Nel settembre del 2011 ero il negoziatore della Confcommercio al tavolo delle trattative per il rinnovo del Contratto nazionale dei dirigenti. Raggiunta l’intesa di massima con Manageritalia sui capitoli principali e pronti alla firma la situazione precipitò improvvisamente perché nella delegazione datoriale, Federdistribuzione mi chiese di “pretendere” una formulazione particolarmente indigesta a Manageritalia che rendesse facoltativa l’applicazione di due elementi centrali del rinnovo contrattuale.
Dietro c’era sostanzialmente la determinazione di Auchan di respingere l’obbligatorietà dell’iscrizione al CFMT (centro di formazione del management del terziario) e dell’iscrizione al Fondo Pastore che garantiva una importante forma di previdenza complementare a condizioni particolarmente favorevoli ai dirigenti.
Pur non condividendo quella presa di posizione come rappresentante delle aziende chiesi l’interruzione del negoziato. Furono ore concitate che però mi consentirono di capire quella volontà di sentirsi altra cosa rispetto all’insieme delle aziende, non solo della GDO, che caratterizzava in parte l’intera delegazione di Federdistribuzione ma principalmente di questa importante multinazionale francese.
Tenere oltre cento dirigenti fuori dalla possibilità di confrontarsi con colleghi di diversa provenienza attraverso il diritto soggettivo alla formazione continua garantito dal CCNL e contemporaneamente escluderli da un’interessante fondo previdenziale testimoniava la volontà di considerare i propri dirigenti come cosa di loro esclusiva competenza e giurisdizione.
Quella forma di “totalismo aziendale” di una cultura cioè che nasce e muore dentro i confini dell’azienda e che prevede liturgie, comportamenti e riconoscimenti a chi vi si conforma, funziona, in genere, solo quando le cose vanno bene. Distingue i suoi componenti, dà loro un tratto unico di orgoglio di appartenenza che, a loro volta, si espande nell’intera organizzazione.
Ed è, a mio parere, uno dei motivi del disorientamento attuale di una parte importante del management. Lo posso decifrare dalle numerose mail che ricevo quotidianamente o dalle persone con cui dialogo con maggiore frequenza. Si sentono traditi, lasciati in balìa degli eventi, estromessi dai canali comunicativi, dal loro ruolo e costretti alle forche caudine di una supposta cultura aziendale di nuovo conio che li vede più come un costo da eliminare e da un sentimento prevalente in azienda che li addita come corresponsabili della situazione.
Sono, nella vulgata prevalente, tutti sacrificabili, inetti e costosi. Non è affatto vero ma è chiaro che questo crea una sensazione di abbandono e di solitudine che rende ancora più difficile gestirne il destino. Il contratto nazionale dei dirigenti in situazioni come queste non garantisce nulla.
La soppressione delle posizioni manageriali procederà a ritmo serrato non appena sarà più chiaro il destino di BDC. Per chi ha a portata di mano una soluzione individuale di cui può determinare tempi e modalità l’attesa è forse conveniente. Così come per chi ha in maturazione la pensione. Per tutti gli altri non avere una base comune di riferimento è un rischio evidente.
So che Manageritalia pur nelle estreme difficoltà della situazione ha provato ad impostare un negoziato ma, allo stato, è prevalente tra i colleghi l’illusione che l’azienda possa fare ben altri sforzi economici. E a BDC, in fondo, non conviene legarsi troppo le mani. Farà accordi con chi ha una professionalità utile in questa fase lasciando gli altri al loro destino.
Tra poco i dirigenti si troveranno tra due fuochi e, sinceramente, non la vedo molto bene per loro. Auchan avrà pure lasciato risorse per gestire le uscite ma i pretendenti che ne reclamano una fetta consistente sono numerosi e ben organizzati. La comunicazione interna formale e informale punta a prendere tempo, rassicurare, evitare che si sovrappongano queste tematiche individuali ad altre priorità.
Manageritalia, essendo composta da gente non di primo pelo ci ha visto giusto. Negoziare una base economica sulla quale lasciare aperti eventuali negoziati specifici e puntare decisamente alla tutela di chi si dovesse trovare in difficoltà nel ricollocamento. E farlo prima che il negoziato al MISE metta tutti gli esuberi sullo stesso piano. Dirigenti, impiegati e addetti alle filiali. Ai colleghi che mi chiedono cosa ne penso ho già risposto individualmente.
Ogni caso è troppo specifico se parliamo di manager. Occorre valutare la propria impiegabilità, il sistema relazionale costruito o meno in precedenza, il valore del proprio CV. Quindi decidere il proprio futuro. Manageritalia, come sempre ha fatto il suo lavoro. E lo ha fatto bene.
Vedremo i prossimi passi.