Esselunga. Far politica con una pesca…

Era immaginabile tutto questo trambusto sulla nuova pubblicità di Esselunga. Critiche feroci,  minacce di boicottaggio, accuse di utilizzare lo spot per spostare l’attenzione verso una visione della famiglia dal sapore fortemente tradizionalista. La bolla dei social si è scatenata. Favorevoli e contrari si sono affrontati senza esclusione di colpi. Il mio commento a caldo è stato: “Crea contrasto e fa discutere. Incidenza sulle vendite? Non credo. Indignazione e approvazione erano in preventivo. Amplifica però la notorietà del brand in un contesto dove le insegne sembrano tutte uguali. Nel merito, non è nelle mie corde ma non mi ha lasciato indifferente”. Lascio agli esperti di marketing il dibattito sull’efficacia e agli estremismi della rete il corpo a corpo sul tema.

Mi interessa ritornare su Esselunga. E su come la GDO vive questo momento dove i riflettori improvvisamente si accendono sul suo agire come mai era successo prima. Non dimentichiamo il patto anti inflazione, il ruolo politico che il comparto, non abituato, si troverà ad interpretare, le ricadute nelle prossime settimane scatenate dalle inchieste vere, o presunte tali, sul rispetto degli accordi sottoscritti. Le inevitabili  furbizie di chi nel comparto pensa che tutto sia sostanzialmente come prima del patto e che la sua libertà di azione non ne risentirà più di tanto. Non dimentichiamo mai le abitudini e la composizione imprenditoriale e manageriale complessiva. Ne vedremo quindi delle belle.

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E continuano a chiamarli Discount. L’exploit di Todis

La crisi e l’inflazione hanno messo sotto i riflettori i discount e la loro capacità di muoversi in sintonia con i consumatori. Per osservare da vicino il fenomeno basta entrare in un supermercato o in un ipermercato tradizionale. Almeno tra quelli impegnati a contrastarli replicandone lo spartito. C’è una grande confusione. I discount, tedeschi o italiani, però, stanno facendo anche altro, interessati come sono, a consolidarsi sperimentando strade nuove.

Tra gli italiani dietro Eurospin e MD, si fa strada Todis, insegna nata a Roma, di proprietà di Iges Srl, controllata dalla cooperativa PAC2000A Conad che comprende oltre 300 punti vendita distribuiti in 10 regioni del centro-sud d’Italia (compresi quelli controllati da Addis srl, joint venture con Conad Adriatico). Ha appena aperto un nuovo punto vendita  a Roma nel rione Prati,  un elegante quartiere di Roma, con i suoi negozi, i ristoranti ricercati, le osterie che propongono la cucina tradizionale o dove fare acquisti, ad esempio in via Cola di Rienzo, una delle principali vie dello shopping della città, ex sede di uno storico punto vendita di  Standa oggi di Coin con al suo interno   laEsse di Esselunga.

Il nuovo punto vendita aperto ha una configurazione particolare. Per farla semplice  è, a mio parere,  a metà strada tra il flagship store “Terre d’Italia che Carrefour sta sperimentando a Milano, in piazza De Angelis e laEsse di Esselunga con però una vocazione specifica rispetto al quartiere di riferimento. Qui sta la vera differenza. Siccome siamo a Roma direi una sorta di “pizzicarolo” 2.0 parte viva del rione e del contesto. Ricorda un po’ il vecchio negozio di quartiere, ovviamente in chiave moderna, che gestiva, mettendoci la faccia, i suoi affezionati clienti. Era lui che decideva i prodotti da consigliare. Trasmetteva fiducia. Era lui, la marca. La differenza è che Carrefour e Esselunga  traferiscono al contesto locale la forza e la notorietà della loro insegna. Todis sceglie di includere  il  contesto, nella sensibilità del punto vendita. Non è a mio parere una differenza da poco.

Todis Rione Prati “La Via Gustosa” sul Lungotevere Michelangelo, segue Todis Rione Colonna e Todis Rione Trastevere. Il format del nuovo punto vendita, totalmente innovativo dedicato ai 22 Rioni che delineano il cuore della Capitale e che prendono il nome del Rione che lo ospita. Un formato rivolto ai quartieri centrali, ricco di servizi con un assortimento particolarmente incentrato sul segmento Premium e sul Food To Go. Comunicazione bilingue vista la forte presenza di turisti, tecnologia che accompagna e facilita l’acquisto grazie alla presenza di numerosi strumenti per poter visionare, ad esempio, tutte le caratteristiche dell’offerta vinicola. Leggi tutto “E continuano a chiamarli Discount. L’exploit di Todis”

Grande Distribuzione. Prove di unità, di strategia e di autorevolezza

Il patto anti inflazione, al di là dei risultati che produrrà concretamente, dimostra che un comparto economico vale ed è ascoltato se dimostra di sapersi rappresentare unito in tutte le sue componenti. La polemica sul cosiddetto “caro carrello” e sulle performance economiche  “stratosferiche” della GDO facevano presagire una messa in mora dell’intero settore che, per ora, è stata sventata. Il consumatore si ferma allo scontrino. Non vede i listini ballerini dell’industria.

L’esperienza che se ne dovrebbe trarre da questa vicenda è che una federazione che raggruppi tutta la Grande Distribuzione non può che essere, ancora di più, un obiettivo irrinunciabile. I “mal di pancia” della vecchia guardia cresciuta nelle guerricciole tra insegne e il fatalismo di chi, pur comprendendo il problema, è scettico sugli altri compagni di strada,  dovrebbero lasciare il campo a nuovi leader in grado di condividere  una visione comune. Per questo insisto spesso sulle analogie e sugli esempi dei nostri cugini francesi. 

Alexandre Bompard, CEO di Carrefour è, da poco,  presidente della Fédération du Commerce et de la Distribution (FDC). L’associazione che riunisce la maggior parte dei grandi marchi della distribuzione alimentare francese, compresa quella specializzata. È subentrato a François Bouriez, co-amministratore delegato del gruppo Cora-Louis Delhaize, che ricopriva questa carica dal 2011. Su LinkedIn, una volta eletto, si è subito dichiarato “onorato di questa nomina e ha paragonato il suo impegno per la FDC a quello che già contraddistingue Carrefour: “In un’epoca di inflazione galoppante, di trasformazione digitale e di lotta al cambiamento climatico, le battaglie sono numerose. E sono da tempo le nostre in Carrefour. Sono entusiasta all’idea di affrontarle con tutti i membri della FDC.”

Per capire le ragioni che hanno spinto Carrefour e il suo CEO a diventare la punta di diamante nell’interlocuzione con il Governo francese sul patto anti inflazione e  contro le resistenze di una parte dell’industria denunciando anche la skrinflation nei propri punti vendita è necessario partire da qui. Alexandre Bompard è un top manager che ha ridato un’immagine vincente a Carrefour togliendola dalle sabbie mobili di una crisi che sembrava irreversibile, è un top manager riconosciuto,  interlocutore della politica francese e un leader nel comparto. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Prove di unità, di strategia e di autorevolezza”

Grande distribuzione, Discount e Industria di Marca. Non una alleanza strategica ma una convergenza necessaria…

La fotografia che emerge nel rapporto Coop 2023 (https://bit.ly/460gWfh) sullo stile di vita degli italiani di oggi e di domani è sempre un appuntamento interessante perché da un lato propone analisi e disegna alcune possibili traiettorie per il nostro Paese e dall’altro, per la prima volta, presenta una Cooperazione, aperta e disponibile con un Governo, non certo amico, ma con il quale è comunque necessario aprire un canale di confronto serio insieme al resto del comparto.

Parto dalla domanda centrale per il futuro prossimo del settore. È possibile ipotizzare l’idea di un’alleanza strategica tra industria di marca e Grande Distribuzione? Tra la prima e l’intera GDO la vedo difficile. Altra cosa è una convergenza tattica sul patto anti inflazione che ha prodotto, in previsione dell’incontro del 10 settembre, una lettera di impegno rivolta alle singole imprese aderenti a Centromarca e una richiesta  al  Ministro Urso di farsi promotore di un tavolo interministeriale delle associazioni delle imprese del largo  consumo.  Un ottimo passo in avanti dopo le incomprensioni dei mesi scorsi.

Dario Di Vico sul Foglio (https://bit.ly/3r4diSM) rilancia  tra le altre una affermazione importante  di Maura Latini Presidente Coop: “Se il discount arrivasse per assurdo a una quota di mercato del 40% cosa succederebbe non solo all’industria ma a tutta l’economia italiana? Innanzitutto solo in Germania è a quei livelli. In Olanda la MDD è alta ma non supera il 30%. Come in Francia. In Italia siamo intorno al 25%.  Se mai arrivasse a quei livelli sarebbe solo per incapacità della GDO tradizionale di trovare nuovi equilibri. Vale per il discount come per l’online.  Aggiungo che il discount in Italia è cambiato profondamente e continua a cambiare tanto che è sempre più difficile distinguerlo dal resto della GDO. Il contesto economico e sociale eccezionale, sottolinea Di Vico  è ovviamente quello di “una contrazione secca dei consumi, soprattutto dei ceti meno abbienti, causata dal combinato disposto tra livelli di inflazione ai quali fortunatamente non eravamo più abituati e una perdita del potere di acquisto che Coop stima non inferiore al 15%”. Giusta l’analisi del contesto di Di Vico ma temo che alcuni manager protagonisti, interrogati per l’iniziativa, scambino l’effetto con la causa.

Il discount come semplice “rifugio” dei meno abbienti è  ormai una caricatura. Non è più così da diverso tempo.  L’inflazione ha semplicemente  accelerato un processo in corso che nell’evoluzione della logistica (vedi Amazon) e nella modificazione dei modelli di consumo ha prodotto o sta producendo non solo nel nostro Paese. La crisi delle grandi superfici, l’omologazione verso il basso sul piano dell’offerta di quasi tutte le insegne, il tramonto dei “grandi vecchi” animatori   del comparto nel secolo scorso, l’affacciarsi nel settore di multinazionali gestite da giovani manager  o da esperti professionisti e non dai soliti “raccomandati” parcheggiati  nel nostro Paese in attesa di ulteriori  step di carriera, hanno fatto il resto. Il discount è il dito. La luna è la difficoltà di affrontare i cambiamenti in corso nell’atteggiamento dei consumatori e di riposizionarsi con un’offerta credibile per ogni cluster di clienti.  L’inflazione ha semplicemente reso ancora più evidente una tendenza. Le famiglie, questo è evidente, non solo per far fronte alle difficoltà economiche, spendono meno per l’alimentazione ma ormai anche in modo diverso.

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L’inflazione cala. Non i suoi effetti sulle famiglie..

Ci sono diversi modi per osservare la realtà di fronte all’impennata dei prezzi. L’industria guarda essenzialmente i suoi conti. La Grande Distribuzione a questo ci aggiunge il rischio sui volumi di vendita. Il consumatore, soprattutto quello vincolato da entrate fisse e basse guarda con una certa preoccupazione, il suo portafoglio. Tra nove mesi ci saranno le elezioni europee che saranno certamente influenzate da ciò che succederà in campo economico e sociale nel periodo e determineranno, nel bene e nel male,  il futuro prossimo dell’intero continente che, ai suoi confini, ha una guerra, provocata dal Russia, con conseguenze e durata, oggi  assolutamente imprevedibili.  In questo contesto geopolitico, le aspettative, le priorità, le preoccupazioni delle persone e, naturalmente il loro atteggiamento nei confronti dei consumi si modificano profondamente.

Per questo è utile leggere  quanto emerge, dai dati appena pubblicati, del Barometro europeo sulla povertà e sulla precarietà economica 2023 di Ipsos France e Secours Populaire, organizzazione di volontariato francese (https://bit.ly/3sNLi6c). Su 10.000 intervistati, di età pari o superiore a 18 anni, in dieci paesi (Germania, Francia, Grecia, Italia, Polonia, Regno Unito, Moldavia, Portogallo, Romania e Serbia) condotto dal 7 al 27 giugno su internet su un campione di 10.000 persone rappresentative delle popolazioni nazionali secondo il metodo delle quote più di un terzo degli intervistati dichiara di non essere in grado di affrontare l’attuale contesto economico.

Quasi tre europei su dieci riferiscono di trovarsi in una situazione precaria, il che li porta o li porterà  a rinunciare a certi bisogni, come, in certi casi, a curarsi o mangiare a sufficienza. Più di un europeo su due intervistati afferma che il suo potere d’acquisto è diminuito negli ultimi tre anni (55%). Questa situazione è particolarmente acuta in Grecia (64%), Serbia (63%) e Francia (60%) e peggiora in Italia quest’anno (59%, +2 punti rispetto al 2022). La metà degli europei, il 48%, teme che la propria situazione economica peggiorerà nei prossimi mesi; più di un europeo su due, il 51%, si è infatti già trovato nella situazione di dover diminuire le spese almeno una volta negli ultimi sei mesi per salute, riscaldamento, cibo, trasporti; oltre un genitore europeo su tre, il 36%, non è stato in grado di soddisfare i bisogni primari dei propri figli, dai pasti alla salute, dalla scolarizzazione,  al vestiario.

Ma non finisce qui. Oltre un europeo su due, il 55% – rileva ancora il Barometro sulla povertà e sulla precarietà economica – dichiara non solo di aver visto diminuire sensibilmente il proprio potere d’acquisto negli ultimi tre anni, ma anche le classi medie stanno scoprendo gli effetti negativi della crisi, dall’aumento dei prezzi di cibo ed energia alla diminuzione dei servizi pubblici sostituiti con servizi privati più cari. Analoghi anche i dati relativi al nostro Paese. Il 69% degli italiani è preoccupato dal rischio di trovarsi in una situazione di precarietà nel prossimo futuro e il 37% dichiara di aver rinunciato a curarsi nell’ultimo anno per le liste d’attesa troppo lunghe del sistema sanitario nazionale e l’impossibilità economica di rivolgersi a strutture private.

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Grande Distribuzione. Nella carriera vince il merito.

“Entrare come addetto alle vendite e diventare CEO”. Il quotidiano francese Le Figaro ha dedicato al tema, qualche tempo fa, un servizio interessante. È un problema vero perché l’ascensore sociale si è interrotto quasi ovunque. Resistono alcuni comparti che offrono ancora questa prospettiva professionale. Nella grande distribuzione, ad esempio, poter crescere, indipendentemente dal punto di partenza e dai titoli  posseduti e far crescere professionalmente i propri collaboratori,  è una pratica ancora diffusa e condivisa.

Per ascensore sociale si intende quante possibilità hanno i figli di genitori con un reddito modesto di riuscire a ricoprire incarichi più importanti e meglio remunerati. È, in sostanza, il processo che consente e agevola un cambiamento del proprio stato economico e sociale di partenza. Non sempre e non solo grazie alla sola istruzione scolastica terziaria.  L’istruzione resta, citando Malcom X, «il passaporto per il futuro, il mezzo per prepararsi ad affrontarlo». E questo deve essere chiaro.  Ma oggi,  da sola non basta.  Serve, una volta entrati in azienda, conoscere e sapersi muovere “dalla parte delle radici”.

È quindi l’impegno personale, la capacità di sacrificarsi e sentirsi parte del team nel quale si è inseriti, è la voglia di crescere e di affrontare sfide crescenti, è la qualità e la disponibilità dei capi incontrati che possono valorizzare o meno le caratteristiche delle persone. E a non dimenticarsele quando, emigrando in altre realtà del comparto, grazie a queste relazioni, si riformano squadre vincenti. Tutto questo crea quelle capacità e quella personalità professionale che può fare la differenza.  Non sempre è sufficiente ma molto  spesso funziona. E nella GDO,  per chi non ha fatto esperienze altrettanto significative in altri comparti o in altre posizioni aziendali, è  il punto vendita il primo step. Ed è da lì che si parte per crescere.

L’elenco di chi ce l’ha fatta è lungo. Non faccio nomi perché sarebbe troppo facile, per me, dimenticare qualcuno. In quasi tutte le insegne sono i risultati personali e di team che favoriscono  la crescita professionale. Almeno fino ad un certo livello.  E questi professionisti formano l’ossatura fondamentale di ogni insegna: il cosiddetto middle management. Penso agli specialisti di pescheria, panetteria e ortofrutta. Penso ai capi reparto e i direttori di punto vendita. Macellai e salumieri che determinano il successo dei loro punti vendita. Vere e proprie scuole aziendali di prim’ordine, non sempre riscontrabili   sul curriculum.

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Lavoratori azionisti coinvolti su obiettivi e risultati. Negli USA funziona in Publix. Potrebbe funzionare anche da noi, secondo la CISL.

Nel sud est degli Stati Uniti c’è una azienda che piacerebbe a Luigi Sbarra segretario generale della CISL: Publix Super Markets. Ha generato vendite per circa 54,5 miliardi di dollari USA nell’anno fiscale terminato il 31 dicembre 2022. Un aumento del 13,6% rispetto al 2021. Impiega 240.000 persone, ha 1380 punti vendita, scuole di cucina, centri di distribuzione e undici impianti di produzione. Publix è la più grande azienda di proprietà….. dei dipendenti negli Stati Uniti.

Ha una forte cultura aziendale costruita sul fatto che, almeno 220.000 persone delle 240.000 impiegate possiedono azioni che vengono concesse annualmente al personale. Fondata da George Jenkins nel 1930 come piccolo negozio in Florida, Publix è cresciuta fino a diventare la più grande catena di supermercati di proprietà dei dipendenti e continua a essere uno dei principali retailer del Paese. Uno dei cinque supermercati leader in termini di vendite e dimensioni.Il top management ha una lunga esperienza in azienda. Il suo CEO, Todd Jones, lavora a Publix da 41 anni, avendo iniziato come commesso di negozio. Il 60enne è pagato “modestamente” secondo gli standard USA per i CEO. Ha guadagnato $ 3,6 milioni nel 2020, contro $ 22,4 milioni per il capo di Kroger, Rodney McMullen.

Jones ed è il primo amministratore delegato a non essere un membro della famiglia Jenkins. Sebbene le azioni della società esistano, sono disponibili per l’acquisto solo da parte di dipendenti, membri del consiglio e parenti della famiglia Jenkins. Barron’s stima che il dipendente medio  detiene $ 150,000 in azioni e che alcuni fedelissimi  possano averne per importi a sette cifre. I vantaggi  azionari aiutano a differenziare Publix dagli altri retailer. L’azienda non è sindacalizzata, afferma David Livingston di DJL Research, un consulente del settore. “I loro salari sono inferiori a quelli dei loro concorrenti sindacalizzati, ma i dipendenti sanno che nel lungo periodo ne traggono un vantaggio grazie ai bonus azionari”, afferma.  Nel 2022, Publix ha aperto 40 nuovi supermercati, ristrutturato 117 punti vendita  e chiuso 11 negozi.Il prezzo delle azioni è aumentato da 13,19 dollari per azione a 14,55 dollari per azione, a partire dal 1° marzo. 

Per restare  in Italia,   potrebbe essere una evoluzione interessante del modello  Conad e Coop dove  i protagonisti sono i soci, imprenditori  o clienti. Non i lavoratori in quanto tali.  Fantascienza? Che sia un coinvolgimento tramite azioni, legato ai risultati dell’insegna o del sito o, come in Svizzera, attraverso una retribuzione legata alla cifra d’affari (https://bit.ly/45VlV0R) siamo certamente di fronte ad un interessante evoluzione del rapporto di lavoro. Ovviamente considerando culture e  differenze tra settori. Tutto questo nell’esperienza Publix, oltre agli importanti risultati economici, produce un tasso di  fidelizzazione, coinvolgimento, responsabilità e impegno molto maggiore dei concorrenti. Difficile, se non impossibile,  poterlo replicare da noi. Soprattutto nella Grande Distribuzione.
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Listini industriali e caro carrello della spesa. È necessario riaprire il confronto triangolare

Bisognerebbe che qualcuno rileggesse “l’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto. L’opera narra delle gesta di cavalieri cristiani e musulmani abituati a fronteggiarsi. Tra questi c’era Agramante, il re dei mori che era riuscito a riunire eserciti molto diversi tra di loro accomunati però dalla stessa fede, pur essendo di etnie diverse abituati a dilaniarsi attraverso  continue lotte intestine. La Grande Distribuzione è sempre stata così:  litigiosa e incapace di darsi una strategia comune. Finalmente le sue tre espressioni più importanti (Federdistribuzione, Conad e Coop) hanno trovato un punto di incontro nell’interlocuzione politica con il Governo dopo un periodo più o meno lungo dove ciascuna insegna ha cercato di arrangiarsi a fronte delle richieste di aumento dei listini  che da monte ricadevano come un fiume in piena sugli scaffali della GDO ingenerando nei consumatori la convinzione che le responsabilità fossero esclusivamente a valle.

L’industria alimentare è da sempre portata ad atteggiamenti più sobri e  misurati. Ha dalla sua la filosofia della lobby ben organizzata. Sa di avere il fiato sul collo di Coldiretti e le ragioni della filiera a monte  ma non si aspettava che la GDO, per la prima volta,  tenesse unitariamente la  posizione con il Governo. Le richieste di aumenti dei listini (non sempre giustificati) tutto sommato accettati nelle singole insegne, la durata eccessiva dei contratti in tempi di inflazione non contestati e la mancanza di visione politica di insieme di quest’ultima l’hanno convinta a tenere duro anche  questa volta nella certezza che il fronte si sarebbe, prima o poi, sgretolato. D’altra parte gli aumenti richiesti, in buona parte oggettivi, seguivano gli aumenti delle materie prime, dell’energia e dei trasporti rendendoli pressoché inevitabili. Altri meno. Soprattutto le differenze di impatto tra i diversi sottosettori.

Centromarca, l’associazione più titolata,  ha però puntato troppo alto. Ha rifiutato prima un dialogo con la GDO teso a costruire un percorso comune e poi ha pensato di replicare lo stesso atteggiamento con il Governo alzandosi dal tavolo e ribadendo l’intenzione di non sottoscrivere alcunché.  La GDO non si è scomposta ed è rimasta seduta al tavolo.  Chi si alza ha sempre torto.

Com’era prevedibile più si avvicina settembre, che segnala la data di scadenza per aderire o meno al patto anti inflazione, più c’è chi cerca  di seminare confusione nel campo di Agramante. Se però oggi le polemiche feroci sul “caro carrello” non colpiscono  (almeno dal versante politico) la GDO lo si deve a Federdistribuzione, Coop e Conad che hanno ben compreso la necessità di un dialogo costruttivo con l’Esecutivo. Indipendentemente dal suo colore. Questo si chiama “far politica” cosa sconosciuta (salvo in Coop e, in parte in Conad) nel mondo associativo della GDO fino a qualche tempo fa.  Risultato che va ben al di là da ciò  che l’operazione sui prezzi potrà garantire concretamente. Leggi tutto “Listini industriali e caro carrello della spesa. È necessario riaprire il confronto triangolare”

Continua la crescita di Aldi negli USA con una strategia che punta oltre il discount

Per comprendere le traiettorie di una multinazionale non basta osservarne i movimenti più razionali. Aldi ha un suo modello e lo esporta. Generalmente con successo. In mercati complessi come quello americano, però, si muove per  acquisire know how diversi, decide di sperimentare sé stessa in nuovi formati, studia i comportamenti dei consumatori locali e, con le acquisizioni, oltre a crescere,  si  propone di gestire culture organizzative differenti. Per questo l’operazione di acquisizione in corso  è importante non solo per il mercato americano. Aldi sta cercando di andare oltre il suo tradizionale modello di discount. Questa è, a mio parere, la vera notizia.

Aldi US ha annunciato di aver acquisito Winn-Dixie e Harveys Supermarket da Southeastern Grocers. L’accordo, che dovrebbe concludersi nella prima metà del 2024 comprende circa 400 punti vendita Winn-Dixie e Harveys in Alabama, Florida, Georgia, Louisiana e Mississippi. L’accordo conferma  le traiettorie di crescita di Aldi negli ultimi anni e segnala la sua più grande acquisizione negli Stati Uniti. Almeno  fino ad oggi. Bill Read, vicepresidente esecutivo di Retail Specialists, ha dichiarato a CoStar News che è stato colto di sorpresa da questo accordo. “Aldi ha fatto bene a entrare in molti dei mercati del sud-est e ad acquistare un retailer affermato che esiste da 30, 40, 50 anni. Winn-Dixie presenta vantaggi non solo geografici. Età dei negozi e penetrazione del mercato su tutti. Interessanti  per Aldi “perché consente di crescere di scala velocemente”, secondo Read. Nel suo rapporto, che precede la notizia dell’acquisto di Winn-Dixie e Harveys, Coresight ha affermato che il cambio di passo di Aldi conferma  un salto di  strategia. “A differenza di altri rivenditori tradizionali, Aldi e Lidl negli USA si sono affidati principalmente all’espansione organica, guidati dalla loro prudenza finanziaria e dal loro status”, ha affermato Coresight. “Tuttavia, valutare acquisizioni o accordi di joint venture per nuovi ingressi sul mercato, sono opzioni meno rischiose rispetto alla crescita organica e consentirebbero ad Aldi ma anche a  Lidl di sfruttare le strutture dei loro partner e la loro conoscenza del mercato”.

Aldi ha stabilito per la prima volta la sua presenza nel sud-est a metà degli anni ’90 e da allora ha investito 2,5 miliardi di dollari nella regione. Ciò che sarà interessante è la modalità con cui Aldi cambierà i negozi Winn-Dixie e Harveys che non intende ribattezzare con il proprio marchio. Le due realtà sono profondamente diverse e questo richiederà cambiamenti di approccio su entrambi i modelli. È chiaro che Aldi vuole mettersi alla prova anche su supermercati più tradizionali che non seguono il suo modello a basso costo. Aggiungo che le competenze di Aldi e l’efficiente catena di approvvigionamento renderanno certamente i negozi di Southeastern più competitivi. Ci sono però delle diversità da allineare. Ad esempio le due aziende hanno un approccio diverso nella gestione dei collaboratori: nelle statistiche dedicate alle Risorse Umane  Winn-Dixie ha il punteggio più alto per l’equilibrio tra lavoro e vita privata mentre  ALDI ha il punteggio più alto per retribuzione e benefit. Aldi e  Winn-Dixie sono poi profondamente diversi agli occhi dei consumatori. Entrambi vendono food ma Aldi è comunque un discount. L’assortimento è molto diverso. Winn-Dixie è considerato un negozio di alimentari tradizionale con location più grandi, gastronomia a servizio, panetteria, banco della carne e una farmacia in negozio. Frutta e verdura non la confezionano i clienti.  In Aldi, si. Alcuni negozi Winn-Dixie hanno anche un piccolo bar all’interno. In questa realtà non sono abituati a “noleggiare” il carrello mettendo una moneta da $ 0,25 per fare in modo che le persone riportino i carrelli nell’apposito spazio, come da noi. In Aldi, è così. Tutti elementi che rendono necessaria una certa cautela nel passaggio di consegne perché mostrano abitudini differenti.

Ci sono 210 negozi di alimentari di marca Aldi in Florida, secondo il suo sito web. Ciò include 13 a Orlando, otto a Jacksonville, sette a Miami, cinque a Tampa e dozzine di singole località in varie città e paesi. Ci sono oltre 400 sedi Winn-Dixie in Florida. Ciò include 28 nell’area di Orlando, 42 nell’area di Jacksonville, 39 nell’area di Miami, 82 nell’area di Tampa e centinaia di altre località in varie città e paesi. Ma il settore dei supermercati nazionali statunitensi è estremamente competitivo, con player regionali affermati come Publix molto radicati nel sud-est e retailer online, nonché catene nazionali che detengono una fetta del mercato alimentare tra cui Walmart, Target, Costco, Amazon e Whole Foods Market.
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Conad. Evoluzione o involuzione? Ai soci l’ardua sentenza…

Che fare? Credo sia la domanda prevalente che oggi è presente nei ragionamenti  di chi riflette sul futuro del Conad. Ci sono oltre  settantaseimila ragioni  per farlo. Una per i 2200 soci e una per ognuno dei 74432  lavoratori del consorzio. L’uscita di Francesco Pugliese ha chiuso una parte della sua storia nata il 13 maggio 1962 in quel di Bologna. Ed è la storia di  diverse generazioni di imprenditori che hanno creduto nelle loro capacità e nella forza della condivisione di valori comuni.  La leadership di Francesco Pugliese non solo ha dato una strategia imprenditoriale da “numeri uno” del comparto ma è riuscita a realizzare un sogno altrimenti precluso per la conformazione stessa del consorzio. In altre parole gli ha indicato una nuova missione: andare oltre i propri confini. Con la sua uscita  si gira pagina e si affronta un nuovo capitolo dello stesso libro o si fa altro? Questo è il punto.

Anche REWE, prima in Germania  e poi nel resto d’Europa  è cresciuta così. Senza un progetto manageriale di grande respiro i singoli imprenditori sarebbero rimasti chiusi nei loro recinti dorati. REWE stessa sarebbe rimasta circoscritta  nella Renania Vestfalia o poco più. Mentre oggi è presente in 14 Paesi Europei. Certo, nei valori di fondo  resta una cooperativa ma questo non ha impedito un’evoluzione manageriale con acquisizioni al di fuori delle singole realtà cooperative e una visione moderna del business.

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