La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…

L’inflazione è una brutta bestia. Non colpisce solo il consumatore e la filiera nel suo complesso. Colpisce anche il lavoro dipendente di tutte le attività a monte e a valle. Scordarselo relegandolo ad un problema secondario è un errore. Rilancia inevitabilmente la questione salariale e del lavoro  anche nella Grande Distribuzione. Lo dico pur essendo convinto che questo elemento manca completamente nelle riflessioni dei CEO delle diverse insegne.

Il rinnovo dei CCNL è bloccato da oltre due anni. Né Confcommercio né Federdistribuzione sembrano in grado di fare proposte. Confesercenti e Coop girano anch’esse alla larga. Sul tema c’è una grave caduta di autorevolezza delle associazioni datoriali. È anche una questione di serietà. Non si firmano scadenze e impegni senza rispettarne i termini. Altrimenti sarà inevitabile arrivare al salario minimo di legge.

E così, anziché sfidare il sindacato di categoria sui temi decisivi che accompagneranno i prossimi anni di vigenza del CCNL, si trincerano tutti dietro ad un facile  “NO” al rinnovo pur mascherandolo con argomentazioni legittime quanto fuorvianti. Nessuna organizzazione fa il primo passo per paura di essere scavalcata (al ribasso) dall’altra. È il frutto avvelenato  dell’aver voluto fare del CCNL argomento di concorrenza associativa senza essere in grado di gestirne le conseguenze.

Sui temi del lavoro nella GDO le idee sono poche e confuse. Alle imprese spaventate dai costi non viene proposto nulla di innovativo. E quindi prevale la preoccupazione e l’incertezza sul futuro prossimo che chi riveste responsabilità politiche nelle rispettive associazioni si limita a cavalcare. È chiaro che esiste un problema di fondo che attraversa tutto il mondo del lavoro dipendente. Leggi tutto “La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…”

Carrefour Italia e franchising. Adelante, Pedro, con juicio, si puedes…

“Avanti, Pedro, con giudizio, se puoi”, l’espressione diventata proverbiale che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano Antonio Ferrer che si rivolge al cocchiere è, in estrema sintesi ciò che i sindacati hanno ribadito a Cristophe Rabatel CEO di Carrefour con la sottoscrizione  del recente accordo sul franchising e sulla gestione degli esuberi. Pandemia  e crisi delle grandi superfici in generale hanno certamente spinto all’intesa. Aggiungo  che la preoccupazione di non lasciare aperta una vicenda in presenza di tensioni sulla proprietà del Gruppo Carrefour e la volontà della stessa azienda di concentrarsi sul piano di rilancio evitando problemi sindacali nel 2022 hanno determinato, tutto sommato, un risultato significativo.

Il franchising, indipendentemente dalle scelte di Carrefour, sta diventando sempre più importante nella GDO. Per questo non può  più essere esclusivamente considerato  un luogo destinato al cosiddetto lavoro povero come elemento strutturale del business. È, al contrario, una realtà in crescita che deve prendere sempre più coscienza di sé, del proprio ruolo e delle responsabilità collegate. Non è però così dappertutto.

Alcune imprese hanno scelto questa strada per scaricare le loro contraddizioni spostando parte del rischio di impresa sul lavoro. L’adozione di forme contrattuali spurie ne è una dimostrazione evidente. Aggiungo che  nel comparto ci sono stati diversi segnali negativi, anche sul piano commerciale e gestionale,  che hanno addirittura costretto insegne importanti a rescindere i contratti in essere con loro franchisee. Le tensioni attengono  ai costi di gestione, alla capacità o meno di allineare brand e politiche commerciali, ai rapporti spesso imposti con le centrali di acquisto e alla logistica. C’è quindi sempre il rischio, sollevato da alcuni esperti, che franchisor e franchisee nella GDO, viste le dimensioni del business, prendano percorsi paralleli destinati spesso a non incontrarsi confondendo così il consumatore finale.

La multinazionale francese ha però deciso, su questa scelta, di impostare la sua strategia di uscita dalla crisi e giocare buona parte delle sue carte. Non solo in Italia.
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La partecipazione dei lavoratori ai tempi del PNRR…

Poco prima di Natale tra il Governo Draghi e i leader dei tre sindacati confederali è stato sottoscritto un testo, a mio parere, significativo (https://bit.ly/3zbnkAX). Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha dichiarato: “La firma del Protocollo per la partecipazione e il confronto nell’ambito del PNRR, sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai segretari generali di CGIL, CISL e UIL, è un risultato molto importante perché consente un confronto preventivo sugli investimenti e le riforme, sia a livello nazionale, sia a livello territoriale”.

Non esiste, purtroppo,  né un documento comune all’insieme delle parti sociali né un analogo documento che coinvolga almeno le rappresentanze datoriali più rappresentative e quindi ancora una volta si è scelto di stabilire che un importante strumento di ascolto, confronto e partecipazione alle decisioni che attengono le ricadute del PNRR a tutti i i livelli non escluda il sindacato confederale da un coinvolgimento positivo ma senza che questo implichi una vera corresponsabilizzazione triangolare (Governo, imprese e sindacati) sulle scelte che determineranno buona parte della qualità del futuro del nostro Paese.

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Contratti nazionali Grande Distribuzione. Trattative lunghe, idee corte…

Che si arrivasse allo stallo attuale sui contratti nazionali della grande distribuzione era evidente a tutti già il giorno dopo la firma dei 4 CCNL presenti nella GDO.

Nell’ultimo incontro tenuto il 19 ottobre 2021 tra le organizzazioni sindacali Fisascat-Cisl, Filcams-Cgil e Uiltucs e Federdistribuzione la difficoltà ad arrivare ad una conclusione positiva del CCNL scaduto il 31 dicembre 2019 è emersa in tutta la sua dimensione.

Secondo il comunicato della Uiltucs “Federdistribuzione ha manifestato preoccupazione rispetto a due elementi che potrebbero seriamente incidere sul versante dei costi nel medio periodo: fiammata inflazionistica e riforma degli ammortizzatori sociali”. Per non registrare un nulla di fatto “si è stabilito, per il prosieguo del confronto, di dare vita a tre commissioni su classificazione, mercato del lavoro e relazioni sindacali”. Una commissione, purtroppo, quando si vuole prendere tempo, non si nega a nessuno.

Sul versante Confcommercio oltre alle medesime ragioni di preoccupazione, si aggiungono i venti euro circa di sconto che, concessi a suo tempo a Federdistribuzione, pesano sul tavolo negoziale come macigni. Mi immagino, ad esempio,  il peso di quella differenza sul costo dei  settantamila dipendenti circa di Conad che applica il CCCNL firmato da Confcommercio e sulla conseguente necessità di trovare soluzioni che consentano un riequilibrio. Altrimenti il riequilibrio rischia di essere proprio determinato dal “non” rinnovo per il tempo più lungo possibile.

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Carrefour. Il franchising è una scelta di rilancio o una scelta obbligata?

Serve a poco stupirsi della progressione geometrica dei piani di ristrutturazione annunciati da Carrefour negli ultimi dieci anni. Quelli passati non c’entrano nulla con il presente. Anzi. Per certi versi lo scenario che deve affrontare e tentare di risolvere il CEO italia  Cristophe Rabatel è, al contrario, proprio la conseguenza di quei piani falliti, delle occasioni e del tempo persi cullandosi nell’illusione che la malattia fosse meno grave del previsto e che era inutile affrontarla con la determinazione necessaria.

Certo, questo non assegna patenti di credibilità al nuovo CEO ma non serve a attardarsi sulle responsabilità passate. Queste ci sono ma serve a poco ribadirle. In un’azienda di quelle dimensioni e rigidità decisionali dove le leve per mantenere equilibrio tra fatturato e margini scontano la difficoltà a percorrere sperimentazioni su innovazione e progetti vari oltre un certo periodo di tempo non è difficile trovarsi su di un piano inclinato  da cui non è facile risalire.

Cristophe Rabatel non ha potuto fare altro che accelerare i processi decisi da chi l’ha preceduto e forzare sulla strategia del franchising per ridurre i costi. Un rischio sul futuro dell’azienda, una necessità in mancanza di alternative. E questo porta con sé l’inevitabile  conseguenza  sulle diseconomie indotte sulla sede. 

Rabatel, in perfetta sintonia con Alexandre  Bompard  CEO del gruppo, ha avuto la missione di mettere in sicurezza i conti, costi quel che costi. Negli anni precedenti l’azienda ha avuto paura di affrontare la situazione. I più avveduti ricorderanno il tentativo di disdetta del CIA poi ritirato e congelato negli anni a seguire anche in forza delle proteste sindacali e le rigidità di Carrefour in sede di rinnovo del CCNL. Leggi tutto “Carrefour. Il franchising è una scelta di rilancio o una scelta obbligata?”

La Grande Distribuzione e il rinnovo dei contratti nazionali che non c’è…

“Quando gli elefanti litigano è sempre l’erba ad andarci di mezzo” recita un antico proverbio africano. Non mi viene in mente altro se devo valutare le ragioni e l’impasse delle quattro associazioni sui rispettivi rinnovi del contratti applicati nella grande distribuzione. I sindacati di categoria sono in grande difficoltà perché ad oggi, al di là di incontri inconcludenti, non riescono a stringere né sulla forma né sui contenuti. Il tempo passa e il principale rinnovo del Paese per numero di addetti coinvolti  è bloccato per manifesta incapacità ad esercitare un ruolo di  leadership che non sembra essere più nelle corde della Confcommercio.

In attesa dell’annuncio dell’entrata di Conad nei ranghi confederali  che i vertici attendono per poterla vendere a tutto tondo e  dimostrare all’esterno di non essere affatto in crisi, tutto è fermo. Mossa sicuramente intelligente da parte di Conad quella di entrare in Confcommercio che conferma lo sguardo lungo. Fondamentale in questo periodo per Confcommercio per tirare il fiato sulle critiche di immobilismo anche se questa entrata potrebbe provocare l’uscita di CRAI che dopo quella del Gigante e l’entrata formale di LIDL in Federdistribuzione sta accelerando cambiamenti ed equilibri del comparto.

Il vertice di Confcommercio in evidente difficoltà ha bisogno assolutamente di qualcosa da vendere  all’esterno per uscire dall’angolo. Nella prossima assemblea il Presidente pur in grande affanno qualcosa dovrà pur dire. L’importante firma dell’accordo sindacale ad  Amazon se lo è intestato Conftrasporto. Il rischio di una guerra interna in Confcommercio con chi vede Amazon come il fumo negli occhi ha consigliato cautela nell’assumersi un risultato che è comunque estremamente importante.

Donatella Prampolini che ha la delega di Sangalli sul lavoro e i contratti si guarda bene dal proporre al Presidente forzature o accelerazioni al confronto con i sindacati di categoria che potrebbero compromettere le sue personali speranze di possibile corsa ai vertici dell’organizzazione. Leggi tutto “La Grande Distribuzione e il rinnovo dei contratti nazionali che non c’è…”

La rappresentanza datoriale tra leader e follower.

Ha ragione Rita Querzè quando scrive sul Corriere della necessità di coinvolgere i cosiddetti “piccoli” (https://bit.ly/3u99kVX) sulla proposta, lanciata da Draghi all’assemblea di Confindustria, di condividere con politica e parti sociali una idea di sviluppo che guardi alle prossime generazioni.

L’associazione degli industriali e il sindacalismo confederale sono parti importanti ma non sufficienti come interlocutori. Occorre che lo spirito e i contenuti di questa “prospettiva condivisa” che ipotizza un coinvolgimento importante di tutti  raggiungano anche le parti sociali spingendole anch’esse a guardare agli interessi del Paese e al futuro più che ai loro perimetro associativi.

Non è facile per l’eterogeneità degli interessi che ciascuno è chiamato a tutelare e soprattutto perché l’essersi attardati difendere ciascuno le proprie prerogative e convinzioni  rappresenta uno degli elementi che più hanno ostacolato innovazioni e cambiamenti nel nostro Paese.

D’altra parte se non abbiamo dovuto fare i conti con gilet gialli, forconi e tensioni sociali lo si deve alla capacità dei corpi intermedi di canalizzarne le problematiche impedendone l’esplosione. E questo non va mai dimenticato.  Leggi tutto “La rappresentanza datoriale tra leader e follower.”

Amazon. Un accordo sindacale che richiede cambiamenti (non solo all’azienda)

Un buon accordo sindacale dovrebbe essere salutato per quello che è. Senza inutili esagerazioni e senza assegnare all’intesa raggiunta  altro che non sia ciò che è stato concordato. Il percorso accidentato che ne ha accompagnato  i tempi di maturazione, le posizioni di partenza, le differenti culture che si sono scontrate dovrebbero cedere rapidamente  il passo alla reciproca volontà espressa nel testo aprendo una  nuova fase.

A rendere inevitabile l’intesa tra Amazon e le organizzazioni sindacali, anche attraverso la mediazione del Ministero del Lavoro, hanno concorso,  diversi fattori. Innanzitutto il peso economico e occupazionale che la multinazionale sta  avendo nel nostro Paese. L’importanza delle relazioni con il contesto sociale e politico per il suo business concreto in una realtà come la nostra non poteva certo essere sottovalutato dai vertici aziendali. E questo, indipendentemente dal carico simbolico che Amazon evoca, dalle dinamiche sindacali reali pressoché inesistenti dentro il suo perimetro  o dai toni esagitati utilizzati sui piazzali.

Stabilire normali relazioni industriali con i tre sindacati confederali con l’obiettivo di cercare di evitare strumentalizzazioni sul business, sull’organizzazione del lavoro e sulla gestione del personale è un dato comunque positivo. Non è un caso che l’azienda, con il crescere della dimensione, e in previsione di questo percorso si sia data una struttura manageriale anche nelle risorse umane in grado di accompagnarne la crescita e l’interlocuzione sociale.

Amazon sa benissimo che deve scontare un’avversione pregiudiziale causata dalla sua provenienza, dalla dimensione e pervasività in numerosi settori, dal suo agire su terreni tradizionali in modo nuovo dove, come cantava Jovanotti,  “le regole non esistono esistono solo le eccezioni” e che la loro normazione in un singolo Paese sono molto  complesse. Il futuro però non si attende ma si fa con l’andare. Fermarlo è impossibile.  E chi insegue sul terreno del business spesso, anziché individuare e affrontare i propri limiti, si limita a chiedere l’intervento di un fantomatico “arbitro” da cui pretendere una imparzialità facile a dirsi ma difficile da realizzare. Leggi tutto “Amazon. Un accordo sindacale che richiede cambiamenti (non solo all’azienda)”

Grande Distribuzione. Lo stallo sui CCNL spinge il salario minimo…

Non credo che Confcommercio avesse messo in conto che l’uscita di Federdistribuzione dal loro CCNL ne avrebbe comunque messo in discussione la capacità di movimento e di iniziativa e la stessa Federdistribuzione che la sottoscrizione di un ulteriore contratto nazionale avrebbe contribuito a indebolire complessivamente  il sistema.

Per loro si trattava di stabilire un legittimo principio di rappresentatività a cui tenevano molto. Le conseguenze, purtroppo, sono però sotto gli occhi di tutti. La contrattazione nazionale è bloccata, i firmatari dei diversi CCNL aspettano le mosse delle associazioni concorrenti e altri CCNL con retribuzioni e condizioni ben diverse rispetto a quelli principali si stanno diffondendo un po’ ovunque rispettando il principio che, nel nostro Paese, ogni datore di lavoro ha il diritto di scegliere il CCNL che ritiene più idoneo alla propria attività.

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Delocalizzazioni e politiche attive. Una discussione partita con il piede sbagliato…

Le discussioni recenti sui processi di delocalizzazione coinvolgono poche imprese industriali. Situazioni politicamente rilevanti sul piano locale ma assolutamente marginali sul piano generale. Sufficienti però a scatenare polemiche inconcludenti quanto inefficaci tese a contrastare un fenomeno che ha ragioni profonde. O proposte di legge elaborate per  restare in un cassetto perché destinate a produrre più danni di quelli che si vorrebbero evitare. 

A volte si semplifica assegnando al termine “delocalizzazione” un significato semplicemente negativo perché legato a ciò che provoca in termini occupazionali alla  realtà che chiude dimenticando che le imprese, se coinvolte in processi di internazionalizzazione della catena delle forniture restano competitive solo se inserite in catene globali di produzione.

E questo le spinge  non solo ad operare sul piano dei costi e del superamento di burocrazie e vincoli legislativi locali ma a concentrarsi, attingere alle migliori risorse, a sistemi scolastici collegati, ai mercati di sbocco e di approvvigionamento più profittevoli, a nuove tecnologie di prodotto o di processo.

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