La formazione in azienda. Come dare sostanza al diritto soggettivo

I prossimi rinnovi dei Contratti nazionali riporteranno al centro del confronto il tema della formazione come diritto soggettivo. Ad oggi i fondi interprofessionali per i lavoratori dipendenti   coprono la quasi totalità delle richieste delle imprese pur essendo previsto, ad esempio nel CCNL del terziario un fondo dedicato ai Quadri.

E’ una specificità singolare in rapporto agli altri contratti che potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per una riflessione a 360° sulle nuove opportunità della  formazione proponibile dalla contrattazione. Il fatto stesso che chi se ne occupa per nome e per conto delle parti sociali preferisca utilizzare un termine generico e lontano dalle logiche  contrattuali come “Middle Management” la dice lunga sulla vetustà stessa dei confini imposti dall’articolo 2095 del codice civile.

Dentro questa categoria ormai c’è di tutto. Dal merito, alla professionalità fino all’anzianità di servizio. Una parte, la più alta,  è decisamente sotto inquadrata perché probabilmente meriterebbe la dirigenza per ruolo, compiti e funzioni, un’altra, la più bassa  arriva a volte a premiare una lunga e onorata carriera aziendale non sempre legata a criteri professionali.

E’ il risultato dell’essersi dovuti concentrare su di un livello contrattuale che è un sotto prodotto del taylorismo novecentesco quindi  di una cultura ormai decisamente superata. Questo è uno dei motivi, non l’unico ovviamente, per il quale le imprese hanno dovuto compiere sforzi enormi per adattare l’evoluzione dei loro modelli organizzativi all’inquadramento professionale applicabile rischiando cause legali, malintesi e sovrapposizioni di ruoli, soprattutto nel terziario di mercato.

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L’eclissi di ruolo (momentanea) della rappresentanza nell’epoca della disintermediazione

Il recente attacco di Carlo Calenda ai vertici di Confindustria mi ha fatto riflettere. Non credo all’accusa di opportunismo rivolta a Vincenzo Boccia né alla strumentalità del dibattito scatenato in rete che ha preso di mira sia Confindustria che la CGIL elevandoli a simboli di un 900 oggi improponibile.

Certo non sottovaluto il problema delle imprese partecipate dal Tesoro, le difficoltà del Sole 24 Ore però sono temi, credo,  sui quali il Presidente di Confindustria si trova più nelle vesti di gestore di una eredità del passato e non certo di responsabile diretto.

C’è, ed è vero,  la preoccupazione nel mondo datoriale che i 5S perseguano pervicacemente una politica anti industriale e punitiva contro le imprese  in un momento in cui il Governo dovrebbe mettere in campo, al contrario,  strumenti a sostegno della ripresa. Da qui l’appello alla Lega.

A caldo io stesso ho puntato il dito su ciò che sembrerebbe essere evidente. L’eccessivo tatticismo delle organizzazioni di rappresentanza di fatto annichilite dalla vittoria giallo verde e dal decisivo contributo dei rispettivi associati a quel risultato.

Alle insistenti richieste di autocritica rivolte al PD non c’è stata un’analoga richiesta alle organizzazioni di rappresentanza e questo ha favorito una fuga dalle rispettive responsabilità. Il 4 marzo è stato rovesciato integralmente sulla Politica. Su chi ha vinto, assumendone le supposte buone ragioni e su chi ha perso ribaltando su di loro tutte le responsabilità. Una autoassoluzione molto pericolosa e gravida di conseguenze su  un futuro che rischia di non essere tanto remoto. Leggi tutto “L’eclissi di ruolo (momentanea) della rappresentanza nell’epoca della disintermediazione”

La Grande Distribuzione è ancora la casa degli italiani…

C’è un imprenditore non particolarmente esperto di GDO che aveva capito, ben prima di Jeff Bezos, che per raggiungere i consumatori italiani occorreva andare oltre i format distributivi tipici della grande distribuzione utilizzando il potenziale che uno strumento esterno al comparto (allora fu la televisione) poteva offrire in termini di conoscenza e diffusione dei prodotti. Quell’imprenditore era Silvio Berlusconi.

L’idea della casa degli italiani nasceva proprio da lì. Dal sogno, poi non realizzato, di poter costruire un modello di business completamente innovativo che avrebbe probabilmente cambiato il destino della GDO italiana e non solo. Trent’anni dopo Amazon ci sta riprovando partendo dalla rete e dal potenziale offerto dalla logistica e trova, in Italia più che altrove,  un comparto, preso nel suo insieme, molto fragile e nella sua fase di maturità.

Nel frattempo la Grande Distribuzione è cresciuta sia in termini di fatturato che di occupazione seguendo una sua strategia espansiva  basata su logiche interne cercando semplicemente di portare dentro i propri negozi piccoli o grandi  la capacità e la saggezza del tradizionale negozio di vicinato sul fresco e di consulenza sul non food ma anche offrendo al consumatore un livello di intrattenimento e di offerta di servizi nei punti vendita che rendano piacevoli i luoghi dove fare la spesa. Questa scelta ha funzionato al punto tale che oltre dodici milioni di italiani ci passano volentieri anche la domenica.

Quello che preoccupa nella campagna scatenata contro il lavoro festivo da parte dei due partiti di Governo è l’obiettivo vero che sembra non emergere chiaramente. Ci ha provato Gianluca Paragone, deputato dei 5S ( https://youtu.be/ZgYwORrcqb0) a spiegare la filosofia che li anima con un attacco personale,  volgare  quanto basta a Mario Gasbarrino CEO di Unes. Un napoletano, quest’ultimo,  di grande correttezza e spessore morale che, a differenza di altri, rispetta i contratti e nel lavoro ci mette tutta la passione possibile.  Leggi tutto “La Grande Distribuzione è ancora la casa degli italiani…”

Grande Distribuzione. Domenica, maledetta domenica…

Ci risiamo. Se dovessero passare le proposte di legge così come sono state  presentate dai due gruppi di maggioranza, per Natale, avremmo qualche migliaio di persone senza lavoro nella GDO. Senza dimenticare che Mall, Outlet, Centri Commerciali e Ipermercati segnerebbero un risultato negativo con altrettante conseguenze facili da immaginare.

Infine la rinnovata querelle, ripresentata nelle proposte,  tra ciò che è turistico e ciò che non lo è in un Paese come il nostro. Mi immagino, ad esempio, Milano città turistica fino ad una certa via e poi chi ha la sua attività, piccola o grande, a poche centinaia di metri dal centro costretto a subire comunque una concorrenza sleale. Come in passato.

Così come i piccoli esercizi o attività che, ad esempio nei Centri Commerciali, hanno fatto i loro investimenti pensando di poter fare un determinato fatturato su 365 giorni all’all’anno. E infine il rischio di  un contraccolpo immaginabile nel franchising.

Tutto da rifare. Sembra che l’occhio di Sauron (dal Signore degli Anelli) del Governo pentaleghista dopo aver tolto  lo sguardo minaccioso dal comparto industriale lo stia posando con intenzioni bellicose sulla Grande Distribuzione. Lo dico subito senza se e senza ma. Farlo nel modo che sembra prevalere oggi è un grave errore. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Domenica, maledetta domenica…”

Corpi intermedi. Un rinnovamento indispensabile.

Ha fatto bene Marco Bentivogli leader dei metalmeccanici della CISL a mettere fine alla querelle che lo vede assegnato al ruolo di “Papa straniero” pronto a scendere in campo per guidare la improbabile riscossa del centro sinistra.

Purtroppo la realtà è molto più complessa e il semplice ricorso ad un nuovo leader “prêt-à-porter” è un’illusione destinata a svanire alla prossima prova elettorale. La crisi del PD è una crisi di idee e di strategia. Su questo ha ragione l’attuale segretario Martina, leader e nuovo nome dovrebbero seguire un processo, non precederlo. E oggi idee e strategie manifestano ancora indirizzi diversi in quella micronesia di colonnelli che ne alimentano il dibattito interno.

La traversata nel deserto sarà lunga e faticosa, perché alla crisi del governo giallo verde potrebbe seguire un lungo predomino moderato preannunciato da un elettorato che guarda comunque più verso quella parte. Riportarlo nel campo progressista sarà una sfida che necessità di idee, coerenza nei comportamenti, meno ambiguità  e una visione del contesto anche a livello internazionale oggi non percepibile in nessuna forza di centro sinistra italiana o del resto del mondo. Occorrerà pensare a qualcosa di veramente nuovo.

E’ vero che Marco Bentivogli è un leader sindacale anomalo. Una persona credibile e coerente che tende a mettere l’accento sulle soluzioni possibili  più che sui problemi. Ma il fatto che voglia continuare ad impegnarsi per cambiare il sindacato è comunque una buona notizia. Leggi tutto “Corpi intermedi. Un rinnovamento indispensabile.”

Qualcuno E’ GIA’ nel nido del Cuculo…

Gli svizzeri, nostri vicini di casa, gli hanno addirittura costruito intorno un orologio chiamandolo “a cucù”. il regista Forman  ci ha vinto cinque Oscar. L’espressione “nido del cuculo” è una forma gergale che indica un “manicomio”.

Sarà un caso ma per chi studia i comportamenti di alcuni politici nostrani  potrebbe costituire un indizio concreto. Il cuculo, d’altra parte, deve la sua notorietà al cosiddetto “parassitismo di cova”.

Le uova, in genere, si assomigliano con quelle della specie “ospite”. Alla schiusa, il piccolo del cuculo si sbarazza delle altre uova non ancora schiuse presenti nel nido rimanendo unico ospite. I genitori adottivi vengono ingannati da questo comportamento e nutrono il cuculo come se fosse un proprio piccolo. Difficile immaginare un paragone più azzeccato.

Le elezioni del 4 marzo avevano certificato un importante ma insufficiente  17% per la Lega Salviniana dovuto più alla crisi di Forza Italia e alla inconsistenza di Fratelli d’Italia che alla credibilità del suo leader Matteo Salvini. La scena era interamente occupata dal movimento 5S vero vincitore della contesa. Leggi tutto “Qualcuno E’ GIA’ nel nido del Cuculo…”

ILVA. Un dialogo tra sordi…

Temo che quello che è stato un importante negoziato triangolare tra Governo, Arcelor Mittal e Sindacato non riprenderà almeno nelle forme conosciute fino al 4 marzo.

Carlo Calenda, ex Titolare del MISE non era riuscito a convincere una parte del sindacato a chiudere la partita prima delle elezioni. E probabilmente alcune forzature compiute in buona fede scontavano proprio la volontà di accelerare per concludere. Dall’altra parte Luigi di Maio, nuovo titolare del MISE, a mio parere, sta giocando un’altra partita.

Il sindacato, non accettando unitariamente la “sfida” di Calenda è fermo al palo e Arcelor Mittal non può che abbozzare.

Il neo Ministro pensa di poter tirare ancora un po’ la corda perché sulla riapertura dell’ILVA c’è una forte dose di ambiguità nel suo movimento. C’è un pesante costo economico da pagare ma il messaggio, uscito dalla Conferenza stampa, è chiaro: “Arcelor Mittal è in buona fede e nonostante tutto ciò che mi ha lasciato il mio predecessore che meriterebbe l’abbandono del vecchio progetto, devo andare avanti”. “Però lo farò a modo mio”.

Il sindacato al contrario non sembrerebbe esistere per il Ministro come soggetto titolato e di pari dignità in campo. “Continui pure il negoziato con l’azienda” sembra suggerire  Luigi Di Maio. Poi vedremo.

In campo ci sono il Governo, Arcelor Mittal, i cittadini di Taranto e i lavoratori. Sullo sfondo ci sono gli elettori M5S. La vicenda ILVA sembra aggiungere un altro tassello al disegno di destrutturazione del  vecchio sistema. E’ singolare che la FIOM non l’abbia capito.

I risultati elettorali nello stabilimento di Taranto, le ambiguità di una parte del sindacato, il ruolo da “quinta colonna” della Regione, e le difficoltà delle istituzioni locali, non agevolano una trattativa  di alto livello sui contenuti e l’evanescenza dell’opposizione politica non aiuta.

Quello che avrebbe dovuto e potuto essere un negoziato moderno che provava a mettere insieme lavoro, sicurezza, ambiente e prospettive produttive rischia di deragliare in un qualcosa d’altro.

Un déjà vu dove lo Stato si accollerà tutto ciò che l’azienda dichiarerà di dover accettare per chiudere la partita. Di Maio in fondo cosa vuole? Dimostrare che, nonostante lo stato della vicenda che lui ha trovato, e che fosse dipeso da lui avrebbe gestito in tutt’altro modo, una soluzione è stata individuata.

Le colpe ricadranno sul passato confermate dall’ ”autorevole” Presidente della Regione con buona pace del PD che, in questa vicenda ha mostrato tutta la sua fragilità.

Il sindacato, infine, grazie alla forte dose di ambiguità tenuta dalla FIOM rischia di non essere in grado di giocare un ruolo da protagonista ma di trasformarsi in un probabile futuro parafulmine di un intesa nella quale, gli altri soggetti in campo, nessuno escluso, hanno obiettivi che poco c’entrano con il lavoro, la sicurezza e l’ambiente. Non c’è che dire.

Sarebbe un pessimo risultato. 

Un silenzio doveroso

Su tutto ciò che riguarda la tragedia di Genova non dirò né scriverò una parola. In campo ci sono troppi politici e giornalisti meschini, troppi sciacalli, troppi esperti del giorno dopo. Per quanto mi riguarda, riesco a vedere solo dolore e morti che non ci sarebbero dovuti essere. Le responsabilità ci sono, vanno accertate e i responsabili condannati senza alcuna indulgenza. Quello che rifiuto è che tutto questo si debba per forza trasformare in una nitida fotografia di dove può spingersi il degrado e la superficialità della politica, del giornalismo ma, purtroppo, anche di ciascuno di noi.

Più PIL per tutti…

Ai fautori della decrescita felice, prima o poi, qualcuno ci si doveva mettere contro. Ci ha pensato il leader degli industriali Vincenzo Boccia a pronunciare parole che sembravano ormai cadute nel dimenticatoio del 900: “se le cose non cambieranno saremo costretti ad andare in piazza”.  C’è un’aria strana intorno a noi mentre i vincitori delle elezioni del 4 marzo, Lega e 5S,  esplicitano le loro proposte per il futuro del Paese.

La Lega persegue un disegno di cambiamento percorrendo progetti e sentieri di destra.  Forte nei piccoli e medi imprenditori, punto di riferimento per buona parte del nord produttivo ma diffidente nei confronti dello Stato, dell’Europa e preoccupato dalla competizione internazionale, in questa fase Salvini ha scelto come prioritari i temi delle migrazioni e della sicurezza.

Temi non scelti a caso ma necessari a costruirsi quella autorevolezza e quella forza che il 4 marzo le urne non gli hanno concesso. L’obiettivo vero, però, sembrerebbe essere l’Europa (almeno questa Europa) e probabilmente anche l’Euro in questo aiutati anche da nuovi equilibri internazionali e dall’emergere di una spinta sovranista e antieuropea in molti Paesi del continente.

I 5S, dall’altra parte, pur scontando una imperizia e una faciloneria nei comportamenti e nelle dichiarazioni più da assemblea di condominio che da Governo del Paese, cavalcano una cultura ribellista contro l’establishment a tutto tondo, e, proponendosi come rappresentanti esclusivi del popolo, non riescono ad accettare l’idea che altri, a cominciare dai corpi intermedi, manifestino una rappresentatività in parte concorrenziale attraverso le loro burocrazie.

Nella democrazia dove uno vale uno non sono previsti altri soggetti ritenuti, più o meno, reperti archeologici del novecento. Leggi tutto “Più PIL per tutti…”

La rappresentanza nell’era dell’uno vale uno…

La difficoltà ad incidere concretamente la nuova realtà politica e sociale da parte delle organizzazioni di rappresentanza è sempre più evidente. Dario Di Vico, sempre attento a questi fenomeni, ritorna sul Corriere di oggi  (http://bit.ly/2KOHKVE) ad insistere su di un punto a lui molto caro: il potenziale “tradito” dagli aderenti a Rete Imprese Italia, una sorta di alleanza virtuale sostanzialmente difensiva che ha cercato di mettere insieme la rappresentanza delle piccole e medie imprese italiane.

Nata nel 2006 più per dare una dimensione intercategoriale alla protesta contro i contenuti della legge finanziaria dell’allora Governo Prodi ha scoperto, strada facendo, di poter provare ad ambire a qualcosa di più importante: una sorta di rappresentanza di un ceto medio che cominciava a pretendere, seppur in modo disordinato, un ruolo e una decisiva importanza nell’economia del Paese ma anche la propria fragilità nei meccanismi indotti dalla globalizzazione.

L’intuizione, sul piano politico, era interessante ma presupponeva una continuità che però non c’è stata. Il mantenimento di una identica volontà di equidistanza combattiva con i governi che si sarebbero via via succeduti, una generosità sul piano organizzativo e delle scelte non sempre convergenti sul piano degli specifici interessi rappresentati, una gestione a livello locale meno competitiva delle singole sigle e, ultimo ma non ultimo, una visione della evoluzione della situazione economica e della crisi che avrebbe devastato, di lì a poco, proprio le piccole e medie imprese e schiacciato verso il basso l’intero ceto medio.

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