Amazon riparte anche da Whole Foods…

Sei anni fa, Amazon ha acquistato Whole Foods per 13,7 miliardi di dollari. Non va sottovalutato che, prima di quella acquisizione, dal 2007 al 2017, (Amazon Fresh ha debuttato nel settore alimentare nel 2007), ha implementato diverse strategie per aumentare la propria percentuale nel business alimentare, ma nulla ha praticamente funzionato. Da qui, probabilmente,  la scelta di acquisire Whole Foods e qualche anno dopo di ingaggiare da Tesco, Tony Hoggett. Sempre però con in testa la costruzione dell’intero suo ecosistema su cui punta Amazon.

Da allora, ci sono stati molti cambiamenti, tra cui la nomina del nuovo CEO Jason Buechel a partire dal 1 settembre 2022 subentrato al leggendario fondatore John Mackey. Va considerato che, sebbene Whole Foods stia aprendo punti vendita, le entrate  2023, pur migliorate rispetto al 2022, sono più o meno allo stesso livello del  2017. Buechel ha avuto il compito di portare aria nuova in un marchio importante  che ha aperto la strada al naturale e al biologico negli USA  più di 40 anni fa.  Whole Foods offre più di 37.000 prodotti biologici in oltre 535 negozi. L’obiettivo è di aprire fino a 30 nuovi negozi all’anno. Dall’arrivo di Amazon, l’azienda ha curato e differenziato i suoi assortimenti, aggiungendo 3.000 marchi locali negli ultimi cinque anni con un aumento del 30% tra il 2017 e il 2022.  Fino ad ora, però, il cambiamento più significativo  apportato da Amazon è stato sul versante dei fornitori. Meno fornitori locali e più grandi fornitori in grado di  soddisfare la domanda complessiva. Una standardizzazione necessaria per ridurre i costi e assicurare rifornimenti costanti pur  correndo il rischio di eliminare molti articoli particolari, scontando la difficoltà con quella parte di clienti alla ricerca proprio di prodotti unici che non potevano essere trovati altrove.

Oggi, Whole Foods,  è ben più di una semplice attività  complementare per Amazon. Il retailer è un laboratorio di innovazione,  parte fondamentale dell’obiettivo più ampio assegnato da Jassy a Tony Hoggett di creare una strategia di alimentari best-in-class per Amazon. Non bisogna mai sottovalutare che il mercato alimentare USA vale 800 miliardi di dollari e l’industria alimentare genera vendite per 1,5 trilioni di dollari. Alimentazione  e generi alimentari sono quindi strategici per Amazon semplicemente per le dimensioni del mercato. A questo aggiungo, la potenzialità dei dati a disposizione, la capacità di introdurre prodotti a marchio del distributore e l’aumento della notorietà del marchio Amazon sono ulteriori motivi della presenza strategica di Amazon nel retail alimentare.

Non invidio Jason Buechel perché Whole Foods sta affrontando un profondo cambiamento all’interno delle strategie retail di Amazon che tocca la natura stessa dell’insegna. L’obiettivo principale è di riposizionare l’azienda  nell’ecosistema complessivo  di Amazon. Tony Hoggett, SVP Worldwide Grocery Stores di Amazon, sta lavorando anche con il team di Whole Foods, per identificare la migliore strategia per semplificare il processo di acquisto di prodotti di largo consumo da parte dei clienti e riunire i marchi (Whole Foods, Amazon Fresh, Amazon). Hoggett sa che i membri Prime sono clienti di grande valore e mira a migliorare la loro esperienza di acquisto. Dalle offerte esclusive alla consegna più rapida, Hoggett immagina Prime come un programma fedeltà complessivo. Nel retail in rapida evoluzione, l’ex Tesco, ritiene che abbracciare la tecnologia e l’innovazione siano fondamentale per stare un  passo avanti alla  concorrenza.

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Supermercati e discount: così diversi e così uguali….

Se domani mattina atterrasse un marziano in una qualsiasi città italiana e chiedesse alle persone incontrate di indicargli il discount più vicino credo otterrebbe una risposta immediata. Eurospin ne ha circa 1200 distribuiti pressoché ovunque. Lidl supera i 730, Penny ne ha circa 350, MD 820, In’s 560 e Todis 237 punti vendita. E ce ne sono molti altri. Difficile non notarli. Se al contrario, al marziano, venisse consegnato  un elenco delle insegne, che alcuni insistono a definire  discount, e dovesse  lui stesso, cercare in ciascuno dei loro siti aziendali la presenza della parola “discount”, resterebbe deluso.

Ho provato a scorrere velocemente i siti principali partendo dal “Chi siamo” di alcune  insegne tra le più note. Una sorta di carta di identità dell’azienda. L’unica che rivendica con orgoglio la definizione  è la prima della classe, Eurospin: “Siamo Eurospin, il più grande Gruppo discount italiano…”. La tedesca Penny, l’essere un discount, lo accenna in quarta riga. Poi cambia subito discorso e parla di Rewe. La loro casa madre. Lidl non ne parla praticamente per nulla. MD prende addirittura le distanze definendosi “uno dei più importanti player della grande distribuzione italiana, ormai lontana dai canoni del discount ma sempre più marchio della buona spesa”. Todis guarda avanti: “Rappresentiamo per i nostri clienti una soluzione alternativa alla spesa tradizionale. Un mondo in cui la qualità incontra la convenienza.” Per In’s:”Dal 1994 siamo al fianco delle famiglie per offrire loro una spesa completa e di qualità, con una convenienza che dura tutto l’anno”. Infine Aldi gonfia il petto e va subito al dunque: Aldi è “riconosciuta in tutto il mondo tra le più importanti multinazionali nel settore della Grande Distribuzione Organizzata”.

L’intera GDO tradizionale ha dovuto aspettare che ci pensasse Valerio De Molli a Marca by BolognaFiere  a ridisegnare perimetri e confini. Anche la stessa “Politica” si è accorta (finalmente) che dietro questa parola un po’ strana per addetti ai lavori “marca del distributore” c’è un mondo fatto di PIL, lavoro, Made in Italy, artigiani, agricoltori, piccoli industriali e distributori. Una filiera di interessi e di opportunità che va ripensata e valorizzata. Anche per questo serve a poco discutere se sdoganare o meno  i discount e la loro influenza sull’intero comparto. Lo hanno già fatto da soli.  Resta l’Italia del Gattopardo, quella che parla di cambiamenti (degli altri) ma non ha alcun interesse a cambiare.  I discount, quelli veri, continuano la loro metamorfosi e parlano di spesa intelligente, di buona spesa, di qualità e convenienza. E comunicano tanto e in modo altrettanto significativo. C’è chi si attarda sui formati e chi guarda al cliente e alle sue esigenze. E cerca di soddisfarle…

Aldi, ad esempio, ha rilanciato il suo “PREZZO ALDI”, rappresentato da circa 2.000 referenze Made in Italy di cui circa 130 di frutta e verdura e 30 marche private. Ha dato una sua intelligente  interpretazione al carrello tricolore garantendo ai propri clienti da ottobre, in aggiunta ai ribassi già praticati nel corso dell’anno, una selezione di oltre 200 prodotti essenziali come pasta, carne, latte, salumi, formaggi e pesce, accanto a referenze per l’igiene personale, la cura della casa e degli animali a prezzo bloccato, ma con la qualità di sempre. Un impegno che verrà potenziato con oltre 300 prodotti e portato avanti fino a fine marzo 2024 per sostenere le famiglie in difficoltà con una spesa conveniente che mette al primo posto la sicurezza alimentare. Impegno analogo anche per Lidl che  annuncia anch’essa  il proseguimento dell’impegno contro l’inflazione, arrivando a ribassare i prezzi di oltre 500 prodotti.  “Questa ulteriore iniziativa testimonia il nostro impegno a fare la nostra parte per supportare le famiglie nel contrasto al carovita, perché la situazione economica è ben lontana dall’essere risolta e continua a richiedere il nostro contributo.”afferma Massimiliano Silvestri, 45 anni, Presidente di Lidl Italia.

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Esselunga. Che 2024 sarà?

La ragazza con il nijab che ti accoglie sorridente alla cassa 3 di viale Cassala a Milano, la proliferazione di sconti e promozioni sui lineari, il via vai sempre fitto  dei clienti, soprattutto pensionati, in una giornata qualsiasi, il bar affollato mentre fuori minaccia di piovere segnalano una normalità  evidente. Esperti in voti e pagelle e consumatori abituali intervistati a fine anno sembrano concordare. Esselunga è tra le migliori insegne del 2023. I numeri lo confermano. Così come il distacco che mantiene dalle insegne, tradizionali  competitor, che lottano da sempre per il secondo posto. Non è certamente uno dei punti vendita più innovativi e moderni dell’insegna ma, Viale Cassala, seppur rimesso a nuovo, testimonia, per chi lo vuole vedere,  il nuovo contesto  con cui l‘insegna deve fare i conti.  A pochi metri, una Lidl dotata di un grande posteggio ordinato con un layout moderno  e con una presenza di clienti molto più eterogenea  e ben più competitiva  del classico discount è lì a simboleggiare che lo scenario è cambiato. È che ha sarà più come prima.

Personalmente credo che il 2024 sarà un anno cruciale  per l’insegna di Pioltello. Qualche decisione importante sulla direzione di marcia e quindi sulla strategia dovrà essere presa. L’azienda oggi è in affanno e lo si percepisce se si gira per i punti vendita della città e dell’hinterland. Circondata nei suoi territori di elezione, da discount competitivi e insegne toste che, dal Varesotto e dalla Valtellina (Tigros e Iperal) insidiano la provincia di Milano, insieme a qualche  intrepido specialista tipo Banco Fresco e contemporaneamente dalla eccessiva numerosità dei diversi concorrenti tradizionali che con la loro diffusione territoriale, hanno contribuito a spingere i consumatori  ad un nomadismo ormai senza ritorno. Si va dove conviene e, in coda alle casse, le variopinte borse della spesa dei concorrenti segnalano questa tendenza ormai ineluttabile. L’azienda di Pioltello fatica a tenere le distanze come  in passato.

Il bacino di clienti è quello. Anzi. Per certi versi è in leggero  calo. Esselunga era poi abituata ad una concorrenza non alla sua altezza e in gara  solo per il secondo posto. I concorrenti  oggi sono molti di più e l’infedeltà dei consumatori storditi dall’inflazione e da politiche commerciali aggressive, sempre più tattiche che strategiche, presenti ovunque confondono e colpiscono “sotto la cintura”. Esselunga reagisce, replica colpo su colpo. La lotta, però, sta rischiando di sacrificare parte della  distintività dell’insegna. Un’identità che si è sempre retta innanzitutto sulla coerenza e sulla qualità del modello, ma anche sulle competenze e sul lavoro del management, sulla passione del personale,  sul rapporto speciale con i suoi clienti. E, infine, riuscendo a costruire un equilibrio, probabilmente unico, tra costi, margini e fatturato. Il carburante indispensabile  a far girare il motore più forte degli altri.

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Tra Ferrero e Barilla non c’è solo il carrello della discordia…

Per certi versi la “guerra” tra Ferrero e Barilla mi ricorda quella tra Galbani e Invernizzi nel comparto Lattiero Caseario a partire dagli anni 70 del secolo scorso. Galbani, delle due, era la più forte. Nulla di ufficiale ma i colpi bassi erano all’ordine del giorno. Sui prodotti, sulle promozioni e sul management. Alla fine non ha vinto nessuna delle due. Invernizzi  ha perso ed è stata acquisita da  Galbani. Quest’ultima lo era già stata da Lactalis. I contendenti di allora non ci sono più. La guerra tra “Ercolino sempre in piedi” e la “mucca Carolina” è rimasta confinata al novecento.

Vado a memoria ma più  o meno alla fine degli anni 70 Barilla è entrata nel mercato dei prodotti da forno. Faticò ad essere accettata nell’AIDI (l’associazione dei dolciari aderente a Confindustria). Per Ferrero e altri, un pastaio come Barilla, avrebbe dovuto restare nel suo perimetro. Schermaglie che annunciavano gli scontri futuri. Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi gli artefici del successo delle due aziende. Michele Ferrero grazie al suo DHR di allora  Carlo Sibona e Pietro Barilla grazie ad Albino Ganapini. Due leader così diversi. Il primo convinto della centralità  delle proprie radici,  premessa indispensabile per la crescita, il secondo per la capacità di guardare al mondo come un unico campo da gioco. Non ho conosciuto i figli però ho amici e ex colleghi in entrambe le aziende.

Credo  però che, anche per le aziende,  l’immortalità non sia garantita. “Who wants to live forever” (Chi vuole vivere per sempre?), cantano i Queen nella colonna sonora scritta per il film Highlander. La profezia ci dice che alla fine “ne rimarrà soltanto uno”. Vale per il film proposto nel 1986 vale per le imprese. Per questo  credo che prima o poi, questo scontro penalizzerà entrambe. Se continua così finirà, temo,  come tra Galbani e Invernizzi.

Tutto è precipitato  quando Ferrero ha pensato di entrare nel mondo della biscotteria fino a quel momento presidiata da Barilla con il suo Mulino Bianco e dalla replica (fuori misura) di quest’ultima sull’uso dell’olio di palma. Il “sweet agreement” fino a quel momento (probabilmente avallato dalla saggezza dei rispettivi padri) era  al contrario, caratterizzato dall’assenza degli uni nei segmenti dell’altro. Da lì in avanti, provare a farsi del male a vicenda è sembrata una costante. Non solo sconfinando entrambi su nuovi  prodotti dove l’altro si sentiva forte ma spostando risorse in ricerca, sviluppo, commercializzazione e marketing. Leggi tutto “Tra Ferrero e Barilla non c’è solo il carrello della discordia…”

Metro. I primi risultati della strategia 2030….

Nel mese di ottobre avevo trattato il cambio della guardia ai vertici di  METRO Italia (https://bit.ly/3FeQlji).  Il più importante specialista della food distribution per l’horeca con focus sulle imprese della ristorazione di taglia medio-piccola (21 milioni in tutto il mondo), presente in 35 paesi con oltre 150.000 collaboratori.  I marchi principali sono Metro e Makro nei cash & carry, e Real nei supermercati (un’insegna molto nota soprattutto in Germania, mentre Metro è un global brand).

Metro Italia ha 49 punti vendita in 16 regioni, 2 depositi per il canale FSD (Food Service Distribution) e circa 4.000 dipendenti e 800 fornitori partner presenti sull’intero territorio italiano. Tra ripresa dei consumi, inflazione e incertezza finanziaria, il 2023 è stato un anno certamente impegnativo. Il recupero sul pre pandemia per l’horeca sembra però ormai completato. Le sfide che il nuovo management è stato chiamato ad affrontare trovano così una  prima importante conferma. L’anno fiscale 2022/2023 si chiude con un fatturato di 1,97miliardi (+9,4 rispetto all’anno precedente). Numeri positivi anche quelli globali del Gruppo METRO AG: 30,6 miliardi di fatturato (+2,7% rispetto al 2021-2022).

“L’anno fiscale che abbiamo concluso è stato sicuramente sfidante e, nonostante l’incertezza data dal contesto macroeconomico, abbiamo raggiunto traguardi di cui siamo molto soddisfatti. L’Italia si conferma uno dei mercati chiave per la crescita di METRO a livello globale. Nel nuovo anno porteremo avanti la nostra “Strategia 2030” con tre obiettivi ben chiari: consolidare il nostro business multicanale, rispondere sempre meglio alle richieste dei nostri clienti con un assortimento declinato sulle loro esigenze, ridurre l’impatto delle nostre operazioni sull’ambiente per confermarci come partner d’eccellenza per i professionisti dell’HoReCa” – afferma Arnoud J. van Wingerde, Amministratore Delegato di METRO Italia.

Gli ottimi risultati sono stati spinti dal +6,5% delle vendite del Cash&Carry (1,53 miliardi di euro), +17,3 % del FSD – Food Service Distribution (434 milioni di euro) e +25,7% delle vendite dei prodotti a marchio METRO (622 milioni di euro); Positivo l’andamento anche del Mercato Online, lanciato a luglio 2022, con 12,6 milioni di euro di vendite; Ottimizzazione dell’assortimento e dell’esperienza di acquisto, digitalizzazione, valorizzazione dei prodotti a marchio e dei localismi saranno i pilastri della Strategia 2030 per l’Italia. Tra gli ambiziosi traguardi raggiunti ci sono anche quelli ESG, un pilastro chiave per l’azienda che con la nuova strategia presentata nel 2022 punta a essere “Carbon Neutral” entro il 2040. Leggi tutto “Metro. I primi risultati della strategia 2030….”

L’affanno di parte dell’associazionismo datoriale ai tempi del centro destra

Ha ragione Dario di Vico quando scrive sul Corriere Economia della delusione del mondo del commercio e dell’artigianato per le decisioni in campo economico e a difesa delle rendite di pochi, del Governo Meloni o di parte della sua maggioranza.  (https://bit.ly/3RVt0sV). Una delusione che però non può non comprendere anche l’inerzia manifestata dalle loro associazioni. Commercianti e artigiani (e non solo) credo fossero veramente convinti che il DEF (Documento di Economia e Finanza) avrebbe certificato, insieme alla strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine, un passo deciso a loro favore. Quasi un atto dovuto.

Le promesse elettorali da un lato, il silenzio  nelle fasi di elaborazione del documento da parte delle  associazioni di categoria  portavano a pensarlo. Gli stessi segnali alla ripresa post pandemia inducevano a supporre che il ceto medio sarebbe stato  in qualche modo messo al centro delle iniziative del Governo. Le associazioni di categoria che avevano contribuito alla vittoria del centro destra lo facevano intendere alle proprie strutture che, in seconda battuta,  avevano tranquillizzato gli umori e i timori degli associati.  Il segnale di “rottura” è però avvenuto con l’esplosione dell’inflazione. 

Anche le associazioni dei dirigenti aziendali si sono trovate spiazzate. Federmanager  e Manageritalia  hanno accusato il colpo sulle pensioni quando si sono accorte che, più che la legittima tutela del loro tenore di vita, alcuni, nel governo, inseguivano, pervicacemente quanto inutilmente,  il fantasma della Fornero come fosse ancora una priorità irrinunciabile. La petizione “Salviamo il ceto medio” lanciata a novembre ne ha segnalato  il loro disagio profondo.

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Amazon Fresh 2024. Make or Break?

Arrivato nel 2021 al posto di Jeff Besoz una delle prime grane che Andy Jassy si è trovato subito  sulla scrivania è stata cosa fare con Amazon Fresh e più in generale con la presenza nel retail fisico. Il 2024 sarà l’anno decisivo? “Make or break” sembra essere la perentoria domanda  del big boss (e degli investitori). Amazon si era già trovata in una situazione analoga nel 2015 con Amazon Books e i suoi negozi fisici o, come li chiamano loro, “brick & mortar”. La strategia de sia l’ha portata altrove. Tutti  i punti vendita Amazon Books hanno chiuso, insieme a quelli di regali e gadget a 4 stelle e all’assistenza sanitaria on-demand che offre Amazon Care.

Andy Jassy ha però deciso di ingaggiare Tony Hoggett come SVP Worldwide Grocery Store dal gennaio del 2022, proprio per rilanciare e provare a cambiare l’approccio seguito fino ad oggi.  Hoggett ha trascorso più di 30 anni in Tesco, arrivando a ricoprire il ruolo di responsabile della strategia e dell’innovazione del gruppo. Il progetto Amazon Fresh ha un alto  livello di complessità e di grande interesse per la strategia  dell’azienda di Seattle. Nella testa dei suoi progettisti iniziali Amazon Fresh, avrebbe dovuto contare su tre punti di forza. La tecnologia e la comodità di opzioni di checkout più veloci, una selezione unica di prodotti a marchio del distributore di Amazon e… prezzi più bassi”. Punti di forza che, ad oggi,  non si sono ancora amalgamati in un progetto vincente nella percezione del consumatore.

La prima mossa del 2023, ovvia in situazioni analoghe, è stata premere il tasto “Pausa”. Tagli del personale, chiusura dei punti vendita messi peggio, blocco delle nuove aperture pur rischiando cause legali con i proprietari degli immobili, lavori di ristrutturazione degli stessi fermi al palo.  È bastato questo, ad alcuni osservatori per far suonare le campane a morto sull’innovazione tecnologica spinta. In realtà Amazon, come altre realtà dell’e-commerce, avevano sottovalutato  che la “ripida traiettoria verso l’alto che l’azienda aveva complessivamente tracciato negli anni della pandemia era giunta al termine” come ha avuto modo di sottolineare l’amministratore delegato di Global Data Neil Saunders nei suoi commenti in rete.

Nel suo post sul blog, Andy Jassy  ha difeso i tagli e ha cercato di rassicurare gli investitori sulla prospettiva:”Le aziende che durano a lungo attraversano fasi diverse”. L’obiettivo di Amazon resta sempre quello di creare il “suo” gioco imponendo agli altri giocatori scenari di riferimento scomodi, difficili da replicare. Sopratutto   per chi è abituato a contesti tradizionali. E quindi misura il successo  o l’insuccesso di ciò che fa in modo completamente diverso dagli altri. Ovviamente è interessata ai risultati economici delle singole realtà ma inquadra tutto ciò che fa nell’avanzamento progressivo del suo ecosistema. Vendite online, Amazon Fresh, Whole Foods Market, Amazon GO devono anche creare valore fidelizzando i clienti in una logica complessiva  di sistema. Leggi tutto “Amazon Fresh 2024. Make or Break?”

Logistica. Il Ping pong nei tribunali continua…

Il 17 ottobre il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, aveva archiviato il procedimento penale a carico di 32 lavoratori e militanti del SICobas (tra cui 4 esponenti dell’esecutivo nazionale) difesi dall’avvocato Eugenio Losco a seguito delle denunce sporte dalla cooperativa Lgd e dal loro presidente Giuseppe Ghezzi durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI). Il SICobas aveva cantato vittoria ritenendo quella decisione “da manuale”. L’ha addirittura definito  una sorta di “vademecum” sull’esercizio reale (e non solo simbolico) del diritto di sciopero, “da utilizzare e sbandierare ogni qualvolta le forze dell’ordine provano a sgomberare con la forza un picchetto per tutelare i profitti e svolgere il loro ruolo di cani da guardia dei padroni”.

Il 21 dicembre il Giudice Franco Caroleo del Tribunale del Lavoro di Milano capovolge e chiarisce, a mio parere, il perimetro entro il quale l’esercizio legittimo del diritto di sciopero si trasforma in qualcosa d’altro. E condanna il SICobas. Tra il 19 agosto e il 14 settembre e tra 15 ottobre all’11 novembre 2021, a Trucazzano era successo di tutto. Gruppi di manifestanti bloccarono autocarri e merci destinati a Unes. I filmati testimoniano le violenze e le minacce per convincere gli autisti a non entrare o uscire dalle piattaforme logistiche. Durante uno dei blocchi, si legge nelle carte del Tribunale, i manifestanti hanno impedito “lo scarico e carico della merce anche al di fuori del perimetro della piattaforma, rendendo necessario l’intervento della polizia”. Sempre per bloccare l’accesso dei tir alle piattaforme, hanno anche ostruito la carreggiata con reti e nastri da cantiere, impedendo la circolazione nelle strade adiacenti il magazzino.

Era intervenuta anche la FAI-Conftrasporto  con un durissimo comunicato: “L’Azienda Brivio & Viganò, fra le più importanti società di autotrasporto e logistica del nostro Paese, opera da sempre nel massimo rispetto della legalità, applicando le normative dello specifico contratto del settore trasporti e logistica. Stesso impegno da parte di LGD che da sempre ha garantito il pieno rispetto del CCNL nella gestione del proprio personale. I continui blocchi in atto, oltre una ventina negli ultimi 3 mesi, stanno provocando gravissime ripercussioni sull’attività dell’azienda, creando situazioni che stanno mettendo a repentaglio la sicurezza e i posti di lavoro di centinaia di dipendenti. A fronte dell’ennesima situazione di blocco dell’azienda ad opera di manifestazioni illegittime e che rappresentano una palese violazione della legge, la Fai (Federazione Autotrasportatori Italiani) chiede un intervento delle Autorità preposte – Questura e Prefettura, affinché si trovino soluzioni a questo problema ormai insostenibile”.

La tensione è così salita alle stelle. L’ex senatore, Pietro Ichino, tra i massimi giuslavoristi d’Italia, e avvocato della coop di lavoro LGD ha dichiarato in un’intervista al Fatto Quotidiano: “Come abbiamo esposto in un ricorso al Giudice del Lavoro l’obiettivo reale del Si Cobas era ed è quello di eliminare la LGD come operatrice nel settore”. Perché? Per indurre “le committenti, e in particolare Unes, ad avvalersi di appaltatrici più disposte ad accogliere le sue richieste di esenzione di parte delle retribuzioni, indennità varie e premi di produzione, da imposizione fiscale e contributiva”. “Il paradosso – ha proseguito il docente dell’Università degli Studi di Milano – è che con l’accusa di qualche irregolarità in singole buste-paga, risultata inesistente, si maschera il reale obiettivo del Si Cobas, che è quello di ottenere una irregolarità e non trasparenza generale e sistematica”.

È una tesi che Ichino e la coop hanno messo anche nero su bianco  in tribunale con il ricorso depositato dove si chiedeva ai giudici della sezione Lavoro di Milano non solo di confermare i licenziamenti degli operai in agitazione per giusta causa, ma soprattutto di definire il “comportamento tenuto da LGD nei confronti del sindacato” come “pienamente legittimo sia sul piano civile e penale” sia su quello più “specificatamente sindacale”.  A differenza di altre volte e di fronte ad altri giudici il SiCobas non ha rivendicato le forme di lotta messe in atto e ha addirittura negato di avere responsabilità nella vicenda, affermando di aver dato disposizioni ai lavoratori affinché fosse organizzato un “picchettaggio persuasivo”, senza bloccare mezzi o persone. Testimonianze e filmati hanno però smentito la versione del sindacato.

 

Il giudice del lavoro Franco Caroleo che ha pur ritenuto «legittimo il comportamento dello scioperante che muova critiche o rimproveri a chi abbia rifiutato di aderire all’agitazione», ha contemporaneamente sostenuto che sia «estraneo all’ambito di esercizio del diritto di sciopero, in quanto lesivo del diritto del datore di lavoro a svolgere l’attività di impresa, il cosiddetto blocco delle merci». Che qui «deve essere attribuito al Sindacato Cobas, in considerazione del significativo contributo dei suoi rappresentanti», senza mai attuare — ad avviso del giudice — «specifiche azioni per opporsi o dissociarsi».

Il ricorso era promosso dalla cooperativa Ldg (con gli avvocati Marco Lanzani, Filippo Bodo e Pietro Ichino) insieme a Assologistica e Federdistribuzione.  La richiesta al giudice era di accertare l’illecito comportamento dei lavoratori, oltre che “la sussistenza della giusta causa o il giustificato motivo dei licenziamenti” operati dai gestori delle piattaforme logistiche. Non solo, gli attori in campo hanno chiesto al giudice di pronunciarsi circa il legittimo comportamento della società “nei confronti del Sindacato SICobas, sul piano civile, penale e strettamente sindacale”.

Secondo il legale del SICobas  “La presenza davanti ai cancelli dei lavoratori i quali si limitano alla semplice ostruzioni dei cancelli dello stabilimento con la loro presenza fisica, senza porre in atto condotte minacciose o violente nei confronti di cose o persone, non può integrare il reato di violenza privata”. Il filmati e le testimonianze prodotti dalla azienda hanno dimostrato che quel confine è stato abbondantemente superato. Purtroppo è sempre così. Il giudice del lavoro Franco Caroleo ne ha preso atto e ha sentenziato di conseguenza confermando “l’illiceità del comportamento posto in essere dal Sindacato Intercategoriale COBAS con riferimento ai blocchi di causa effettuati presso le piattaforme logistiche di Truccazzano, Vimodrone e Pozzuolo Martesana”. Lo scontro sui piazzali e nei tribunali, continua.

Qualità e tradizione. Il lavoro e la fatica delle piccole cooperative e della distribuzione locale

Nel nostro Paese sono migliaia. Le trovi nelle valli più remote, in borghi sconosciuti. O sotto casa. Propongono saperi e sapori antichi altrimenti destinati ad essere perduti. Laboratori che si tramandano da generazioni, cantine sociali, negozi di vicinato, minuscoli  caseifici nei quali converge il lavoro di centinaia di piccoli agricoltori. Li trovi nei mercatini che si spingono nelle città nei giorni di festa o quando vendono i loro prodotti in esclusiva per le comunità costruite intorno a loro.

Ciò che propongono ha spesso nomi impronunciabili. Frutto di un marketing antico, fatto di passa parola, di storpiature dialettali, eco di un passato di lavoro e di fatica. Il paradosso è che fuori dai loro perimetri di insediamento, ciò che è frutto di un lavoro povero ed essenziale, oltre che dai residenti,  è conosciuto solo dagli esperti e dai buongustai disposti a pagare per avere quei prodotti sulle loro tavole.   Poco, troppo poco, per ovvie ragioni, arriva sui banchi della grande distribuzione. E spesso ci arriva più per la sensibilità dei buyer che conoscono i produttori locali e come lavorano che per strategie complesse.

Qualche mese fa, dopo un pranzo a base di prodotti trentini doc, ho chiesto, al proprietario di un maso sperduto sopra Romeno in Alta Val di Non, dei suoi ottimi canederli. Mi ha confessato di acquistarli all’Eurospin di Sarnonico che ha rapporti esclusivi con un piccolo produttore locale. Mi è venuto da sorridere pensando a quanto noi ci perdiamo in discussioni spesso inutili sui discount e sulla marca privata dimenticando il prodotto e la dimensione spesso locale del mercato. E la capacità di alcune insegne, a nord come a sud, di portarli sotto i riflettori e proporli ai propri clienti.

Per questo ho  deciso di parlarne scegliendo una di queste attività in modo del tutto casuale, con lo scopo di rappresentarne molte. Spesso passiamo il tempo ad interrogarci sulle traiettorie dei protagonisti principali della Grande Distribuzione. Nei territori c’è però anche dell’altro. Piccole realtà caratterizzate da prodotti di qualità espressione di quello specifico contesto geografico. Fondamentali per l’economia del territorio. Esaltano il rapporto tra produttore locale, territorio   e qualità e di conseguenza tra negoziante e cliente. Molte di queste attività sono, purtroppo, destinate a chiudere. Si stima che, nel 2025, rispetto al 2019,  la riduzione degli esercizi commerciali di piccole dimensioni operanti nel settore alimentare oscillerà tra il -6,9% e il -8,4%. Strutture che non solo alimentano l’economia e i bisogni di acquisto  ma hanno un valore sociale perché propongono un passato positivo fatto di conoscenza, tradizioni, relazioni.
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Grande Distribuzione. Végé (con Apulia Distribuzione) aprono il 2024 con una mossa a sorpresa.

Il 2024 nella GDO italiana si apre con una bella notizia. Apulia Distribuzione entra nel Gruppo Végé. “Accogliamo con immenso orgoglio l’ingresso di Apulia nel Gruppo VéGé. Questo evento non solo rafforza la nostra posizione nel mercato ma segna anche un passo decisivo. Tutti  insieme, scriveremo il futuro del Gruppo VéGé, un futuro di successi e di valore condiviso ”, commenta Giovanni Arena, Presidente di Gruppo VéGé”. “Dopo più di 20 anni di bellissime esperienze di crescita ininterrotta, approdiamo ora definitivamente in VéGé, un bellissimo traguardo. Questo si tradurrà in opportunità ancora più ampie per la nostra crescita e la nostra prosperità” ha sottolineato  Antonio Sgaramella, Presidente di Apulia Distribuzione.

Apulia Distribuzione nasce nel 2001.  Partita dalla Puglia, oggi è presente anche in Calabria, Basilicata, Campania e Molise con un fatturato 2023 da 930 milioni di euro e 378 punti vendita A questi si aggiunge il format dell’ingrosso Cash&carry Tuttorisparmio con 4 punti vendita in Puglia. Tre brand di proprietà:  Rossotono, I Naviganti, assortimenti ricercati provenienti da filiere certificate e Speasy, la nuova piattaforma e-commerce che partirà proprio da quest’anno. Una realtà vitale e moderna.

“Avere una rete di oltre 3400 punti di vendita in tutta Italia, un fatturato stimato per il 2024 che supererà i 15,5 miliardi di euro rappresentano un viatico eccezionale per poter dare ancora più servizi di qualità ai nostri prospettici 10 milioni di clienti settimanali. È una bellissima sfida e vogliamo assolutamente vincerla” ha dichiarato Giorgio Santambrogio Amministratore Delegato di Gruppo VéGé.

La decisione avvenuta prima di Natale di interrompere, dopo quattro anni la partnership  tra Carrefour Italia e la società Apulia Distribuzione “per diversi orientamenti sulle future strategie commerciali su scala nazionale e internazionale” aveva chiarito che, pur mantenendo per il 2024 l’utilizzo dell’insegna Carrefour sulla rete di negozi coinvolti le strade erano destinate a dividersi”. È necessario ricordare che Il CEO di Carrefour Alexandre Bompard aveva annunciato la strategia sugli acquisti che ha portato alla creazione, tramite Carrefour France, nell’autunno del 2022, della centrale, Eureka, con sede a Madrid, che si occupa delle negoziazioni commerciali nei suoi 6 maggiori mercati europei: Francia, Spagna, Italia, Belgio, Romania e Polonia. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Végé (con Apulia Distribuzione) aprono il 2024 con una mossa a sorpresa.”