Fa bene Dario di Vico ad interrogarsi sulla scelta di Luxottica di lasciare le associazioni territoriali di Confindustria ( http://bit.ly/2IgmMP2 ). Per chi crede, come me, nel ruolo decisivo delle organizzazioni di rappresentanza nelle dinamiche democratiche del nostro Paese, è certamente un campanello di allarme.
Forse, per comprenderne la ratio, dobbiamo partire dalle ragioni che spingono un’impresa, grande o piccola, ad avvicinarsi oggi al modo associativo. Indubbiamente Il più importante strumento riconosciuto che una associazione datoriale mette a disposizione delle imprese, associate o meno, è il Contratto Nazionale di Lavoro. In alcuni comparti economici come ad esempio nel terziario è, di fatto, l’unico elemento regolatorio a cui le aziende possono riferirsi essendo praticamente inesistenti altri livelli negoziali. È uno dei pochi contratti di natura confederale cioè gestito direttamente da Confcommercio-imprese per l’Italia.
La stragrande maggioranza dei contratti è, al contrario, sottoscritto da federazioni datoriali di categoria (chimici, metalmeccanici, ecc.). Quindi, nel caso del comparto industriale, non da Confindustria. Pur riconoscendosi in una Confederazione il peso e l’autonomia di chi firma contratti nazionali è indubbiamente rilevante in rapporto alla Confederazione alla quale aderisce.
Tutto questo era meno evidente quando ciascun livello di rappresentanza garantiva agli associati risultati concreti sia di carattere generale che particolare. Oppure servizi specifici altrimenti indisponibili sul mercato. La concertazione sia centrale che periferica, le attività di lobby, gli indirizzi di politica economica tenevano conto del peso e del ruolo delle Confederazioni datoriali particolarmente di Confindustria che, in quel modo, esercitava un ruolo quasi in nome e per conto di tutto il fronte datoriale. Leggi tutto “Il difficile mestiere della rappresentanza.”