L’ultima posizione del Governo giallo verde sembrerebbe sintetizzata nella proposta di riservare il salario minimo ”solo dove oggi non esiste la contrattazione, cioè in aree residuali, mentre dove essa c’è non si potrebbe abbandonarla per rifugiarsi nel minimo di legge» e, secondo Luigi Sbarra della CISL, anche in caso di disdetta del contratto, ne resterebbe in vigore il «trattamento economico complessivo». Facile a dirsi, difficile a farsi. Impossibile da sanzionare.
Un contratto nazionale non è solo il minimo tabellare concordato. Welfare, tutele, diritti, doveri e indennità di varia natura lo completano e ne determinano il costo complessivo. Tutto questo, insieme ai contributi fiscali e previdenziali e ad altri costi indotti confluiscono nel costo del lavoro. Già applicando un qualsivoglia contratto nazionale di lavoro i costi per le imprese non sono uguali per tutti. Solo il salario da corrispondere lo è. E poco altro. Il resto è materia da tribunali.
Aggiungo che un contratto di lavoro può essere disdettato comunque. E’ sufficiente un congruo anticipo. Vale a tutti i livelli. Nazionale, aziendale e territoriale. Nei sottosettori “poveri”, nelle realtà legate ad appalti o in crisi una disdetta di una singola impresa comporterebbe un immediato effetto domino.
Prendiamo, ad esempio, il caso del contratto del commercio. Da un lato esistono i cosiddetti contratti pirata facili da individuare e da eliminare. Sono l’obiettivo di Tiziano Treu. Da un altro lato, però, esistono i contratti in dumping firmati dai sindacati confederali con le organizzazioni datoriali più rappresentative. Una sorta di “pirateria legalizzata” e concordata tra soggetti, a loro dire, assolutamente rappresentativi. Leggi tutto “Lavoro povero, salario minimo e contrattazione nazionale.”