L’uscita di Lidl da Federdistribuzione si era consumata da pochi minuti che già si è rimessa in moto la manfrina sulle responsabilità della situazione. Mentre il sindacato di categoria ribadisce la “distanza incolmabile” proclamando nuovi scioperi, Federdistribuzione sottolinea in un comunicato di “avere già espresso la propria disponibilità a riprendere la trattativa ribadendo che la propria posizione negoziale è sempre stata costruttiva”. Così però non se ne esce.
L’occasione di questo rinnovo avrebbe dovuto confermare un momento di convergenza, di unità e di rilancio dell’intera GDO sul piano politico e sociale pur essendo ancora “dispersa” in ben quattro contratti nazionali. Ci hanno provato Confcommercio e Confesercenti procedendo appaiate fino alla meta, ci ha rinunciato, purtroppo, Federdistribuzione. La cooperazione, considerato il contesto, si è intelligentemente smarcata riuscendo comunque a realizzare un contratto dignitoso nonostante ci sia da sempre chi cerca di tenerla ai margini di un percorso unitario per la sua cultura costitutiva. Un errore grave, visti i tempi, le problematiche gestionali e di mercato, ormai comuni.
Se consideriamo una sostanziale condivisione e integrazione del welfare già in atto tra le aziende che fanno capo a Confcommercio e quelle che fanno capo a Federdistribuzione (welfare sanitario, Quadrifor e Previdenza) il processo di avvicinamento avrebbe potuto continuare sul salario e, appunto, sul welfare, gestiti a livello confederale, e un sottostante specifico gestito dalle diverse associazioni presenti nei singoli comparti stessi che, nel terziario, sono vari e molto diversi tra di loro. Per fare questo sarebbe stata necessaria una visione e un gruppo dirigente sia in Confcommercio che in Federdistribuzione che sapesse andare oltre l’orizzonte delle rispettive appartenenze con disponibilità e generosità. Inutile sottolineare che alcune centrali di acquisto della GDO hanno al proprio interno insegne che applicano contratti di lavoro dell’una o dell’altra associazione senza particolari problemi. Alcune altre, addirittura, accettano, al loro interno, contratti nazionali costruiti localmente su misura…
In fondo l’entrata di Conad in Confcommercio con la vice presidenza a Francesco Pugliese e l’elezione di Carlo Alberto Buttarelli in Federdistribuzione avevano fatto pensare che i tempi di una convergenza, utile all’intero comparto, fossero ormai maturi. Quasi tutte le grandi insegne, in via riservata, mi avevano confermato questa precisa volontà di puntare ad una prospettiva di riunificazione associativa della GDO. E se questo ha funzionato con l’interlocuzione unitaria su altri temi (vedi ADM) e con il Governo, sull’inflazione, non è riuscita a decollare sul piano della strategia sociale per la mancanza di lucidità di un intero gruppo dirigente sulla materia che ha preferito continuare a ritenere il sindacato di categoria come un semplice portatore di costi e le relazioni industriali come un “derivato inevitabile” della gestione del personale delle singole aziende. Non come un tassello di un contesto complessivo che andava mutando.
Lidl ci ha messo poco a capire la fragilità e la complessità decisionale di Federdistribuzione. È bastato ascoltare i CEO delle diverse insegne quando si misurano sul lavoro, sul sindacato, sulle prospettive nel comparto e ha preferito andarsene. Conad, in Confcommercio, vive più o meno la stessa situazione da separato in casa. La differenza è che Conad era ed è più “strutturata” e autonoma sul piano politico, più considerata in Confederazione per il suo peso a livello locale e quindi più abituata ad assorbire le contraddizioni di un mondo che vuole associare le imprese ma non ne apprezza il protagonismo. Come ho già scritto un contratto nazionale richiede capacità di sintesi complesse. Non è un contratto aziendale un po’ più grande per cui è sufficiente la competenza dei pur bravi direttori risorse umane. Serve una visione politica complessiva e la conseguente capacità di operare sintesi autorevoli nei passaggi chiave. Altrimenti si pesta l’acqua nel mortaio. Soprattutto non possono prevalere le tattiche di singole realtà sugli interessi complessivi dell’associazione.
Federdistribuzione non ha torto quando rivendica una “distintività” del suo CCNL. Il suo comitato lavoro (composto dagli HR) ha però avuto cinque anni per costruirla e non ha fatto nulla. Per questo passa dalla parte del torto quando la pretende oggi dal sindacato senza voler concedere nulla sui temi socialmente sensibili. Così facendo dimostra che non c’è né la volontà condivisa né la capacità di sintesi politica per chiudere un contratto nazionale veramente “distintivo” per ENTRAMBE le parti. Scambiare l’innovazione necessaria con il proprio punto di vista è un po’ poco di questi tempi. In più deve gestire la contraddizione tra le insegne più impegnate sul fronte dello sviluppo delle loro risorse umane con l’ossessione di altre che vogliono utilizzare la sponda del CCNL per evitare di dover dare risposte nel loro specifico organizzativo, dal franchising al lavoro povero indotto dal part time involontario, alle declaratorie liberamente interpretate fino ai sub, sub appalti. Ed è questo che ha neutralizzato qualsiasi velleità nel definire una “distintività” condivisa con le organizzazioni sindacali. Ancora di più, in questa situazione dove, l’aspetto economico, è già stato di fatto, individuato da Confcommercio e Confesercenti e condiviso nelle dichiarazioni ufficiali da Federdistribuzione. Un’impasse nella quale non sarà facile districarsi senza un deciso passo indietro. Come peraltro ha fatto Confcommercio.
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