Un punto interessante sul quale riflettere viene posto da Eleonora Graffione presidente di Coralis un consorzio di imprenditori italiani molto performante nella sua composizione che opera nel settore distributivo. La definizione che Coralis ha scelto nella sua presentazione aiuta: “Grandi imprese in piccolo formato, che pensano che produttori e distributori possano trovare futuro solo recuperando competenza, vicinanza, sostenibilità e passione”. L’argomento proposto è la dimensione di impresa come fattore di competitività nel contesto italiano. In un recente post Eleonora Graffione ha scritto: “queste settimane, in diversi convegni, ho sentito spesso dire che “piccolo è bello” è un illusione tutta italiana. Sempre più la dimensione diventa una discriminante nei rapporti tra Industria e Distribuzione, peccato che il Retail è fatto di tante micro imprese familiari, e se non prendiamo coscienza della realtà e parliamo solo per grandi numeri siamo ciechi di fronte a una verità”.
È così. La “taglia” non necessariamente coincide con la dimensione competitiva di un’insegna nei territori dove è insediata. Né con la sua capacità di penetrazione. Pur apprezzando le multinazionali nelle quali ho sempre lavorato mi sono reso conto limitare l’analisi alla dimensione organizzativa in un contesto come il nostro può essere fuorviante. L’esercito romano pagò a caro prezzo l’aver sottovalutato i sanniti, una popolazione che abitava in origine gli Appennini meridionali e furono necessarie tre guerre durissime per venirne a capo. La capacità di presidio di un territorio, il legame con i consumatori, le loro abitudini nella GDO sono concetti da valutare con cura. Lo stesso è successo alle multinazionali. Almeno fino all’arrivo di LIDL.
C’è, nel nostro Paese un evidente problema di taglia delle nostre imprese in tutti i settori merceologici che compongono l’intera filiera agroalimentare ma la soluzione, per provare a superarla, andrebbe trovata partendo dalla realtà. Non inventandosi scorciatoie teoriche o aspirazioni generiche tutt’altro che praticabili. La dimensione, oltre ad un certo livello, tra le altre cose, non si raggiunge senza una struttura manageriale adeguata. E CEO, non imprenditori, in grado di guidare un’insegna della GDO (non un agglomerato di insegne, di franchisee o di cooperative e tolte ovviamente le multinazionali) sopra i cinque miliardi di fatturato, in Italia, non ce ne sono. Anzi, ce n’erano due: Francesco Pugliese e Sami Kahale. Entrambi, tra l’altro, nati professionalmente fuori dal comparto e ad oggi, non più in campo. Quindi, il problema è strutturale.
Oltre una certa soglia di insegna, normale in altri Paesi, è molto difficile trovare una cultura manageriale adeguata nel nostro Paese. Non è quindi solo un problema di imprenditori che non sarebbero in grado di crescere ma anche un’intera classe dirigente non abituata a muoversi a certe dimensioni di fatturato in termini di visione, cultura e strategie di crescita. Nulla di male ma questa è la realtà. Imprenditori e manager sono in difficoltà a pensarsi fuori dal loro tradizionale perimetro di azione. Così come non sono spesso in grado di valutare le conseguenze delle loro “intuizioni” organizzative sul piano politico e sociale. Personaggi in grado di tenere sulla corda qualsiasi competitor nazionale o estero si avventuri sul loro terreno ma, al tempo stesso, “prigionieri” di quelle logiche. Leggi tutto “Grande distribuzione. Il futuro dell’insegna multi locale è nella condivisione”