Il superamento dei modelli contrattuali discendenti dal fordismo ha, in due vicende contrattuali, apparentemente distanti, risposte completamente differenti e, per certi versi, opposte su cui innestare una riflessione vera per gli sviluppi che entrambi possono portare sul futuro del lavoro perché, credo, nulla è ancora scontato.
Nel contratto dei metalmeccanici l’elemento collettivo, di contenuto e di equilibrio tra i contraenti è stato sostanzialmente mantenuto. Anzi. Per certi versi, Il sindacato ha rafforzato il suo ruolo come interlocutore. Sia centrale con il welfare contrattuale e la formazione, sia decentrato con i rinvii su produttività e altro. E si appresta a contribuire a riscrivere l’inquadramento professionale insieme a Federmeccanica.
Diverso è il caso della GDO dove, il confronto tra Federdistribuzione (ultima trincea del fordismo commerciale e contrattuale tradizionale) con Fisascat Cisl, Uiltucs Uil, e Filcams CGIL va in una direzione esattamente opposta. Quella di “imporre” un contratto sulla base esclusiva dei rapporti di forza in campo.
Quale era (ed è) l’impostazione tradizionale di un qualsiasi contratto di lavoro? Da una parte l’azienda con le sue esigenze e dall’altra una collettività che, all’interno di un insieme di diritti e doveri definiti e condividendo una attività tutto sommato simile, erano (e sono) in grado di negoziare sulla base di reciproci interessi. Preferibilmente tramite le organizzazioni sindacali e datoriali.
In entrambi i settori (metalmeccanico e GDO) questo schema ha funzionato per anni. Nel metalmeccanico, la necessità di un cambiamento profondo è stato evidenziato da FCA poi, ad una certa distanza, dalla proposta di rinnovamento contrattuale di Federmeccanica. Segnali inequivocabili di un necessario cambiamento.
Ma FIM, FIOM, UILM, anziché resistere unitariamente o divisi in una trincea di difesa a oltranza dell’esistente hanno accettato e rilanciato la sfida. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Un’analoga operazione è stata messa in atto da Confcommercio con il recente contratto del terziario con le organizzazioni sindacali di categoria e con l’accordo sui livelli contrattuali con CGIL, Cisl, Uil confederali. Accordo soddisfacente per molti ma ritenuto insufficiente da Federdistribuzione che ha insistito per dotarsi di un proprio contratto specifico.
Nella GDO per anni è stato ritenuto più conveniente, anche da parte delle imprese multinazionali, accodarsi al contratto Confcommercio dove la presenza dei piccoli ha indubbiamente aiutato a contenerne i costi e a contribuire al suo sviluppo.
Quel modello è entrato in crisi, al di là del legittimo protagonismo associativo, quando l’offerta commerciale ha iniziato a superare la domanda. La crisi, il calo dei consumi e l’obsolescenza dei format commerciali hanno fatto il resto.
Le imprese inizialmente hanno preferito seguire una impostazione sindacale tesa ad accettare differenze significative tra i vecchi collaboratori e i nuovi (sugli inquadramenti, sulla qualità del rapporto di lavoro, sugli orari, e sul lavoro festivo e domenicale) che hanno contribuito non poco a dividere la vecchia guardia sindacale dai nuovi assunti che andavano via via aumentando.
Poi, sempre le aziende, hanno messo in discussione le rigidità organizzative e i premi fissi presenti nella contrattazione aziendale bloccandola, cancellandola o negoziando modifiche sostanziali mentre la crisi costringeva a chiudere contemporaneamente molti punti vendita obsoleti e, infine non riconoscendo il contratto nazionale del terziario firmato da Confcommercio e, proponendo un percorso autonomo.
Questa escalation supportata in ogni realtà da forme di coinvolgimento, importanti investimenti formativi, sistemi premianti, prospettive di carriera o di trasformazione del contratto da tempo determinato o parziale a tempo pieno ha disarticolato ed emarginato il ruolo delle organizzazioni sindacali e il rapporto tra rappresentanti interni dei lavoratori con i lavoratori stessi.
Il sindacato, a quel punto, anziché reagire studiando, analizzando il cambio di passo, comprendendo i problemi veri e avanzando proposte di governo delle situazioni concrete si è lasciato isolare nelle singole realtà limitandosi ad una difesa della vecchia generazione di lavoratori, lasciando i nuovi assunti completamente in balìa delle imprese. Paradigmatica è la inutile guerra sulle festività e sul lavoro domenicale limitata ai lavoratori meno giovani o l’incapacità di chiudere il contratto della distribuzione cooperativa proprio per tutelare prerogative di una particolare fascia di lavoratori.
A quel punto le aziende utilizzando al meglio il turn over e la flessibilità in entrata, hanno potuto costruire, intorno alle figure manageriali che si sono nel frattempo moltiplicate, una struttura di controllo, di sviluppo professionale e di gestione delle risorse, estesa fin dentro ad ogni punto vendita, coinvolgente e severa ma in grado di cooptare i collaboratori più disponibili ed emarginare quelli meno disponibili.
Il sociologo Renato Curcio (sicuramente più noto per altro ma estremamente puntuale nello studio della sociologia delle organizzazioni della GDO) parla di “singolarizzazione del rapporto di lavoro”.
Singolarizzazione nella quale lo scambio è ovviamente asimmetrico e prevede comunque la sostanziale esclusione del sindacato. È avvenuto in un tempo relativamente breve qualcosa che ha messo in discussione il modo di concepire il lavoro “in termini di tempo, di spazio e di mansioni”.
Quindi il lavoro nella GDO ha perso, sempre usando le parole di Curcio, la sua dimensione sociale e collettiva assumendo solo una dimensione personale.
In altri termini ciò che fino a pochi anni fa coinvolgeva solo figure apicali in certi contesti e con i dovuti distinguo si è diffuso a tutti i collaboratori siano essi precari, a tempo determinato, a parte Time o con specifiche esigenze personali o familiari da soddisfare.
E, per chi non viene “ingaggiato” dalle aziende e su cui insistono investimenti, formativi e professionali importanti, resta un destino di lavoro povero, precario e marginale più vicino al proletariato della logistica…
Il prossimo (primo) contratto della GDO – Federdistribuzione, se mai ci sarà, fotograferà inevitabilmente, e in modo netto, questa asimmetria. Con diversi tipi di conseguenze.
La prima evidente che porta con sé il rischio di consolidamento di una spaccatura tra tutelati e marginali. I primi lontani dal sindacato per scelta, i secondi per necessità.
Una seconda conseguenza è rappresentata dal rischio di sgretolamento della contrattazione nazionale dell’intero settore del commercio distributivo (quella aziendale è inesistente) dove la presenza di ben quattro contratti a disposizione delle imprese provocherà nel giro di poco tempo un inseguimento al ribasso sempre più difficile da governare dalle associazioni di categoria.
La terza conseguenza riguarderà una ulteriore messa in discussione del ruolo del sindacato di settore e la sua affidabilità come interlocutore con evidenti conseguenze a medio lungo termine sul sistema bilaterale e sulla gestione dei fondi contrattuali.
Per le imprese, ormai ripiegate sul breve, soprattutto se multinazionali, ci sono indubbi vantaggi. Non applicare i contratti, ritardarne l’applicazione, utilizzare la leva economica per dividere “i buoni dai cattivi” comportano risparmi importanti con i quali attenuare i margini commerciali in crisi. Sul lungo, al contrario, non è così. Anzi.
Quindi ci sono diversi approdi al post fordismo contrattuale. Nessuno è scontato e nessuno è dovuto. Ma questo presuppone un salto di qualità sia delle associazioni datoriali che sindacali. Altrimenti l’esito appare scontato e non certo equilibrato.