Amazon. Uno sciopero sano?

Contrapposto allo sciopero dei mezzi pubblici e proclamato da USB, secondo il prof. Tiraboschi e Francesco Seghezzi, quello messo in scena nel piazzale del magazzino di Amazon di Castel San Giovanni sarebbe uno sciopero sano. Personalmente non condivido questa valutazione  proprio per le ragioni portate a supporto della tesi.

Il settore della logistica e dei trasporti è in grande espansione. Amazon, Alibaba e altri player internazionali sono sotto i riflettori mediatici per il modello di business e per la prorompente crescita che li caratterizza mentre in un enorme cono d’ombra rimangono i veri punti di crisi irrisolti che, sul piano del lavoro, marchiano un intero settore dove cooperative vere e fasulle, autisti assunti con contratti est europei, impieghi di etnie spesso contrapposte tra di loro hanno consentito a soggetti economici di dubbia fama e a COBAS e USB, tanto per non fare nomi, di aggirare contratti, imporre la loro legge, mettere in un angolo i sindacati confederali e vessare le imprese con richieste spesso supportate con atteggiamenti ricattatori. Leggi tutto “Amazon. Uno sciopero sano?”

Sindacati e GDO “circondano” Amazon?

Con una intuizione azzeccata Dario Di Vico su Twitter ha sintetizzato la manovra a tenaglia che in rapida successione ha coinvolto prima ADM dove gli Stati Generali della GDO hanno reclamato “stesso mercato, stesse regole” nei confronti dei giganti del web e poi i sindacati che hanno cercato di sfruttare il black friday, non solo in italia, per portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema del lavoro nei grandi magazzini della logistica.

Per i primi è un po’ la legge del contrappasso. Nella seconda metà del secolo scorso hanno puntato alle liberalizzazioni, senza se e senza ma, conquistando uno spazio assolutamente legittimo ma a scapito dei piccoli operatori e oggi si trovano in una condizione analoga con i grandi operatori logistici e con la flessibilità del web. Leggi tutto “Sindacati e GDO “circondano” Amazon?”

Una sfida stimolante per le organizzazioni di rappresentanza

Qualcosa di interessante e forse poco osservato si sta muovendo intorno al mondo della rappresentanza. Nel mondo agroindustriale nasce “Filiera Italia”, una nuova realtà associativa che vede per la prima volta il mondo agricolo, i mezzi tecnici per l’agricoltura, la tecnologia avanzata per la trasformazione alimentare e l’industria agroalimentare italiana dei diversi settori, insieme. Manca la distribuzione alimentare e la logistica ma è certamente un primo passo significativo.

Nel nostro Paese l’idea di proporre un modello di rappresentanza che affronti e ricomponga gli interessi presenti in una determinata filiera è una novità stimolante. Sarà interessante seguirne l’evoluzione.

Leggi tutto “Una sfida stimolante per le organizzazioni di rappresentanza”

L’insostenibile leggerezza delle discussioni sul Jobs Act…

Un milione… il suocero di Bellavista, interpretato da Aldo Tarantino in quel film memorabile dedicato alla grandezza della napoletanità si svegliava dal suo torpore solo quando qualcuno intorno a lui pronunciava quel numero. “Un milione…” poi ritornava in trance.

Nel 1917 la penna di Sergio Tofano disegnava, per il Corriere dei Piccoli “il signor Buonaventura” anche lui alla ricerca del “Milione”. Un milione. Un numero indiscutibile utilizzato per certificare un successo.

Leggi tutto “L’insostenibile leggerezza delle discussioni sul Jobs Act…”

Grande Distribuzione. Un riposizionamento sempre più necessario

Non si può dire che in tutti questi anni di “marcia in solitaria” e di sovraesposizione delle ragioni della Grande Distribuzione il comparto ne abbia tratto beneficio.

I nuovi insediamenti sono sotto tiro dalle amministrazioni locali, le aperture festive e le rimodulazioni degli orari vengono sempre più contestati mentre la concorrenza della rete h24 saccheggia vendite e margini.

Sul piano sociale l’immagine di lavoro povero e sotto pagato cresce nella opinione pubblica e l’incapacità di rinnovare un contratto su misura ha segnato un declino che sembra inarrestabile.

Leggi tutto “Grande Distribuzione. Un riposizionamento sempre più necessario”

Arginare il dumping e la proliferazione dei contratti si deve e si può.

Il 26 settembre Confcommercio con Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs UIL hanno sottoscritto un accordo integrativo del contratto nazionale in essere che ne ribadisce la centralità, fissa una nuova data, al marzo del 2018, della tranche di 16 euro sospesa nel novembre del 2016 e proroga la data di scadenza dello stesso al 31 luglio 2018.

Già questo, di per sé, rappresenterebbe un passaggio importante, unico nel suo genere, di capacità di governo di un contratto nazionale utilizzato per qualche milione di lavoratori.

Leggi tutto “Arginare il dumping e la proliferazione dei contratti si deve e si può.”

BIG. Giovani e manager, uniti si vince…

“Uniti si vince”. Uno slogan sessantottino sempre valido. Esprime una verità inoppugnabile e cioè che solo insieme si può affrontare e superare un ostacolo, una difficoltà superiore alle forze di una singola persona.

Lo stesso dibattito in corso sull’alternanza ha rilanciato anch’esso il tema della collaborazione, della necessità di una visione comune, tra mondo della scuola e mondo aziendale.

Purtroppo ha messo la sordina ad un altro problema altrettanto importante: il ruolo e il contributo che i giovani possono portare nelle nostre aziende. Soprattutto quei giovani, e sono tanti, che vogliono darsi da fare.

Leggi tutto “BIG. Giovani e manager, uniti si vince…”

ILVA un inizio per certi versi sconcertante…

Ci sono aspetti nella vicenda ILVA che appaiono indubbiamente sconcertanti per chi, interessato, osserva da fuori. Il dibattito sembra concentrato su due punti: il numero degli esuberi e le condizioni di ripartenza per chi resta.

La strategicità o meno di quelle produzioni per il nostro Paese, Il piano industriale, la ricaduta sulle attività economiche legate all’ILVA (forniture e servizi) , gli aspetti ambientali in termini qualitativi e temporali, gli investimenti per riqualificare siti e persone, restano ancora sullo sfondo.

“Nessuno sarà lasciato a casa” è il mantra adottato. Un messaggio già poco rassicurante per chi lavora in quelle fabbriche figuriamoci per chi vive e lavora grazie a quelle fabbriche.

Un altro dato sconcertante è che molti dei soggetti in campo si sovrappongono al sindacato. La politica, perennemente in campagna elettorale, ma anche alcuni esponenti del Governo che, in questo modo, rischiano di abdicare ad un ruolo indispensabile di mediazione che sarà comunque necessario per chiudere una vicenda così complessa.

AM InvestCo ha le idee chiare. Nel forum sui trasporti di Confcommercio a Cernobbio il CEO Europe Aditya Mittal non si è nascosto dietro un dito. Ha sottolineato le potenzialità dell’azienda, l’equilibrio da individuare con tutti gli stakeholder e le comunità coinvolte, la volontà di andare fino in fondo.

La trattativa è sicuramente partita con il piede sbagliato ma una cosa appare chiara: i potenziali acquirenti non hanno l’anello al naso. Né sono disponibili a perdersi dentro le fumisticherie della politica nostrana.

Se equivoco c’è stato, il Ministro Calenda ha fatto bene a tenere il punto e ad evitare un confronto con i sindacati che avrebbe solo fatto esacerbare ulteriormente gli animi. Il confronto adesso può ripartire senza pregiudiziali. Né sui numeri, né sulle condizioni di ripartenza.

La priorità va data al piano industriale e alla sua credibilità in un contesto globalizzato. Ai tempi di implementazione, agli investimenti necessari sugli impianti e sulle risorse umane, alle ricadute sull’indotto e sui servizi.

Parallelamente dovrebbe svilupparsi un confronto con il Governo sulle attività che impegneranno gli esuberi, la loro riqualificazione e il loro reddito. E quindi le garanzie sull’ambiente e il contesto perché tutto si tiene.

Il sindacato ha davanti un compito molto difficile. Deve, come sempre, saper “guardare l’albero, immaginando la foresta”, capire la consistenza e l’affidabilità dell’interlocutore, individuare soluzioni che convincano i lavoratori coinvolti ma anche le comunità locali e tenere a bada le incursioni della politica.

Sicuramente ha nel Ministro Calenda un alleato importante. Non già per quello che è avvenuto nei giorni scorsi ma perché, a mio modesto parere, interpreta un ruolo nuovo moderno ed efficace di difesa degli interessi nazionali in un contesto globalizzato.

L’azienda, dal canto suo, deve decidere, su cosa giocare le sue carte e se, questo investimento, giustifica alcune mediazioni, comunque indispensabili. La partita è troppo importante.

Una cosa però è certa. Il negoziato avviene in un contesto dove tutti i soggetti seduti a quel tavolo hanno forza, credibilità e determinazione ad andare fino in fondo. Soprattutto il sindacato.

Dopo la firma del contratto dei metalmeccanici una prima prova decisiva di unità e di visione del futuro. Staremo a vedere.

ILVA. Un negoziato simbolico.

Ha regione chi dice che la vicenda ILVA (ArcelorMittal/Marcegaglia) parte con il piede sbagliato.

Forse figlia di una cultura che pensa che una drammatizzazione iniziale possa favorire ruolo e accordo sindacale ma che rischia di non aver capito il contesto nel quale questo negoziato si svilupperà.

Da un lato una fabbrica/città (seppure con altre sedi territoriali importanti), vittima di un paradosso inestricabile perché, così com’è, non si va da nessuna parte ma, senza quella azienda, non si arriva da nessuna parte, almeno per le prossime due generazioni. Una città che, oggi, non è solo l’ILVA, naturalmente, ma che non è assolutamente in grado di fare a meno dell’ILVA in termini di attività economiche, lavoro, e reddito disponibile.

Leggi tutto “ILVA. Un negoziato simbolico.”

La contrattazione aziendale tra passato e futuro.

Come Direttore Risorse Umane non ho mai conosciuto un CEO che non vivesse con fastidio un incontro con i sindacati a qualsiasi livello. Se proveniente da un altro Paese e con ancora una scarsa conoscenza della lingua italiana, alla curiosità iniziale di sentirsi protagonista di un evento per certi aspetti straordinario, subentrava sempre la difficoltà di comprendere la necessità di un confronto con tre o più “estranei” su argomenti ritenuti, a suo parere, di esclusiva competenza aziendale. Lo stesso per molti imprenditori. Soprattutto di PMI. Ovviamente non nei convegni o nei confronti pubblici dove ha sempre dominato il “politicamente corretto”.

Per i sindacalisti è generalmente diverso. Ogni incontro è fonte di confronto, apprendimento e di stimolo ad entrare nel merito delle problematiche aziendali.

Ho sempre pensato che, pur nel rispetto di un rito novecentesco che prevede tempi e modalità standardizzati, parlarsi, confrontarsi su posizioni diverse è un esercizio utile e importante.

Un’azienda è  anche il “clima” che vi si respira.

E ho sempre ritenuto un errore considerare inutile un confronto costruttivo con un interlocutore che rappresenta un punto di vista spesso sottaciuto dalla gerarchia al vertice aziendale. Un punto di vista che se compreso e gestito per tempo può evitare errori di gestione delle risorse e quindi inutili ricadute negative sul business.

È indubbio che, parlando di luoghi del confronto, la contrattazione aziendale sembra rappresentare l’uovo di Colombo. Impresa e lavoro si parlano e si confrontano laddove si crea la ricchezza. Cosa ci può essere di più razionale? Quindi un contratto nazionale leggero e poi ciascuno libero di costruire, in ogni realtà, un proprio vestito su misura. Facile a dirsi, difficile a farsi, nel nostro Paese. La storia e i pregiudizi, pesano.

Nel secolo scorso erano sostanzialmente i sindacati ad avere l’iniziativa. La contrattazione aziendale, situata temporalmente tra un contratto nazionale e l’altro tentava di migliorarne il contenuto o di anticiparne, su alcuni temi, il rinnovo successivo.

Ha funzionato fino a quando le aziende, incalzate dai problemi di contesto, hanno preso coscienza della propria capacità di replicare sullo stesso terreno e hanno cominciato a “pretendere” contropartite che, via via, hanno messo in discussione il ruolo stesso del sindacato interno o esterno come interlocutori negoziali.

E cosi le tradizionali piattaforme sindacali hanno lasciato campo libero a vere e proprie “contro piattaforme” aziendali di segno opposto che hanno trasformato la contrattazione aziendale da “integrativa” in “concessiva” o addirittura “restitutiva” fino a perdere di significato in rapporto al vecchio modello sindacale che l’aveva generata.

L’elemento interessante su cui riflettere oggi è proprio costituito dalla fine sostanziale di quel modello rivendicativo che si basava, di fatto, sulla possibile sovrapposizione di due livelli (nazionale e aziendale) considerandoli aggiuntivi e non integrativi o, addirittura, alternativi.

Nelle PMI la contrattazione era (ed è) quasi esclusivamente di tipo collettivo (nazionale e territoriale a macchia di leopardo). Le medio grandi, al contrario, non si sono certo fermate in attesa della definizione di un ipotetico nuovo modello occupando, autonomamente, lo spazio lasciato libero. Attraverso approcci specifici, culture interne, gestioni personalizzate hanno assunto, ingaggiato, promosso iniziative dotandosi di sofisticate politiche di sviluppo individuali e collettive.

Hanno imparato a fare da sole disintermediando con le proprie organizzazioni datoriali e favorendo, di fatto, un’analoga disintermediazione dei singoli lavoratori con i loro sindacati.

Se non si parte da qui non si riesce a comprendere perché le aziende (imprenditori e manager) non sono disponibili a ripristinare un confronto ravvicinato  pur dinnanzi ad una rappresentazione nuova e positiva che oggi viene proposta dai media o dagli esperti esterni all’impresa.

Nel breve non c’è molto da dire; sta dominando la legge del pendolo che premia l’iniziativa aziendale e accentua l’emarginazione del sindacato. Detto questo credo però che, per le imprese, non sia, comunque, una politica lungimirante.

Da questo la mia convinzione che, oggi,  il contratto nazionale debba comunque mantenere una sua importanza (pur derogabile in ogni suo aspetto da accordi specifici) almeno fino a quando un meccanismo di dissolvenza concordato tra le parti consenta equilibri e luoghi di confronto differenti o integrativi.

Temo però che lo stesso, in futuro, sarà difficile mantenerlo nei rigidi confini categoriali che lo hanno delimitato nel novecento (soprattutto nel comparto industriale). Sia per quanto riguarda il welfare contrattuale dove le masse critiche saranno sempre più importanti, sia sui minimi nazionali e le normative dove le differenze tra settori tenderanno a scomparire. Così come sulle politiche attive e quindi sulla formazione.

La partita vera, credo, si giocherà inevitabilmente sulla futura struttura del salario perché saranno le quote della retribuzione imputate alla professionalità individuale, al contributo, sempre individuale, al risultato aziendale e al welfare che faranno la differenza da cui potrà discendere una nuova impostazione. Ed è in quel contesto che i livelli e i luoghi della contrattazione potranno trovare materie e ruoli concreti.

Tra l’altro, Gigi Petteni, segretario confederale CISL, ha aperto, se ho compreso correttamente, ad un modello dove potrebbe trovare spazio anche questo aspetto, pur all’interno di regole da definire. È un passaggio importante perché segnala che qualcosa si stia muovendo forse più concretamente che in passato. Staremo a vedere.