L’egemonia culturale e contrattuale dei sindacati dei metalmeccanici sull’intero mondo sindacale privato ha caratterizzato buona parte del secolo scorso.
I contenuti principali di tutti i contratti sono nati sostanzialmente in quel contesto per poi essere esportati e adattati a situazioni differenti. Altre categorie importanti come i Chimici, gli Alimentaristi e i Tessili pur all’interno di percorsi già individuati, hanno sempre cercato di impostare, quando possibile, un dialogo costruttivo con le rispettive controparti contribuendo così ad aggirare, insieme, una cultura antagonista che si è, d’altra parte, progressivamente affievolita per conto suo.
Il contesto socioeconomico, la crisi del fordismo e le conseguenze della globalizzazione hanno imposto alle imprese un livello di competizione e di integrazione nelle filiere e sui mercati internazionali che hanno reso inefficace e spesso velleitaria l’iniziativa sindacale. Soprattutto nei comparti produttivi e industriali.
Negli altri settori (ad eccezione della PA finita, ad oggi, in una sorta di stand by contrattuale) piattaforme sindacali e contratti vengono rinnovati più per scelta lungimirante delle controparti datoriali che per capacità di iniziativa e pressione delle organizzazioni sindacali di categoria che sono si cresciute in termini di peso organizzativo e di disponibilità economiche ma che non hanno saputo crescere sul piano del rinnovamento della proposta o dell’iniziativa sindacale.
Da questo punto di vista l’ultima tornata dei rinnovi contrattuali è stata paradigmatica. Mentre nei comparti industriali il declino del fordismo è stata ben compreso e vissuto come una sfida su cui misurarsi concretamente già nel contratto nazionale stesso, nel terziario il sindacato (più o meno unitariamente) ha preferito, per lungo tempo, inseguire gli “ultimi moicani” del fordismo contrattuale (i rappresentanti delle imprese della Grande Distribuzione) perseguendo un confronto (risultato inconcludente e perdente) esclusivamente sui costi. Rinunciando così ad un ruolo propositivo e costruttivo assolutamente necessario in una fase di grande cambiamento che attraversa tutti i comparti dove avanza la cultura terziaria.
Metalmeccanici, Chimici e Alimentaristi hanno seguito un percorso opposto pur con differenti specificità. I metalmeccanici, e qui gliene va dato atto, concordando il riconoscimento ex post dell’inflazione, introducendo il diritto soggettivo alla formazione, rilanciando il ruolo del welfare contrattuale e prevedendo un’azione di rivisitazione dell’inquadramento professionale hanno saputo, unitariamente, rimettersi al centro di un disegno di cambiamento.
E questo insieme a Federmeccanica che non ha solo dimostrato lungimiranza e capacità negoziale ma è soggetto di pari dignità nella gestione del contratto stesso e nella sua evoluzione successiva.
L’egemonia culturale non è mai scontata. È frutto della capacità di iniziativa e di proposta. In una logica antagonista è un prodotto di una parte così come è stato nel famoso “decennio irripetibile”. In una logica di collaborazione è frutto di un percorso condiviso.
Le nuove relazioni sindacali non si costruiscono sulla subalternità o sulla cedevolezza di una delle due parti. Questa, semmai, è la vecchia logica della “legge del pendolo”.
Si costruiscono sul rispetto reciproco e sulla consapevolezza che ridurre le diseguaglianze nel mondo del lavoro, condividere rischi e opportunità nelle imprese, rispondere alle aspirazioni di crescita professionale e di miglioramento della qualità della vita delle persone non possono essere ritenuti obiettivi di parte.
Qualsiasi contratto si misura e si valuta sulla capacità dei negoziatori nell’aver saputo individuare l’equilibrio possibile nei contenuti. In alcuni degli ultimi firmati recentemente questo sforzo di mirare a nuove relazioni sindacali è presente in modo evidente.
In altri, come ad esempio nel terziario, questa volontà, espressa dalla parte che ha scommesso sulla necessità di avere comunque un contratto (al di là dei rapporti di forza), non è emersa. Soprattutto nella coerenza dei comportamenti. E questo non è un dato positivo.