Il recente intervento sul “Diario del Lavoro” di Gaetano Sateriale della CGIL è interessante perché prova ad esplicitare una ipotesi di strategia alternativa a quella proposta dal Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che, dal suo punto di vista, vede nell’azienda il luogo nuovo da costruire attraverso il cosiddetto “Patto di Fabbrica”.
Confindustria, checché se ne dica, non ha mai parlato di estendere ovunque la contrattazione aziendale ma, semmai, di valorizzarla laddove si manifesta o di renderla compatibile con un nuovo modello di contrattazione nazionale più leggero lasciando quindi maggiore libertà nelle singole imprese per muoversi su produttività e politiche retributive.
Recentemente il Governo Francese ha indicato una via che va in questa direzione e che ridisegna, di fatto, una nuova impostazione negoziale non più riconducibile a quella tradizionale. Un modello dove il sindacato, in sé, è meno presente e spinto inevitabilmente a ripensare ad un suo diverso posizionamento.
La contrattazione aziendale in Italia, come in Francia è assolutamente marginale e asimmetrica, soprattutto nelle PMI. Delle quote relative al nostro Paese (12,9% del totale, 17,9% nell’industria) citate forse in modo troppo ottimistico mell’articolo da Sateriale, occorrerebbe forse depurare tutto ciò che è strutturalmente “concessivo” o “restitutivo” e pesarne, a parte, la quota “promossa” motu proprio dal sindacato per valutare la dimensione e i contenuti di un possibile nuovo modello, in maniera più realistica.
Se a questo aggiungiamo che i recenti contratti nazionali sono stati rinnovati anche per una precisa volontà delle organizzazioni datoriali, il quadro che abbiamo di fronte presuppone una maggiore cautela nell’affrontare qualsivoglia cambiamento. E, soprattutto, che questo cambiamento non può prescindere dal contratto nazionale che pur messo in discussione da più parti mantiene una sua sostanziale validità.
Proporre un decentramento a livello territoriale può funzionare in settori omogenei e legati al territorio meno laddove la competizione, come ad esempio nel terziario, non è riconducibile ad una provincia omogenea. E ciò che è omogeneo per il lavoro potrebbe non esserlo per la competitività delle imprese.
Inoltre la politica salariale oggi è saldamente in mano alle imprese. Una delle difficoltà del sindacato nasce proprio dal non essersi mai “specializzato in rivendicazioni salariali” come ammette Sateriale. A mio modesto parere, soprattutto sul piano qualitativo.
Temi come il merito, l’impegno, la disponibilità, la crescita professionale sul piano individuale sono sempre stati tenuti a debita distanza dal sindacato e lasciati completamente in mano all’impresa che li ha, prima teorizzati e poi tradotti in autonoma gestione delle risorse con percorsi di crescita, politiche retributive precise, oggettive e non necessariamente discriminanti, e che oggi, con il tramonto del modello tayloristico di cui si nutriva la vecchia impostazione rivendicativa collettiva, spuntano le armi a chi non è in grado di affrontarne la portata pur con tutte le contraddizioni del caso.
Questa è un epoca di “totalismo aziendale” come l’ha definita il prof. Zamagni. Un mondo, quello delle imprese, che tende a chiudersi dentro una sua cultura e suoi valori specifici, che assume logiche proprie e scarta inevitabilmente tutto ciò che non è ritenuto compatibile. Un mondo sempre più a-sindacale e non necessariamente antisindacale.
Un mondo, cioè, dove il sindacato non riesce più ad interagire né influire concretamente. Un modello, quindi, impermeabile dall’esterno. Almeno fino a quando, come nella Silicon Valley non supera determinate soglie di accettabilità o provoca crisi di rigetto.
Confindustria, dal canto suo, insiste nel vedere nel “Patto di fabbrica” una possibile convergenza nuova tra lavoro e impresa. Una convergenza che, però, non lascia spazio al vecchio modello rivendicativo sindacale. Il punto sta qui. Luoghi e pesi tra contratto nazionale e altri livelli vengono semmai dopo. Sono i contenuti e la cultura che li promuove e li sostiene che determineranno o meno il modello ecwuindi il luogo di confronto. Non viceversa.
Il contratto dei metalmeccanici ha stabilito alcuni importanti principi. Innanzitutto che la ricchezza va creata prima di decidere come distribuirla. Il secondo che welfare e formazione saranno sempre più pilastri fondamentali che marcheranno per lungo tempo i nuovi territori da percorrere.
Il terzo principio, purtroppo, mantiene un’area di persistente ambiguità. Ed è proprio quello relativo alla qualità e alla estensione del necessario decentramento negoziale. Il sindacato, dal suo punto di vista, lo considera parte delle intese e nella logica stessa del contratto nazionale appena firmato.
Marco Bentivogli ha sottolineato spesso che produttività, salario aziendale, formazione e inquadramento professionale possono trovare risposte concrete solo ad un livello aziendale esteso e esigibile. Per le imprese, al contrario, continua a rappresentare una possibilità da esercitare solo laddove esistono le condizioni. Un’ambiguità di fondo, se dovesse essere confermata, non di poco conto.
Quello che è certo è che il nuovo modello non sarà più un prodotto preconfezionato su vecchie logiche. Né un diritto acquisito che riproduce su altri tavoli i difetti della contrattazione nazionale di vecchio conio. E questo è un percorso che il negoziato aperto a livello confederale con Confindustria non ha ancora sufficientemente chiarito.
Personalmente temo che sia la riproposizione di un modello contrattuale superato seppure spostato più vicino al territorio dove l’impresa agisce che un altro che, di fatto, opera una insistente “disintermediazione” nei confronti del sindacato non siano lungimiranti.
La polarizzazione del mercato del lavoro, se non gestita, non promette nulla di buono nel medio lungo periodo. Le notizie che provengono dalla Silicon Valley e dal sottobosco della logistica nazionale sono lì a dimostrare che i modelli totalizzanti o basati es lesivamente sui rapporti di forza non hanno vita lunga e rischiano di produrre contraddizioni e reazioni a catena.