionarsi al suo inizio.
Ho avuto fin da subito l’impressione che si sottovalutasse il mondo Conad, la sua forza intrinseca, l’alleato con cui quest’ultima aveva deciso di affrontare la partita e quindi la determinazione ad andare fino in fondo in questa operazione pur decidendo di assumersi grandi rischi. Ma anche che si considerasse il modello organizzativo e di business più un residuo del passato da superare che non il destino stesso di buona parte della GDO vincente fatta anche di piccoli associati, franchising, cooperative e non solo di grandi imprese tradizionali.
Modelli che bilanciano diversamente diritti e doveri, che distribuiscono diversamente i rischi di impresa e che imporrebbero strategie sindacali tese a tutelare il lavoro più che il posto di lavoro prodotto dalla vecchia cultura fordista. I miei suggerimenti (per quanto poco ascoltati e vissuti spesso come ostili) tendevano ad indicare ai rappresentanti dei lavoratori il rischio di non essere sufficientemente attrezzati per percorrere una vicenda che si presentava completamente diversa dal passato.
E che, percorrerla, avrebbe imposto cambiamenti difficili da accettare. L’esperienza stessa dei rinnovi contrattuali nazionali e delle ristrutturazioni aziendali in corso, tutti all’insegna della riduzione del costo del lavoro, avrebbero dovuto far pensare che, in un caso come quello della multinazionale francese in disarmo, la storia si sarebbe ripresentata moltiplicata nella sua drammaticità.
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