La sottovalutazione del consumatore costa cara. Anche Lidl negli USA paga pegno…

Aprendo la sua sede centrale ad Arlington, in Virginia, nel 2017 Lidl aveva promesso di convincere i consumatori statunitensi della sua intenzione di  “Rethink Grocery” offrendo un’esperienza di acquisto diversa e complessivamente più conveniente  e di aprire 100 negozi entro l’estate del 2018. Lidl allora era vista come una potenziale minaccia per Kroger, Albertsons, Walmart e i numerosi retailer regionali. Non è stato così. Probabilmente credeva che avrebbe movimentato più facilmente il mercato negli Stati Uniti come già avvenuto nei Paesi europei.

L’errore  è stato,  probabilmente,  anteporre le proprie priorità alla specificità del consumatore USA. Lidl avrebbe dovuto  comprendere che i clienti non avrebbero lasciato tanto facilmente le offerte e i prodotti dei loro retailer tradizionali per i suoi, pur  numerosi prodotti a marchio, con cui non avevano alcuna familiarità. Lidl si trova oggi ha nell’assoluta necessità di migliorare il rapporto con i consumatori americani che restano fedeli ai loro negozi locali e ai prodotti di marca più di quanto l’insegna tedesca avesse probabilmente stimato. Ha già oggi apportato modifiche alla sua strategia immobiliare, ha ammorbidito l’aspetto dei suoi negozi e ha iniziato a offrire la consegna a domicilio. Ma chiaramente bisogno fare di più. 

Chissà cosa avrà pensato Dieter Schwarz quando si è trovato costretto a  insediare, negli USA, l’ennesimo nuovo CEO. E questa volta pure americano:  Joel Rampoldt. Sostituirà a breve Michal Lagunionek che ha ricoperto il ruolo dall’aprile 2021. Joel Rampoldt è il  quarto CEO che assume il ruolo dal lancio della catena statunitense nel 2017. Il quinto dal primo arrivo di LIDL negli USA  nel 2013. Secondo Lebensmittel Zeitung, nella nota interna, il CEO di Lidl ha affermato che la nomina di Rampoldt è un passo importante per ripartire e provare a mettere forti radici negli Stati Uniti.

La multinazionale tedesca  era arrivata per la prima volta negli Stati Uniti nel 2013 per aprire i suoi primi negozi nel 2017. Si è trovata subito una forte concorrenza da parte dei retailer  tradizionali e del rivale  Aldi, che opera negli Stati Uniti dagli anni ’70 e sta rapidamente aumentando il numero  di negozi in tutto il Paese. Aldi ha attualmente 2.284 negozi in 38 stati e nel Distretto di Columbia. Uno scontro impari. Lidl fatica a connettersi con i consumatori americani. Ovviamente gli esperti sottolineano che siamo di fronte ad una realtà con le risorse e la pazienza sufficiente per trovare alla fine la sua strada negli Stati Uniti. Leggi tutto “La sottovalutazione del consumatore costa cara. Anche Lidl negli USA paga pegno…”

Grande distribuzione. Il discount Penny in Germania aumenta i prezzi per una settimana in difesa dell’ambiente.

Mentre in tutta Europa si formalizzano accordi per ridurre l’impatto dell’inflazione sulla spesa delle famiglie, soprattutto con i redditi più bassi, in Germania un’azienda, parte di un grande gruppo GDO presente in tutta Europa, lancia qualcosa di più di una provocazione.  Un forte segnale di riflessione collettiva  che guarda al futuro.  Dei tre discount tedeschi di rango Penny  è forse il meno noto. Vanta 3000 punti vendita in Europa e, in Italia, nasce nel 1994 in compartecipazione con Esselunga. Oggi PENNY, nel nostro Paese,  ha circa 400 punti vendita,  7 centri di distribuzione e  oltre 4.200 collaboratori.  Nel 1999 Esselunga esce dal capitale di Penny Market Italia e la società passa sotto il controllo totale del gruppo REWE (Gruppo nel quale ho avuto la fortuna di lavorare per molti anni). A partire dal 2000 inizia una  politica di espansione con l’acquisto di una cinquantina di punti vendita di dimensioni medio-piccole dalla Plus Italia, situati in Liguria, Toscana e Umbria. Alla fine del 2014, il logo aziendale cambia nel resto d’Europa,  Dal 14 aprile 2022, anche in Italia il logo “PENNY.” sostituisce la vecchia insegna Penny Market.

Balza oggi alle cronache per un’iniziativa senza precedenti. In un esperimento che è partito ieri, lunedì 31 luglio, e che durerà una settimana in tutte le 2.150 filiali tedesche della catena, una gamma di nove prodotti, principalmente latticini e derivati della carne, verrà venduta in base al loro costo ovvero a quello che gli esperti di due università tedesche hanno ritenuto essere il loro vero costo, aggiungendo anche  il loro effetto indotto sull’ambiente. Sul  suolo, sul  clima, sull’uso dell’acqua e sulla salute. È molto più di una provocazione. Serve per far riflettere e per far crescere il livello di consapevolezza dei consumatori tedeschi. Tra tanto “green washing” che non incide in profondità sui comportamenti agiti, Penny alza l’asticella. I veri costi sono stati calcolati in collaborazione con l’Università di Norimberga e di Greifswald, tenendo conto di tutti i danni ambientali causati dalla produzione di quegli  alimenti specifici. Ciò include l’impatto sul suolo, sull’acqua, sulle emissioni e altro ancora. Il reddito aggiuntivo derivante dagli aumenti dei prezzi di quella settimana sarà ristornato a progetti ambientali locali. Il risultato  è però un forte aumento del costo di alcuni prodotti di origine animale.

“Vediamo molti nostri clienti soffrire per i prezzi dei prodotti alimentari aumentati a causa dell’inflazione. Tuttavia abbiamo voluto dare un messaggio ancora più scomodo. I prezzi del cibo che vendiamo, che si sommano  lungo la filiera di approvvigionamento, non riflettono i costi ambientali. Vogliamo così contribuire a creare una diversa consapevolezza con la campagna nazionale sui veri costi”, ha detto Stefan Görgens, COO di PENNY, in conferenza stampa.

La campagna che durerà una sola settimana (www.penny.de/wahrekosten) ha l’unico  scopo di aumentare la consapevolezza dell’impatto ambientale sulla  produzione alimentare. Attualmente, le industrie della carne e dei prodotti lattiero-caseari in Germania  ricevono sussidi governativi e agevolazioni fiscali che aiutano a rendere i loro prodotti meno costosi al consumatore.  Contemporaneamente altre iniziative sono in campo a livello europeo per  chiedere di dirottare questi sussidi verso  prodotti proteici alternativi per aiutare a contrastare  il cambiamento climatico. Posizioni difficilmente conciliabili. Nel frattempo, organizzazioni come il Danish Climate Council e la UK Health Alliance on Climate Change hanno chiesto di tassare carne e latticini per ridurne i consumi. Leggi tutto “Grande distribuzione. Il discount Penny in Germania aumenta i prezzi per una settimana in difesa dell’ambiente.”

Grande Distribuzione. UNES, quali prospettive per il futuro prossimo?

Se oggi mi chiedessero di indicare due insegne in Lombardia particolarmente visibili, piacevoli da visitare  e performanti (discount a parte) indicherei Iperal e Tigros. Mi aspetto molto dal nuovo corso di Carrefour italia rispetto  al punto di  partenza  e mi riservo di approfondire altre insegne subregionali al nord come al sud per completare un aggiornamento delle insegne che corrono per essere le best performer del comparto ciascuna in base alle strategie scelte dai rispettivi management. I numeri però non dicono tutto. Soprattutto cambiano in funzione degli uomini che li realizzano. Su Esselunga ho già espresso le mie perplessità. Oggi affronto  Unes, un’altra insegna che non sta ritrovando  le importanti traiettorie di business  a cui ci aveva abituato ( è l unica azienda, lo dico anche da cliente,  che per un certo periodo ho pensato potesse mettere un po’ di fiato sul collo  al leader Esselunga sulla piazza di Milano).

Comprendere perché un’insegna riesce ad affermarsi tra tante, risalire la china e imporsi ad una platea di consumatori difficili e frastornati da mille richiami e poi ricadere nell’oblio è fondamentale per rendersi conto  che, nella Grande Distribuzione, nulla è mai acquisito. Si sale e si scende alla stessa velocità. Non solo i passaggi generazionali possono rallentare o far cambiare direzione di marcia.  La differenza la fanno i manager, a cui spesso i successi non sono perdonati, quasi come gli insuccessi. Il caso di Unes è paradigmatico.

Un po’ di storia per comprenderne le traiettorie possibili.

L’azienda è di proprietà di Marco Brunelli, oggi 95 anni, che resta  a mio parere il vero dominus della Grande Distribuzione italiana. Nessuno ha collezionato i suoi successi. Cofondatore di Esselunga (in società con Bernardo e Guido Caprotti), di GS supermercati, (in società con Guido Caprotti),  fondatore e proprietario dei gruppi Finiper operante col marchio Iper la Grande I  e UNES). Inoltre, ha ricoperto la carica di presidente di Carrefour Italia. Poi c’è l’aspetto umano che per il sottoscritto conta come e più di altri giudizi. Avendo conosciuto sia Bernardo Caprotti che Marco Brunelli, posso dire di aver stimato entrambi ma sottolineo, sommessamente, che la mia  preferenza personale va al secondo.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. UNES, quali prospettive per il futuro prossimo?”

Grande distribuzione e Amazon. Solo se al centro c’è il cliente la tecnologia fa la differenza

Sotto lo stesso tetto (Amazon) due elementi interessanti ruotano intorno alla possibile evoluzione tecnologica del punto vendita e quindi dell’intero comparto della GDO. Da un lato il riposizionamento, con la progressiva chiusura, di diversi punti vendita senza cassa di Amazon (non solo negli USA). Nulla di sconvolgente. Il motivo è semplice: i ricavi non giustificano la loro presenza in quei territori.

Nei 16 principi della leadership di Amazon (https://bit.ly/474SJ8T), il decimo, dedicato alla Frugalità, chiarisce il punto: “Ottenere di più con meno. Risorse limitate alimentano intraprendenza, autosufficienza e creatività. Non si ricevono punti di merito nel far crescere gli organici, l’entità del budget o le spese fisse”. “Come qualsiasi rivenditore fisico, valutiamo periodicamente il nostro portafoglio di negozi e prendiamo decisioni di ottimizzazione lungo il percorso”, ha dichiarato un portavoce di Amazon riportata da GeekWire. “Rimaniamo impegnati nel format, gestiamo i punti vendita Amazon Go negli Stati Uniti e continueremo a scoprire quali luoghi e funzionalità vengono apprezzati  maggiormente dai clienti mentre continuiamo a far evolvere i nostri negozi”, ha concluso.

Quindi la logica che ha portato al primo negozio senza code e privo di casse che ha dato una scossa all’intero comparto e che  è stato aperto da Amazon a Seattle nel 2016, è in fase di ripensamento. Negli anni successivi ne sono stati inaugurati altri, sempre negli Stati Uniti (v. Chicago nel 2018) e con l’obiettivo di aprirne 3000 entro il 2021. Cosa che non è avvenuta. Nel 2021 quel formato  è sbarcato anche in Europa, a Londra. Oggi chiude anche quello. Avrebbero dovuto essere più di cento in UK, si sono fermati a 18.

Aggiungo che, la tecnologia Just Walk Out è molto costosa e impegnativa per le risorse aziendali. I negozi, non va mai dimenticato, sono luoghi sociali e l’interazione fisica non può essere banalizzata. Ambienti pur efficienti rischiano di apparire senz’anima. L’errore  è sempre quello di anteporre le proprie convinzioni alle priorità  dei clienti. La tecnologia di checkout è interessante e per certi versi “eccitante”ma non promuoverà mai la fedeltà a lungo termine se l’esperienza del negozio non è unica e avvincente. Se insisti, devi offrire in cambio molto di più della curiosità suscitata e della rapidità, insita nel modello che non prevede casse, per attirare clienti. Se poi l’offerta  non è particolarmente competitiva, al di là della tecnologia, se i presunti risparmi, alla prova dei fatti,  non si  verificano, il problema resta.

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Grande distribuzione e inflazione. Presto si aprirà un negoziato decisivo con il Governo

C’è l’intero Governo in affanno sul tema. L’inflazione, se non verranno messe in atto le contromisure necessarie per attutirne gli effetti e provare a stimolare la discesa, rischia di lacerare il tessuto sociale del Paese.    Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso punta ad un  accordo su un paniere di prodotti di largo consumo a prezzi calmierati. Il negoziato che si aprirà vede una GDO che si sente presa di mira mentre l’industria alimentare ha “svicolato” fino ad ora dalla proposta di aprire un tavolo comune. I rapporti di forza pesano.

Confindustria è sul pezzo. Sta cercando di salvaguardare le traiettorie economiche dei suoi associati. Quindi Federalimentare, fino ad ora, ha rimbalzato le richieste di coinvolgimento. Confcommercio ha sotto la sua ala una pluralità di settori, ognuno con le sue priorità. Insieme a Coldiretti sono però gli interlocutori privilegiati del Governo Meloni. Federdistribuzione e tutto il resto della compagnia, pur animati da tanta buona volontà,  sono il classico vaso di coccio tra vasi di ferro.

C’è poi una differenza strutturale nel modello decisionale tra le diverse rappresentanze. Confindustria e Confcommercio fanno politica “per” le imprese. Federdistribuzione prova a fare politica “con” le imprese. E mettere d’accordo teste abituate a diffidare l’una dell’altra e tutte convinte di saperla lunga non è cosa facile. Di questo ne va dato  atto.

“Va premesso che l’inflazione in Italia sta diminuendo più rapidamente che in altri Paesi europei, ma noi vogliamo fare di più anche per evitare che gli aumenti diventino strutturali come è avvenuto durante la fiammata del 2007/2009. Stiamo lavorando per calmierare i prezzi dei beni di largo consumo individuando un paniere non solo alimentare con meccanismi che definiremo in questi giorni con tutti gli attori della filiera, dalla grande distribuzione organizzata a produttori e commercianti. L’obiettivo da raggiungere già prima della pausa estiva è un accordo di sistema per un “trimestre anti inflazione”. ha dichiarato il ministro al Corriere. In questi mesi l’industria alimentare si è mossa con lungimiranza. Da un lato forzando con richieste di aumenti dei listini generalizzati alle singole insegne e dall’altro, convincendo il Governo che la GDO ha margini abbondanti a disposizione mentre il primario e il secondario devono consolidarsi nel post pandemia e in una situazione geopolitica e climatica tutt’altro che assestate. Per queste ragioni vanno lasciate lavorare per consolidarsi in una fase difficile.  
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Grande Distribuzione. A Milano si riaprono i giochi?

C’è una novità importante sulla piazza di Milano. I punti vendita della grande distribuzione si assomigliano un po’ tutti.  Questo è il paradosso che riapre una partita che sembrava ormai chiusa. Pensavo che si puntasse ad essere “diversi”. Non ad essere tutti “uguali”. Credevo che la “prima della classe”  restasse a lungo irraggiungibile per una concorrenza che, dopo aver perso per strada il “Viaggiator Goloso” di Unes, (l’unica insegna in grado, in passato, di impensierire Esselunga a Milano) sembrava rassegnata a giocare in un campionato minore.

Ci ha pensato l’insegna di Pioltello a rimetterli in gara. Qualità del servizio, professionalità, convenienza e offerta si stanno schiacciando inesorabilmente verso il basso. Il contagio dell’ossessione sui costi l’ha raggiunta e questo la spinge ad un avvitamento inevitabile nonostante continui ad investire. I vari Esse aperti  e ben settanta bar Elisenda testimoniano una volontà. Però i risultati si fanno con i superstore. I mal di pancia interni e nei punti vendita, non lasciano dubbi. Quello che si vede, per chi ha l’occhio attento, è un rallentamento che viene colto dalla concorrenza come un segnale di debolezza evidente su cui lavorare per ridurre il gap.

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Grande Distribuzione. È ora di fare un passo in avanti su inflazione, spreco alimentare e CCNL

Navigare a vista in tempi di inflazione per una compagnia eterogenea come quella della Grande Distribuzione abituata a rincorrersi a colpi di promozioni e sconti come non ci fosse un domani non è cosa facile. Ciascuno pensa di agire in proprio per contendere ai concorrenti diretti clienti e fatturati. Questi ultimi, gonfiati dall’inflazione, possono trarre in inganno chi non ha vissuto, in passato, le fasi di lacerazione del tessuto sociale in tempi di alta inflazione e la difficoltà delle forze sociali per ricomporlo.

Con il recente accordo con il Governo le associazioni hanno fatto un modesto ma significativo passo in avanti. Non hanno subìto la situazione, non hanno accettato il ruolo dell’”insensibile sociale” in commedia e hanno dimostrato una apprezzabile capacità di iniziativa collettiva. L’inflazione checché ne dicano alcuni è destinata a farci compagnia per lungo tempo. Le cause geopolitiche che la alimentano sono tutt’altro che alle spalle. Ha ragione Massimo  Scolari Presidente di Ascofind “Affermare come qualcuno sostiene in questi giorni che “i prezzi al consumo scendono” denota lo spirito propagandistico-ignorante del messaggio. Si sta riducendo il ritmo di crescita di alcuni prezzi non il livello assoluto”. L’inflazione continuerà ad avere, ovviamente, un andamento altalenante dove speranze e delusioni accompagneranno, deprimendoli, i consumi delle famiglie. Sopratutto quelle meno abbienti. È bastato il mancato accordo sul trasporto del grano  ucraino per far schizzare in su il prezzo di cinque euro al quintale. E parliamo di pane, pasta, pizza, ecc. 

In questa situazione è inutile insistere  con risposte tattiche che non convincono i consumatori  contro gli aumenti dei prezzi come fosse possibile combattere un fenomeno planetario dal cortile di casa ma è ovvio che ogni insegna metterà in campo le risposte tattiche che riterrà più opportune. La realtà però ci presenta, da un lato,  chi riversa sui listini gli inevitabili aumenti e chi ne assorbe in piccola parte gli effetti. Dall’altro lato, la ripresa del fenomeno della shrinkflation (in italiano sgrammatura da inflazione) dove numerose aziende lasciano invariato il prezzo del prodotto ma riducono il contenuto nella confezione. I consumatori così non si sentono  trattati  da adulti consapevoli ma secondo la massima: “se non puoi convincerli, confondili”. Così  non si fidano più di nessuno. La Grande Distribuzione rischia quindi di restare in un angolo e di restarci a lungo. Soprattutto se la situazione geopolitica internazionale resterà instabile e l’inflazione continuerà a pesare sui consumi giornalieri delle famiglie.
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Conad. L’alba del giorno dopo…

Pappagone, celebre personaggio televisivo degli anni ’60 nato dalla fantasia di Peppino de Filippo, si sarebbe chiesto di fronte al bivio che oggi deve affrontare Conad dopo  l’uscita di Francesco Pugliese se è meglio essere “vincoli o sparpagliati”. Tutti insieme, convinti e uniti per continuare a crescere, oppure ognuno per conto suo come in una normale centrale o super centrale di acquisto, seppure di matrice cooperativa,  regolata da  una formale unità di facciata. Se dovessi dare un consiglio (non richiesto) ai leader delle 5 cooperative Conad e al loro Presidente, suggerirei di ripartire da qui.

Nella vicenda che ha coinvolto Conad, seguita all’acquisizione di Auchan, diversi protagonisti diretti o indiretti,  hanno preferito non sentire il fischio dell’arbitro che segnalava la fine di quella  partita e l’inizio di una nuova fase. La complessa operazione era comunque destinata, per protagonisti, dimensione e dinamiche  economiche e sociali, a portare con sé contraddizioni e conseguenze inevitabili. Nel comparto,  abituato ad acquisizioni e riorganizzazioni continue ma, tutto sommato modeste, una vicenda che avrebbe potuto trasformarsi in uno dei tanti disastri economici e sociali per i numeri coinvolti, per visibilità  e per la complessità dell’operazione stessa si è però chiusa positivamente.

Comprensibili ovviamente, le delusioni  manifestate da molti ex Auchan. Traditi dalla multinazionale in cui avevano investito passione e professionalità  e in parte snobbati da chi è subentrato  hanno continuato a cercare conferme al loro legittimo giudizio negativo su chi se ne è andato, su chi è arrivato e su tutti coloro che cercano o hanno cercato di chiudere una fase e guardare avanti.

Altra cosa sono i giudizi su aspetti specifici e, tutto sommato marginali per la dimensione dell’operazione. Personalmente  accetto il suggerimento del direttore di Starmag  Michele Arnese quando cita il Socrate del   “so di non sapere”. Le inchieste giudiziarie hanno i loro tempi e il loro svolgimento. Sollevare polveroni, insinuare, esprimere facili opinioni derivate quasi sempre da modesti o antichi rancori personali, non serve a nulla. Far intendere di aver già capito tutto quando non si sa un bel nulla è pratica di un certo “opinionismo” che, come ricorda Giorgio Gaber, “riesce a dire tutto senza dire niente con i suoi “parrebbe”, “si vocifera” e “si dice”.  Leggi tutto “Conad. L’alba del giorno dopo…”

Grande Distribuzione. Bene la prima con il Governo ma sull’inflazione c’è ancora molto da fare

Prima ci hanno provato in ordine sparso le differenti insegne ad arginare l’aumento dei prezzi  indotto dall’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia. Qualcuna, ingenuamente, ha pensato potesse essere sufficiente annunciare ai propri clienti la volontà di resistere, scaricarne, in parte,  costi sui margini e alzare la voce con l’industria. Ovviamente non poteva durare a lungo.

L’inflazione è una brutta bestia se sei costretto a subirne le conseguenze. Però ha la sua utilità  e i suoi vantaggi per chi la sa (o la vuole) strumentalizzare a proprio vantaggio. Sia a livello macro che micro. La Grande Distribuzione si è trovata politicamente impreparata ad affrontare il fenomeno perché i suoi principali interpreti erano  abituati a risolvere tutto nel  rapporto con i propri fornitori, a comprimere i costi  e a ragionare sulle performance in rapporto all’anno precedente. Non ne hanno percepito né il rischio connesso alla durata né le possibili conseguenze sul lungo termine. Alcuni si sono quindi trovati nella spiacevole condizione di “abbaiare alla luna” nel disinteresse generale non riuscendo spesso a convincere del proprio impegno neppure i clienti.

Per chi ha un reddito fisso l’inflazione è però è un problema serio. Per chi ha un reddito basso, un dramma. L’inflazione impone delle scelte sui consumi. Alcune non sono comprimibili. Soprattutto se coinvolgono le diverse aspettative dei componenti (giovani o meno giovani) delle famiglie. Chi governa l’economia familiare deve però fare dei tagli. Ed quindi si taglia o si sostituisce ciò che compone la spesa quotidiana. Non certo il resto. Almeno fino a quando si può. Da qui l’effetto positivo sui fatturati della GDO (per gli aumenti dei listini) e contemporaneamente l’effetto negativo sui volumi di vendita.

Ho letto le critiche all’entità e al contenuto del provvedimento “Dedicato a te”. Occorre però distinguere tra i diversi protagonisti in commedia. Non entro nel merito della qualità e dell’utilità concreta del provvedimento. Non è questo il luogo. Federdistribuzione e le altre associazioni hanno però fatto bene ad accettare l’interlocuzione con il Governo. E hanno fatto bene a sottoscrivere l’intesa. Aggiungo che  hanno fatto ancora di più accettando di aggiungere 75 milioni facendosi carico di un ulteriore sconto del 15% per le famiglie disagiate che si sommano ai 500 milioni stanziati dal Governo a favore di 1,3 milioni di famiglie. 

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Carrefour France. Con l’acquisizione di Cora si avvicina al leader Leclerc..

La prima vera grande notizia è che Carrefour non solo non vende ma ha ripreso a comprare in Francia. La seconda è che si fa sotto al leader di mercato E. Leclerc che l’aveva superata per diversi anni. 23% di E. Leclerc, che mantiene comunque la leadership  seguita da una quota di mercato combinata del 22,5% (20,1 per Carrefour, 2,4% per Cora e Match) nei primi 6 mesi dell’anno secondo la società leader a livello mondiale Kantar.

Il gruppo Cora e Match ha realizzato un fatturato al netto delle tasse di 5,2 miliardi di euro nel 2022 in Francia, mentre Carrefour da parte sua ha realizzato vendite per 42 miliardi di euro nel Paese nel 2022, cifra pubblicata tasse incluse. L’operazione “valuta gli asset acquisiti sulla base di un enterprise value di 1,05 miliardi di euro”, precisa Carrefour. Cora e Match gestiscono “rispettivamente 60 ipermercati e 115 supermercati” e impiegano 24.000 persone in Francia. L’operazione “comprende l’acquisizione degli immobili di 55 ipermercati e 77 supermercati”. 

Qualche paragone nostrano per comprendere l’importanza e la dimensione dell’operazione:  Esselunga fattura circa 8 miliardi, LIDL in Italia,  6 miliardi, Coop alleanza 5,6 miliardi, Pac 2000 Conad 4,8.  Un grande successo per Alexandre Bompard CEO della multinazionale francese. Dopo l’acquisto di Docks de France da parte di Auchan, lo scorso luglio è arrivata prima Promodés che ha lanciato un’OPA non concordata sulla diretta concorrente Casino. Diversi osservatori si aspettavano le mosse di Carrefour. E così è stato.

Tra l’altro alcuni indizi precisi avevano segnalato la strategia. “Cora ha dei bei negozi, in una bella regione, con una buona quota di mercato”, ha dichiarato  Daniel Bernard, lo scorso 7 dicembre al Journal des Finances. Poco dopo Ludovic Holinier ha lasciato la carica di CEO del gruppo Cora e amministratore delegato di Louis Delhaize il 28 febbraio dopo 3 anni e mezzo  lasciando il campo agli eredi di Philippe Bouriez, fondatore Cora scomparso dopo aver guidato il gruppo per 34 anni. Pierre Bouriez è così diventato  amministratore delegato di Louis Delhaize SA, per Cora Francia, Belgio, Lussemburgo e Romania, Houra e Delitraiteur. Il 27 aprile Carrefour aveva annunciato l’acquisizione delle attività di Cora in Romania, che si completerà entro la fine del 2023.

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