Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…

Se dico che la GDO si è un po’ avvitata su sé stessa scopro l’acqua calda. L’innovazione, quella vera,  langue, i discount fanno da metronomi all’intero comparto e le grandi superfici sono alla ricerca di nuove identità nella speranza di ridimensionarne la crisi. Passa di mano qualche punto vendita tra insegne, soprattutto al nord e tra l’insegna e  franchisee che, attraverso una gestione più “rude” e modellata sul territorio e le sue specificità a volte funziona e a volte sposta solo  il problema più in là.

Non essendo riuscite a governare l’inflazione a monte le insegne e i fornitori stanno concordando promozioni a getto continuo che confondono i clienti ma che non rimuovono l’idea che i prezzi sono schizzati alle stelle e gli “scudi” televisivi e gli uomini mascherati che difendono i consumatori rischiano di essere un pannicello caldo inventato markettari che non vanno a fare la spesa. La GDO sta quindi adottando la tecnica del “fingersi morta” sperando che la nottata passi presto. D’altra parte i fatturati seguono l’onda e illudono che domani è un altro giorno. Nessuna nuova buona nuova, quindi? No. Qualcosa si muove a macchia di leopardo. Presto ritornerò a ragionare sul sud perché è dove la GDO, discount a parte,  sta cercando di dare il meglio di sé. E poi nell’ortofrutta e nel fresco in generale dove la GDO soffre e dove il 2023 ci riserverà qualche sorpresa positiva.

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Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa

Nel mondo, il valore del falso Made in Italy agroalimentare è salito ad oltre 100 miliardi di euro in costante aumento nell’ultimo decennio. Parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia vengono associati ad alimenti che evocano il nostro Paese ma non vi hanno nulla a che fare. Aggiungo che nel 2019 le importazioni di merci contraffatte e piratate in Italia erano pari a 8,7 miliardi di Euro. Tra il 2008 e il 2021 sono stati quasi 208 mila i sequestri per contraffazione, con un quantitativo di circa 617 milioni di articoli falsificati sequestrati, per un valore economico stimato della merce sequestrata di oltre 5,9 miliardi di euro.

L’Italia è il quarto Paese più colpito al mondo dalla contraffazione dopo Stati Uniti, Francia e Germania. Tutto ciò ha gravi conseguenze sul lavoro: secondo la Camera di Commercio Internazionale, per l’anno in corso, si prevede che a livello mondiale i posti di lavoro messi a rischio dal mercato grigio ammontino a 5,4 milioni. Nel 2022 Amazon ha rimosso dalla rete di distribuzione globale oltre 6 milioni di prodotti contraffatti e ha bloccato, prima che pubblicassero un’offerta, oltre 800 mila tentativi di creare nuovi account di vendita, un numero in calo rispetto ai 2,5 milioni di tentativi nel 2021 e ai 6 milioni del 2020.

Per quanto riguarda i cloni di fragranze non si può parlare di contraffazione semplicemente perché un odore non può essere brevettato. Solo il nome del marchio, il nome del profumo, la descrizione e l’imballaggio possono essere protetti dalla legge. Le aziende produttrici di profumi potrebbero brevettare i prodotti, ma per farlo dovrebbero divulgare le loro formule. Per questo in rete, nei supermercati o nei discount, cosmetici e profumi che assomigliano ai marchi più celebrati si sono trasformati in una moda che attraversa il mondo intero.

La Dupe Culture è un fenomeno culturale nato negli Stati Uniti che poi si è diffuso in ogni parte del mondo, grazie anche alle piattaforme social. Le generazioni più coinvolte sono la Z (nati dal 1995 al 2012) è i millenial (dal 1981 al 1994).  Generazioni che amano ostentare oggetti di lusso pur non potendoseli permettere. Lo scopo è quindi comprare abiti, accessori e cosmetici che sono simili a quelli firmati, ma a un prezzo accessibile. I dupes sono in pratica delle riproduzioni abbastanza fedeli di un prodotto di un brand di abbigliamento o di cosmetica. Leggi tutto “Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa”

Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio

La reazione dura della Grande Distribuzione italiana contraria alle richieste di aumento arrivate già verso la fine del 2021 da parte dell’industria è andata ben oltre le normali dinamiche tra fornitori e buyer. Ha coinvolto i diversi leader delle insegne e dell’industria di marca. La preoccupazione vera in GDO non era solo quella di essere additati come la causa principale del “caro carrello”. I più attenti avevano compreso che una volta accettata la spirale degli aumenti le dinamiche che ne sarebbero seguite sarebbero state difficilmente controllabili. Soprattutto impossibili da recuperare in corso d’anno. Purtroppo sta andando così.

Il rientro dei costi delle materie prime non ha effetti immediati sul carrello della spesa e i fornitori si dimostrano poco disponibili a rinegoziare i contratti firmati in corso d’anno in un contesto economico così fluido. Questo provoca effetti collaterali tra le insegne e tra i diversi formati e accentua le situazioni di crisi in atto in molti punti vendita. Resta la necessità di governare una fase che rischia di protrarsi nel tempo erodendo la fiducia dei consumatori e sul tavolo un CCNL da rinnovare.

I fatturati spinti dall’inflazione propongono ad una lettura superficiale un settore in salute, i margini e i volumi del venduto suggerirebbero maggiore cautela nelle analisi. Si rischia la media del pollo di Trilussa. Alcuni segnali andrebbero colti con maggiore attenzione. Penso alla chiusura di punti vendita, alla deregulation sul costo del lavoro con l’adozione di contratti di lavoro locali, ai continui passaggi di mano di punti vendita di medio grandi dimensioni, la loro terziarizzazione e l’attenzione al contenuto del carrello della spesa da parte dei consumatori. La situazione economica presenta incertezze di contesto e forse sarebbe utile cercare di comprendere cosa sta avvenendo altrove dove la GDO è entrata in una situazione di affanno e difficoltà complessiva come in Belgio.

Le principali insegne del Paese vanno dai 500 milioni di euro circa di Intermarché agli 8 miliardi di Colruyt passando dagli oltre i 5 miliardi di Delhaize, i 4,5 di Carrefour, i 3 di Aldi e i 2 miliardi di LIDL, più, ovviamente, molti piccoli e medi operatori locali). Secondo un recente studio condotto dalla rivista commerciale Gondola e dalla società  Graydon Creditsafe (esperti di analisi del mercato belga) un supermercato su sei in Belgio sta affrontando problemi strutturali. Ciò equivale a circa il  16,2% del mercato, o circa 576 negozi in totale. Le cause sarebbero da ricercare nella crisi energetica, i costi di gestione,  l’alta inflazione e la forte concorrenza tra insegne. I margini sono scesi ai minimi storici. Leggi tutto “Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio”

Amazon sta girando a vuoto nel retail…

Ho sempre pensato che il vero obiettivo di Amazon resti quello di scavalcare il mondo tradizionale del retail puntando a ridisegnarlo completamente.  Soddisfare il cliente interpretandone gusti e tendenze bypassando però la necessità di portarsi appresso la spesa attraverso una logistica rivoluzionata dalla tecnologia e negozi che, oltre a esporre la merce in modo più o meno tradizionale dovrebbero essere in grado di proporre un’esperienza di consumo più coinvolgente.

Qualcosa che riesca  ad  andare oltre il tanto teorizzato omnichannel dove i modelli del negozio fisico e digitale coesistono ma restano separati. L’obiettivo è arrivare  a fondere in un’unico canale l’offerta perché al centro riesce finalmente a mettere (non a parole)  il cliente, le sue esigenze ma anche, attraverso la tecnologia,  le sue potenziali aspettative. Una rivoluzione non solo negli USA dove lo scontro è tra antagonisti con strategie e risorse economiche impegnate di pari livello ma destinata inevitabilmente a propagarsi ovunque attraverso concentrazioni e acquisizioni di realtà avanzate nel campo della tecnologia, della logistica al servizio dell’intera filiera e delle eccellenze del retail funzionali a questo disegno.

In questo senso l’acquisizione da parte di Amazon di Whole Foods (16 giugno 2017) sembrava un primo passo compiuto più per comprendere un mestiere (il “fresco” e la sua gestione) estraneo alla cultura della multinazionale di Seattle. Non dimentichiamo che quando Amazon ha sborsato 13,7 miliardi di dollari per Whole Foods il mondo del retail ha tremato. Hanno tutti pensato che l’azienda di Jeff Besoz  avesse già le idee chiare su come creare un nuovo formato in grado di operare una sintesi tra innovazione tecnologica, iper-convenienza e proposta illimitata (anche) di generi alimentari. Non era così.

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Esselunga non allunga e gli inseguitori si avvicinano…

Una degli accadimenti   che mi avevano lasciato abbastanza perplesso ai tempi dell’operazione Auchan da parte di Conad è stata la scarsa determinazione messa in campo sulla possibile espansione del Consorzio nella  città di Milano. Pensavo fosse uno delle premesse della strategia alla base dell’acquisizione: entrare finalmente nella città dove la lotta per la leadership avrebbe avuto ben altri connotati. Conad ha però preferito girare al largo.

Ha ceduto  ad altri l’onere di fronteggiare in casa Esselunga. Una ritirata, come si è scritto,  imposta dagli equilibri interni o conseguente alle determinazioni dell’ antitrust  oppure una difficoltà intrinseca del Consorzio in una città così diversa dalle altre. Certo, Auchan era ormai in caduta e pretendeva ben altre priorità, ma tant’è. L’impressione esterna è stata questa.

Come ho già scritto il solco che separa la prima della classe a Milano e non solo dal resto delle insegne è ancora evidente. Ovviamente Esselunga non è solo Milano. I risultati 2022 lo confermano. L’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi in aumento del 3,2% a 8,83 miliardi, con una accelerazione nel secondo semestre che indica un +6,7%. Completato il riassetto societario tutte le società del gruppo Esselunga sono interamente di proprietà di Marina Caprotti e della madre Giuliana Albera. In tempi di inflazione è fuorviante osservare fatturati e l’anno ormai alle spalle. I volumi di vendita hanno comunque sofferto. Esselunga dichiara un calo dell’1% contro una media del 3,4% della GDO. È però la media del pollo di Trilussa. Non tutti lamentano questo calo. L’ebitda è sceso a 501,4 milioni dai 689,7 del 2021. Ha pesato anche il costo dell’energia, quasi raddoppiato rispetto all’anno prima.

Per un milanese andare a Esselunga è comunque altra cosa che andare al supermercato. E il “supermercato” sono le altre insegne accumunate dal destino di assomigliarsi un po’ tutte. Credo come per altri nei rispettivi territori di insediamento. Qualcuno ha provato nel tempo ad insidiare Esselunga  con proposte commerciali tarate su fasce particolari di consumatori  ma la distanza da colmare è sempre stata troppo ampia e le risorse messe in campo dalla concorrenza tutto sommato abbastanza  modeste.
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Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.

Le sponsorizzazioni sono una cosa seria. Se usciamo dalla logica dei comunicati ufficiali e dalle tifoserie pro o contro l’assegnazione ad un’azienda tedesca sia della qualifica di Premium Partner che della fornitura dell’ortofrutta italiana alla nazionale di calcio che hanno accompagnato l’assegnazione del 2019, dobbiamo prendere atto che queste sono  scelte sempre molto ponderate. Tra tutti coloro che si sono lamentati e che avrebbero potuto “scendere in campo” al posto di LIDL nessuno  si è mai fatto avanti a quelle cifre.

E credo che anche nel recente passaggio di consegne tra LIDL e Esselunga abbia pesato la volontà dell’azienda tedesca di spostare il suo investimento  ad un livello più alto e diventare sponsor UEFA. Dal 14 giugno al 14 luglio 2024 le nazionali di calcio europee si sfideranno in Germania, in dieci differenti città. In palio il titolo di Campione d’Europa. Dal marzo 2023 al marzo 2024 si svolgerà la fase di qualificazione che designerà le finaliste che, a loro volta, scenderanno in campo per disputare le 51 partite del torneo finale. In qualità di Partner Ufficiale, LIDL, sarà sponsor sia delle Qualificazioni Europee sia del torneo finale UEFA EURO 2024. Una collaborazione di altissimo livello: Lidl, infatti, conta oggi più di 12.000 punti vendita in 31 paesi, 30 dei quali proprio in Europa.

Il direttore marketing UEFA, Guy-Laurent Epstein, ha dichiarato: “UEFA è orgogliosa di dare il benvenuto a Lidl come partner ufficiale delle Qualificazioni Europee e di UEFA EURO 2024. La presenza di Lidl in tutto il continente darà un forte contributo alla promozione di quella che sarà un’altra competizione indimenticabile. Siamo lieti di sostenere insieme i valori della salute e del benessere condivisi da Lidl e UEFA”. Eduardo Tursi, amministratore delegato acquisti e marketing di LIDL Italia ha sottolineato: “Siamo entusiasti di essere parte di un evento che appassionerà milioni di persone in tutto il nostro continente e, in primis, i nostri 21 mila collaboratori in Italia e gli oltre 360 mila a livello mondiale. Così come i nostri prodotti sono accessibili a tutti, vogliamo contribuire a rendere UEFA EURO 2024 un’esperienza collettiva unendoci nel tifo calcistico sempre all’insegna della sana alimentazione“.

Nessuno ha scalzato nessuno quindi. Queste cose non accadono all’improvviso. È bastato un giro di telefonate ad alto livello politico con alcuni tra  i principali CEO del comparto per chiudere la partita. In questo momento Esselunga era l’unica realtà in grado di rispondere “Presente!” al desiderio, manifestato dal Governo, che avrebbe voluto contare su una sponsorizzazione “nazionale”. Leggi tutto “Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.”

FICO. Con un’idea non si mangia…

“Un’idea un concetto un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione” cantava Giorgio Gaber. Eppure FICO sembrava promettere uno sviluppo interessante. Il luogo dove è stato realizzato, è apparso però subito un azzardo. Eppure per Oscar Farinetti si può parafrasare quello che Voltaire aveva coniato per i banchieri svizzeri. “se vi capita di vederlo saltare da una finestra, seguitelo. Di sicuro c’è qualcosa da guadagnare”.

In fondo è sempre stato così. Ed è quello che avranno certamente pensato i vertici di Coop Alleanza quando  hanno scommesso sulla riuscita certa dell’operazione FICO in quel di Bologna. La Disneyland del cibo purtroppo sì è presto dimostrata un flop. Non era però difficile prevederlo. Avevo già scritto qualche mese fa il mio pensiero sull’intera operazione (https://bit.ly/3BH6jQL). Solo la visione e la capacità di tessere alleanze del suo fondatore poteva far nascere  un progetto che personalmente continuo a pensare intelligente per il nostro Paese realizzandolo in un luogo che non  poteva funzionare.

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Grande Distribuzione. Il futuro del negozio? Vicino al cliente, tecnologico, ecologico e…. anche con le ruote.

Eppure qualcosa mancava. Non bastava da una parte il negozio fisico e dall’altra quello virtuale. Comprare con i “piedi” andando fisicamente nel negozio cosiddetto di “malta e mattoni” o comodamente seduti sul divano. Sembrava un’alternativa secca, definitiva. O di qua o di là. Poi sono arrivati i “ma anche”; i seguaci del “phigital”. Quelli per i quali si può e si deve essere entrambe le cose. Anzi. Il futuro sarà di chi saprà interpretare meglio di altri  i due ruoli in commedia mettendo al centro il cliente e le sue esigenze.

L’esplosione della pandemia ha poi accelerato i progetti (e le illusioni) di alcuni tra i fautori dell’on line applicato alla logistica dell’ultimo miglio. Sono prosperati i cosiddetti unicorni che potevano contare su un fiume di finanziamenti che pareva infinito spinto dalle  code con la mascherina al supermercato, con i rischi di contagio, alla voglia di spesa nel minor tempo possibile fatta preferibilmente da altri e consegnata dal rider.  Quest’ultimo con o senza contratto.

La fase  della priorità della logistica e della tecnologia che cercava di spingere in soffitta gli ipermercati, i volantini con le offerte e la vecchia concorrenza tra insegne sembrava inarrestabile. Poi è arrivata la guerra ai nostri confini,  l’esplosione dei costi delle materie prime e dell’energia. Il fiume dei finanziamenti agli unicorni si è prosciugato in un battibaleno. Le priorità ormai erano altre. L’inflazione è una brutta compagnia. Meno risorse ai progetti di lunga prospettiva è più attenzione ai costi e ai margini. E poi uscire, finalmente senza mascherina e paure varie,  ha riconciliato le persone con i punti vendita all’aperto,  con i ristoranti e con la voglia di frequentare fisicamente  il mondo.

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La partecipazione del lavoro (e del risparmio) per lo sviluppo dell’impresa, del comparto e del Paese

Non sono molte le aziende che hanno, nel tempo, scelto la strada del coinvolgimento dei dipendenti attraverso proposte di  partecipazione economica o gestionale. Argomento complesso e ostico che compare ciclicamente anche nel dibattito sindacale italiano sopratutto per merito della CISL.

Luigi Sbarra lo ha rilanciato ultimamente annunciando che “nelle prossime settimane inizieremo un’articolata campagna nazionale di raccolte firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione, che deve diventare diritto fondamentale dei lavoratori e dei cittadini; leva centrale di un progresso socialmente sostenibile verso una prospettiva di vera democrazia economica. Abbiamo voluto concretizzare ciò che già è presente nella nostra Costituzione (articoli 41 e 46). Con il nostro disegno di legge intendiamo definire e promuovere iniziative contrattuali nazionali e di secondo livello per la partecipazione gestionale, economica, organizzativa e consultiva dei lavoratori”.

Intanto le imprese più sensibili si muovono. Le ultime in ordine di tempo sono Campari e Carrefour. Campari fondata in Italia nel 1760 è oggi il sesto player mondiale per importanza nell’industria degli Spirit di marca.  22 impianti produttivi, 4.000 persone, in  Italia è presente con la sede centrale di Sesto San Giovanni e i 4 stabilimenti di Canale, Novi Ligure, Alghero e Caltanissetta. Per il segretario generale della Fai Cisl nazionale, Onofrio Rota: “Il piano rappresenta un salto di qualità per le relazioni industriali in chiave innovativa e partecipativa, come da sempre promosso dalla Fai e dalla Cisl, e si affianca al già rodato integrativo di Gruppo con il premio di risultato e i piani di welfare aziendale, ampliando i principi fondamentali di partecipazione e democrazia economica. E’ una strada che ci auguriamo venga intrapresa presto anche da altre realtà produttive”.

Carrefour attraverso Carrefour Invest propone  a suoi quasi 335.000 dipendenti in Francia e altri paesi, di associarli a condizioni privilegiate alla performance dell’azienda coinvolgendoli nel suo successo economico e finanziario attraverso piani di compensazione collettiva e di risparmio dei dipendenti. Alexandre Bompard, CEO del Gruppo ha dichiarato che: “Questo programma di azionariato dei dipendenti arricchisce il modello sociale di Carrefour, che è già molto interessante e consente ai nostri dipendenti di essere coinvolti ancora più direttamente alla performance del gruppo. Proponendo condizioni di investimento privilegiate e sicure per diventare azionista di Carrefour, questo piano si rivolge a tutti i nostri collaboratori, e costituirà un fattore di successo del nostro piano Carrefour 2026”. Leggi tutto “La partecipazione del lavoro (e del risparmio) per lo sviluppo dell’impresa, del comparto e del Paese”

Franchising e Grande Distribuzione. Uno “spettro” si aggira sull’Europa….

Da scorciatoia per ridurre e comprimere i costi e condividere con altri (franchisee o lavoratori)  il “rischio di impresa” a qualcosa di più strutturato e diffuso. Il ricorso al franchising nella GDO europea sale in cattedra e finisce sotto i riflettori. L’ultima in ordine di tempo è stata Delhaize in Belgio. 128 punti vendita, 9.200 dipendenti hanno appreso che i loro negozi sarebbero stati dati in franchising. Non l’hanno presa affatto bene. Ovviamente partirà presto un negoziato con il sindacato di categoria belga per definire tempi e capire le condizioni.  Il franchising in tutta Europa, ad est come ad ovest, sta sostituendo la gestione diretta in molte realtà della Grande Distribuzione. Sia nel caso di nuove iniziative (vedi, ad esempio, il test di  Potager City di Carrefour France) come nel coinvolgere punti vendita in fase calante o parti di rete in determinati territori.

L’espansione classica  della GDO, quella a cui ci siamo abituati nel novecento si è, di fatto, conclusa. Circondati dalla concorrenza delle altre realtà e formati, cresciute come funghi, dalla spinta dei discount e dalla  rete, le insegne, una dopo l’altra scoprono, e cercano di affrontare,  i loro punti deboli concentrandosi innanzitutto sui costi. Di nuove sfide sul piano commerciale nemmeno l’ombra. Le grandi superfici e le realtà in pieno passaggio generazionale, ovviamente,   scontano problemi strutturali più di altri.  In mancanza di innovazioni particolarmente significative vince chi si adatta meglio al contesto.  Le politiche commerciali (sconti, promozioni, iniziative varie) tutte uguali tra di loro, alla fine,  sono a somma zero. Restano da rivisitare  logistica, costi di sede, rapporti con i fornitori, organici (numeri e trattamenti definiti contrattualmente) e costi di locazione.  Il franchising, per molti, rischia di essere un passaggio obbligato. Pur con tutti i rischi che comporta.

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