Per chi, come il sottoscritto, cerca punti di osservazione meno scontati con tutto ciò che è collegato alla Grande Distribuzione, la notizia che il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, ha archiviato il procedimento a carico di 32 lavoratori e attivisti del SI Cobas per i fatti accaduti durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI) segnala una svolta da non sottovalutare.
Come negli anni 70 e 80 del secolo scorso si sta riproponendo un collegamento pericoloso che getta un’ombra sulle traiettorie dello sviluppo del comparto e del possibile effetto imitativo che, la degenerazione delle lotte sindacali promosse dai sindacati di base sui piazzali della logistica e la crisi di leadership del sindacalismo confederale, possono determinare. Al di là dei ricorsi possibili il dispositivo “smonta” una prassi ormai consolidata che considerava sia il “picchetto duro” che il “blocco delle merci” in entrata e in uscita da un centro logistico un atto di violenza privata e quindi un reato.
Non è un fulmine a ciel sereno. Conferma un’analoga pronuncia formulata pochi mesi fa da una altro PM, il dott. Enrico Pavone. Il principio affermato è semplice: “un picchetto fuori dai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non è punibile poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione”.
Come già argomentato dal PM nella richiesta di archiviazione, il picchettaggio è, a tutti gli effetti un’attività “ancillare e corroborante” dello sciopero; bloccare le merci è il più delle volte una necessità oggettiva per far si che lo sciopero stesso abbia un senso e per impedire che l’azienda ne vanifichi del tutto gli effetti per mezzo del crumiraggio”. Dichiarando quei comportamenti non punibili, di fatto però li legittima, quali azioni “necessarie” per imporre alle aziende il rispetto dei contratti nazionali o locali, dei diritti dei lavoratori e della loro dignità. Su tutti il diritto a una retribuzione dignitosa, alla libertà sindacale e al rispetto delle normative sulla sicurezza”.
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