Grande Distribuzione. Al sud c’è chi ci prova…

A molti potrebbe sembrare strano occuparsi di un avvicendamento di cariche in una realtà della Grande Distribuzione del sud come Multicedi. Ci sono i comunicati ufficiali, il gruppo va decisamente bene con i suoi 30 anni di attività e  un fatturato 2022 di 890 milioni. Una realtà  da tempo affermata del panorama Gdo, presente in 7 regioni nel centro sud con oltre 800 collaboratori diretti. E parte del Gruppo Vegé (32 imprese associate, 3.052 punti vendita e marchi come Bennet, Iper Tosano, Decò, Migross, Isa con una quota di mercato del 7,9%. Quinto gruppo in Italia).

Multicedi ha il suo quartier generale a Pastorano, in provincia di Caserta, dove agli uffici direzionali si aggiungono le piattaforme logistiche di 62.000 metri quadrati complessivi che servono quotidianamente le diverse realtà aziendali. Nel 2022 sono stati attivati 55 nuovi punti vendita  di cui 22 aperti in Campania, ben 16 nel Lazio, 13 in Puglia, 4 in altre regioni del sud Italia. In Campania detiene una quota di mercato del 13,5% (GNLC Nielsen 02/2023). L’Ebitda del consolidato è pari a 27,3 milioni di euro circa ed il risultato ante imposte del consolidato è pari ad euro 18,9 milioni circa, entrambe in linea con quanto rendicontato nell’esercizio 2021. Il risultato di esercizio 2022 si attesa a 13,4 milioni di euro.

L’insegna di punta è  Decò che conta oltre 360 punti vendita, ai quali si affiancano 21 Dodecà e 21 Sebòn. Completano la compagine anche le insegne Flor do Cafè, Quarì e l’insegna pet Ayoka. Nel 2023 le nuove aperture sono già 18, tra queste si annovera anche il quinto AdHoc Cash&Carry, il primo aperto in formula franchising, inaugurato il 5 giugno ad Altamura (Ba). Un risultato estremamente significativo visto il contesto economico e le dinamiche competitive. Non però sufficiente, visti gli avvicendamenti al vertice, a confermare le cariche sociali. Nuove cariche quindi per il Consiglio d’Amministrazione:  Pietro Ragozzino viene confermato presidente e riceve anche la carica di Amministratore delegato.  Alla vicepresidenza, invece, Luigi Irollo. Il Consiglio d’Amministrazione di Multicedi, quindi sarà  composto, oltre che da Irollo, Messina e Ragozzino, anche da Antonello Catania, Augusto Lombardi, Barbaro Messina, Ciro Moccia, Pasquale Montanino, Giancarlo Papallo, Antonio Rea e Antonio Siciliano. Claudio Messina  resta comunque all’interno del CdA.

Non conosco personalmente Claudio Messina. Per lui parlano però i progetti, lo stile imprenditoriale  e i risultati. Direi ottimi. Sto cercando da tempo di capire se, una parte importante del futuro della GDO nazionale, può ripartire proprio dal sud per darsi, in prospettiva, nuovi confini imprenditoriali e manageriali. Il tramonto dei grandi vecchi del lombardo veneto che hanno costruito il comparto che conosciamo è sotto gli occhi di tutti. I passaggi generazionali mostrano che certe qualità e capacità non sempre si ereditano insieme alle aziende. Forse stiamo assistendo ad un inizio di mutazione genetica del comparto nazionale. Da un lato le multinazionali che hanno lasciato il campo o hanno ceduto i loro punti vendita individuando nel franchising un modello più flessibile e dall’altro l’alta penetrazione del discount. Al sud il comparto sta assumendo una sua fisionomia specifica.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. Al sud c’è chi ci prova…”

Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…

Sui piazzali della logistica è sempre più difficile trovare i sindacati confederali come interlocutori. Le varie formazioni legate al sindacalismo di base hanno via via preso il sopravvento. Così come nei magazzini di molte realtà che lavorano anche per la grande distribuzione. Picchetti e denunce sono all’ordine del giorno. Per queste formazioni sindacali,  con un seguito di associati ancora complessivamente modesto, eterogeneo e in cerca di visibilità, il ricorso alla  magistratura rappresenta una parte decisiva della loro strategia. L’obiettivo è tenere aperto un clima di tensione continua per ottenere un risalto mediatico. In alcuni casi si assiste ad un gioco di sponda tra loro, i media che non amano il sindacalismo confederale e alcuni magistrati anch’essi in cerca di visibilità. 

La verifica della consistenza e della veridicità delle accuse formulate dalla Procura di Milano sarà oggetto dei tre gradi di giudizio. E questo vale per Esselunga come per qualsiasi altra azienda. Sull’azienda di Pioltello conservo qualche dubbio aggiuntivo sulla consistenza delle accuse stesse. Per lunghi anni oggetto di verifiche e controlli di tutti i tipi per le esternazioni “spigolose” dell’anziano leader hanno portato  quella realtà  ad essere estremamente attenta e sensibile al contesto legale e contrattuale. Molto più di altre. Per questo preferisco attendere gli sviluppi prima di esprimere qualsiasi giudizio. Spesso alle iniziative della Procura milanese accompagnate da un forte eco mediatico non è seguito nulla di risolutivo.

In termini generali, il “sottostante” non nasce oggi e non è sconosciuto. Dura da almeno vent’anni. Ogni tanto se ne parla ma, purtroppo, nessuno affronta alla radice il problema. Il tema delle finte cooperative (cosiddette spurie) che nascono e muoiono con l’obiettivo di sfruttare i lavoratori immigrati ed evitare tasse e contributi  inserendosi nei sub sub appalti, spesso bypassando qualsiasi  controllo, esiste. Bisogna però stare attenti a non generalizzare perché si rischia di colpevolizzare un sistema che non c’entra nulla. In Italia ci sono circa 60 mila cooperative, che da sole danno lavoro a circa il 7% dei dipendenti privati. Non si tratta quindi di una nicchia, ma di una parte importante della nostra economia. E le continue denunce di Lega Coop e Alleanza cooperative sulle anomalie riscontrate dimostrano che lo stesso sistema cooperativo, per la grandissima parte sano e autentico, cerca di isolare il fenomeno: “Chiediamo il pugno duro contro le false cooperative” hanno spesso dichiarato i loro dirigenti. 

I settori maggiormente interessati da questi fenomeni sono quelli della lavorazione delle carni, dell’agroalimentare, delle costruzioni edili ed infrastrutture, dell’autotrasporto, della logistica e del facchinaggio, dei noleggi, dell’attività di assistenza sociale dove le modalità di esecuzione dell’appalto non si discostano molto dalla mera fornitura di manodopera. Ricordo le difficoltà che ho incontrato  in Rewe italia per riportare tutto il sistema logistico di supporto ad un livello di trasparenza accettabile. Le lunghe notti passate dentro e intorno ai magazzini di Lacchiarella per intercettare lavoratori senza permesso di soggiorno spinti a  scavalcare le recinzioni dai caporali per pochi euro e sostituire i lavoratori regolari delle cooperative abbassandone così i costi e questo nonostante gli accordi blindati sottoscritti e gli impegni formali. Le vie di fuga sono infinite. Fortunatamente, grazie ad interlocutori seri (nel nostro caso la CLO – cooperativa lavoratori ortomercato aderente alla Lega della Cooperative) ne siamo venuti a capo. Leggi tutto “Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…”

Grande Distribuzione. Coop Italia cambia passo

Impossibile non cogliere un nesso tra due avvenimenti apparentemente lontani. Da una parte la chiusura del rapporto ventennale tra Francesco Pugliese e il Conad e dall’altra il riassetto strategico di Coop Italia. La prima e la seconda insegna della GDO hanno sempre vissuto con grande e leale competitività la loro natura cooperativa seppur di segno diverso. La prima di imprenditori e la seconda di soci.

Conad sembra voler rallentare, tirare il fiato e consolidare il perimetro acquisito. La corsa seguita all’acquisizione di Auchan e la leadership nel mercato nazionale hanno impegnato a fondo le cinque  cooperative. Francesco Pugliese ne ha probabilmente “stressato”  le rispettive leadership per consentire al Consorzio di posizionarsi ai vertici  del comparto. Lascia nel momento più alto della sua gestione. Adesso tocca a Mauro Lusetti (ex Coop) riportare a sintesi il confronto interno. Conad deve  confermare il suo primato che non è fatto solo di numeri, rilanciarsi nella leadership politica della categoria, essere protagonista e non follower nel rinnovo del Contratto Nazionale scaduto, decidere il proprio ruolo in Confcommercio e accelerare sui progetti innovativi completando la complessa digestione dell’affaire Auchan.

Coop Italia in questi anni è rimasta un po’ in ombra. Non certo ferma. Pur cedendo il primato in classifica già prima dell’operazione Auchan da parte dei “cugini” di Bologna ha scelto di  guardarsi dentro, rimettere in ordine strategia e obiettivi pur confermando però la propria natura. Con le ultime decisioni sembra pronta ad accelerare. La scelta di “consacrare” definitivamente la carriera di Maura Latini ai vertici di Coop Italia è un primo segnale. Innanzitutto  la soddisfazione personale che comprendo benissimo.

Più o meno negli anni in cui Maura Latini entrava in Coop durante le sue vacanze scolastiche io entravo in Galbani. Più o meno allo stesso livello: l’ultimo. La soddisfazione di arrivare dopo molti anni nel comitato di direzione della più grande azienda allora del Gruppo Danone nel ruolo di direttore risorse umane è stato il coronamento di una prima fase del mio percorso professionale. In quella esperienza ho imparato ad osservare la realtà da diversi punti di vista. Soprattutto per capire le persone, il clima che le circonda l’impegno che le caratterizza  e consente all’azienda di raggiungere i suoi obiettivi. Allora, è vero,  l’ascensore sociale funzionava.

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Esselunga. Continua la diaspora….

In una intervista pubblicata il 29 marzo di quest’anno, il Presidente esecutivo di Esselunga Marina Caprotti di fronte ai risultati positivi dell’azienda aveva messo sul tavolo 500 euro a testa per i dipendenti del Gruppo. Undici milioni di euro per dare un aiuto concreto in difesa dell’inflazione. Un atto di liberalità non dovuto ma significativo in un momento difficile per i 25.000 collaboratori. Eppure qualcosa sembra continui a non funzionare.

Certo in un comparto che deve risalire al 2015 per ritrovare la firma di un CCNL poi scaduto nel 2019 un atto vale più di mille parole. E che una delle principali aziende lo segnali è sicuramente da apprezzare. Sostenere il reddito è importante ma non sufficiente quando è il clima interno ad appesantirsi.

La direzione risorse umane in un’azienda di quelle dimensioni è fondamentale. Ha tre compiti che nessun altra direzione aziendale può esercitare. Innanzitutto presidiare il clima interno. L’azienda è il clima che la pervade. I numeri, pur positivi, seguono. In secondo luogo deve gestire le persone. Una comunità di quelle dimensioni è un insieme di speranze e aspettative, di disponibilità e impegno, di conflitti personali e di gioco di squadra che vanno affrontati e manutenuti costantemente. L’azienda non è una macchina è un corpo vivo che va tenuto in salute. Infine deve “scovare” i talenti necessari e portarli a bordo, ingaggiare quelli che ha all’interno, lavorare sul “talento diffuso” che è presente in ognuno è che, se valorizzato e incentivato, contribuisce più di ogni altra cosa al risultato finale.

Deve prestare grande attenzione alla differenza tra l’opportunismo strumentale che a volte si confonde con il talento, il proliferare degli yesman e la necessaria critica costruttiva. Non esiste la solitudine del comando. Nessuna azienda può essere gestita senza una sana comunicazione a due vie. Se è unidirezionale fallisce nel suo intento principale che resta  quello di ingaggiare ogni risorsa, dalla principale alla più umile, facendola sentire importante, decisiva, utile alla causa.

Ce lo ricorda il famoso apologo dei tre scalpellini di Peter Schultz: «Un viandante cammina per una strada assolata, finché giunge nei pressi di un cantiere, ove tre scalpellini lavoravano sotto il sole cocente. Si avvicina al primo di essi e gli chiede: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Sto sudando!”. Il suo sguardo era torvo e il suo volto affaticato. Si avvicina al successivo scalpellino, gli rivolge la stessa domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Mi sto guadagnando il pane!”. Il suo sguardo era spento e il suo volto rassegnato. Il viandante prosegue e ripete al terzo scalpellino la domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Ma come, non lo vedi?” Partecipo alla costruzione di una cattedrale!” e i suoi occhi brillavano di soddisfazione e sul suo volto non vi era traccia di fatica.» Chi si occupa di risorse umane conosce bene la differenza di atteggiamento tra i tre scalpellini. Leggi tutto “Esselunga. Continua la diaspora….”

Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…

Milano sta accelerando. Dall’Expo alle Olimpiadi invernali che attendono la città, ha sempre saputo interpretare nuove traiettorie. Anche nell’alimentare. L’accordo tra Fiera di Parma e Milano per una gestione armonizzata delle due  manifestazioni dedicate al settore agroalimentare ovvero Cibus e Tuttofood ne testimoniano la vitalità. L’azione combinata delle due fiere leader in Italia metterà in campo un nuovo soggetto in grado di competere a livello europeo, specializzando le due manifestazioni: Cibus Parma vetrina fondamentale del Made in Italy alimentare e dei suoi territori, Tuttofood Milano piattaforma globale e innovativa per il food&beverage di tutto il mondo.

Presto decollerà Foody, il Mercato Agroalimentare di Milano, che rappresenterà un polo di attrazione per aziende e professionisti italiani e internazionali della filiera agroalimentare e punto di riferimento della tradizione e dell’eccellenza del “Made in Italy” nel mondo. Mancano solo due “perle”: la scuola di Alta Cucina di Parma nel cuore di quella che viene definita la Food Valley del nostro Paese intenzionata ad  aprire presto una importante sede secondaria  a Milano e FICO.  Quando Oscar Farinetti si stancherà di “giocare” in quel di Bologna potrà trovare nel capoluogo lombardo un approdo sicuro e redditizio. Le aree non mancano.  Una città in continuo cambiamento  quindi non poteva lasciare indietro la distribuzione commerciale grande e piccola nelle sue differenti proposte. I consumatori fortunatamente non sono tutti uguali.

Da un lato avanzano discount e piccoli negozi di vicinato mentre le grandi superfici sono in una fase di ripensamento, dall’altro la qualità e la consegna a domicilio di realtà come Cortilia e Humamy, per citare due aziende che fanno del mangiare sano la loro caratteristica  principale. In mezzo ogni insegna della GDO si attrezza e gioca le sue carte mentre i “mercati del contadino” che servono o si avvicendano a scadenze fisse nelle diverse zone della città e l’apertura di punti vendita di fascia alta rispondono alle diverse esigenze di reddito, di gusto e di rapporto con il proprio cliente di riferimento.

Non c’è solo l’ossessione per promozioni e sconti finalizzati a sostenere quella parte dei consumatori, soprattutto a reddito fisso che l’inflazione, colpisce pesantemente. La GDO sta tenendo a fatica il punto e contemporaneamente sostiene tutte quelle iniziative che cercano di aiutare chi resta indietro. Dal Banco Alimentare alla lotta allo spreco, agli sconti sulla merce vicino alla scadenza. Milano è al centro anche in questo. Leggi tutto “Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…”

Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…

Il rischio che l’inflazione duri ben più del previsto è reale.  Un recente  studio della Bce, tramite alcune simulazioni, giunge anche a calcolare un possibile aumento dei prezzi al consumo globale compreso tra lo 0,9 e il 4,8 per cento. È l’effetto sulla crescita dei prezzi del cosiddetto processo di “reshoring”, vale a dire il rimpatrio delle produzioni per evitare di dovere dipendere da altri Paesi come la Cina o l’India. Fino ad ora l’inflazione è stata scaricata sostanzialmente sul consumatore. Soprattutto a reddito fisso.  Non sulle imprese di produzione.

Se parliamo di consumi alimentari si è scaricata anche sui margini delle imprese della GDO che, almeno in una prima fase, forse sottovalutando il fenomeno o ritenendolo  passeggero, ne hanno in parte assorbito le dinamiche.  Resta purtroppo la realtà. Da un lato c’è chi accusa la GDO di speculare sui prezzi e dall’altro la GDO  che cerca di smarcarsi con diverse strategie. Il Fatto Alimentare (https://bit.ly/3MWdQRx) mette sotto i riflettori un punto vendita di Esselunga.  Non è solo l’azienda di Pioltello che cerca di  proporre, attraverso sconti e promozioni a getto continuo,  una convenienza complessivamente maggiore della propria offerta rispetto alle altre. Il consumatore però percepisce una grande confusione e si muove sempre più con maggiore cautela. 

Detto questo, un dato però emerge nella sua crudezza. È difficile convincere il cliente della propria estraneità agli aumenti, spesso esagerati, dei prezzi quando  i costi, aumentati a causa della lievitazione delle materie prime, vengono dati per rientrati. La Grande Distribuzione, fin che ha potuto, si è difesa. Non ha cercato gli aumenti. Li ha subiti. Sconti e promozioni, concordati o meno con i fornitori, restano una delle poche armi a disposizione visto che di strategie comuni di filiera non se ne parla. Così come di superare l’impostazione dei contratti lunghi con l’industria in regime di alta inflazione che, oltre ad essere un errore che alimenta l’inflazione stessa, rischia di ritornare al mittente, prima o poi, come un boomerang.

Fuori dal nostro sguardo quotidiano  tra i buoni esempi di azioni che rientrano in una  filosofia di contenimento ci sono Tesco, nel Regno Unito, e l’insegna francese E.Leclerc. Per Tesco, un approccio a tre livelli ha dato i suoi frutti. Oltre all’allineamento dei prezzi di alcuni articoli con quelli dei negozi Aldi (l’insegna discount più conveniente nel Regno Unito), l’azienda ha anche introdotto i “Clubcard Prices”, una serie di sconti esclusivi effettuati automaticamente alla cassa per i titolari della carta fedeltà del distributore. Questi sconti sono diventati una parte centrale del marketing di Tesco nell’ultimo anno, contribuendo a migliorare significativamente la percezione del valore e della qualità dell’insegna agli occhi dei suoi clienti. Leggi tutto “Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…”

Grande distribuzione francese: il caso HMarket. Il primo vero supermercato halal in Europa…

La notizia è di quelle che fanno discutere. Non è tanto perché sette punti vendita Auchan in Francia chiuderanno per l’insufficiente redditività. Succede anche da noi che i punti vendita non redditizi delle GDO vengano chiusi. A Les Mureaux un comune francese  di 33  mila abitanti situato nella regione dell’Île-de-France ne chiude uno sul quale è scoppiata, sulla stampa nazionale francese, la polemica perché i prezzi bassi del concorrente HMarket hanno contribuito all’emorragia dei clienti di Auchan.

HMarket, è una catena creata nel 2006 specializzata in ‘cibo etnico’ dove si vende solo carne halal (il termine si può tradurre come “lecito” e indica, nello specifico, il cibo preparato rispettando la legge islamica), non si vendono alcolici e conta circa mille collaboratori. Opzione del tutto scontata in questa città dove è presente una numerosa comunità musulmana. La scelta delle parole dell’articolo de “Le Parisien” (https://bit.ly/3OQYjFg) scatenano reazioni a 360° e fanno riflettere. “Spietata concorrenza di Halal”, “competizione frontale”, “minaccia”, “guerra”, ecc. Altro che naturale declino di un punto vendita che fatica a competere! L’articolo, il lessico utilizzato, il titolo,  tutto serve per alimentare l’immaginario islamofobo  agitato dalla destra estrema francese come minaccia alla comunità.

Auchan ha chiuso diversi negozi in diverse città della Francia. Il “declino” della loro “redditività” in alcune regioni non è dovuto a “THE HARDLESS HALAL COMPETITOR” ma a variazioni di consumi e prezzi ritenuti troppo cari rispetto ad altri. Con questo linguaggio da crociata   tutti i principi di sostenibilità, convenienza, o di natura concorrenziale generalmente difesi dai media mainstream svaniscono quando si tratta di concorrenti e/o consumatori musulmani. Senza queste polemiche però, non avremmo mai sentito parlare di questo piccolo nuovo soggetto arrivato nella grande distribuzione francese. Sarebbe stato un peccato.

Il caso di Les Mureaux è interessante, perché lì scopriamo la specificità e la capacità concorrenziale di questa catena. La nicchia di mercato che occupano questi supermercati musulmani è particolare: le cassiere sono velate, tutti i prodotti sono halal e non servono alcolici. Gli stessi “francesi nativi” sono piuttosto contenti: l’inflazione ha permesso a HMarket, i cui prezzi sono molto vantaggiosi, di posizionarsi con grande facilità come il marchio più economico della zona.  Ed è così che i supermercati halal si stanno gradualmente affermando nel panorama della GDO francese. Dovrebbe aprire un altro HMarket, sempre a Yvelines, a Buchelay, non lontano da Mantes-la-Jolie. E ce ne saranno altri, ovunque, sempre di più. 

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ALDI. Buona Spesa (in) Italia?

Come ho già scritto parlando di LIDL, una multinazionale della GDO la si può osservare da diversi punti di vista. Dal basso, entrando in un punto vendita osservando specificità, prodotti e servizi. O dall’alto: valutandone la forza economica che è in grado di mettere in campo per crescere o meno in un Paese. Oppure osservando come si muove il consumatore. È la vecchia storia sufi dell’elefante e dei ciechi chiamati a descriverlo.  La realtà è come l’elefante. Ognuno di noi ne tocca o ne predilige un punto di osservazione piuttosto che un altro.

LIDL come ALDI sono due realtà che sono allenate a guardare il mondo cercando di interpretare i diversi scenari di riferimento. Le nostre aziende, grandi o piccole, osservano il territorio nazionale. Un vantaggio in termini di presidio, uno svantaggio in termini di potenziale di crescita. Non è una differenza da poco. LIDL è arrivata in Italia nel 1992. ALDI in quegli anni ha preferito non investire da noi. Quest’anno festeggia cinque anni di permanenza. Ci ha riprovato solo quando ha intuito che il discount stava ormai iniziando a costruirsi una reputazione diversa presso i consumatori. I discount sono partiti tutti più o meno, “sgarrupati” allo stesso modo. Per questo gli analisti del comparto non ne hanno compreso subito  il potenziale evolutivo in rapporto alle risorse disponibili e alla contemporanea modificazione dei consumi né il possibile approdo finale. Per alcuni sono ed restano discount. Un banale “sottoprodotto”. 

In fondo nella seconda metà del novecento la filosofia di fondo del comparto era racchiusa in una traiettoria ben sintetizzata da Carlin Petrini: “il cibo era prodotto per essere venduto. Non per essere mangiato”.  L’aspetto quantitativo era prevalente. Da qui i grandi formati distributivi, le marche, gli sconti e le promozioni. Così come le modalità di espansione sul territorio e i modelli organizzativi conseguenti. Sostanzialmente tutti uguali. L’avversario allora era la piccola distribuzione commerciale e se troppo vicino,  il concorrente diretto. I vantaggi competitivi della GDO erano sostanzialmente basati su differenziali di efficienza e dunque di costo.  Si trattava nella maggior parte dei casi di un confronto impari: di qui la lenta ma progressiva espansione della quota della grande distribuzione sul totale delle vendite.

Questa fase è però alle spalle. La fine del secolo ha sostanzialmente cambiato il paradigma di riferimento. Presidio del territorio, servizio al cliente, qualità e convenienza hanno richiesto nuove interpretazioni. C’è chi lo ha capito (discount, negozi di vicinato, specializzati e MDD di diverse declinazioni), chi resiste puntando su abitudini dei clienti e posizioni del punto vendita è chi cede ad altri il compito di far quadrare i conti. Aldi ha preferito capire bene come muoversi sul nostro mercato. Leggi tutto “ALDI. Buona Spesa (in) Italia?”

Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?

Chi va in montagna sa che fino a 1500-2000 metri si sale senza problemi. Sa anche che una parte di coloro  che raggiungono i 3000 sviluppano una forma di malattia da altitudine. Determinante è la velocità di salita e la capacità di adattamento a certi livelli. Temo che una parte di quel complesso sistema imprenditoriale che è Conad rischia di sviluppare una sindrome di questo tipo.

Essere i primi comporta innanzitutto averne la consapevolezza. Nient’altro che la realizzazione di una ricetta apparentemente  semplice fatta di autorevolezza, visione del futuro, gioco di squadra, responsabilità verso i propri collaboratori e impegno nei confronti delle comunità dove si è insediati e quindi verso il Paese. In un sistema policentrico, dal punto di vista delle decisioni imprenditoriali, qual’è il Consorzio, più che la posizione in classifica dell’intera squadra il rischio è che ad alcuni imprenditori del consorzio interessava e interessi tuttora il proprio perimetro di business e il peso che questo consente nel determinare traiettorie e strategie dell’insieme del sistema. In altri termini, un problema di equilibri e di gestione del potere. Teorie complottiste, ricorsi alla magistratura, veline, fibrillazioni interne nascono tutte da qui.

Come nella fattoria degli animali di Orwell dove gli animali sono tutti uguali ma qualcuno si sente più uguale degli altri. E questo malessere come una talpa scava, tronca le radici  rischiando di indebolire il tessuto connettivo che lega l’intero consorzio. Cosa assolutamente da evitare. L’accelerazione imposta dall’acquisizione di Auchan ha costretto gli imprenditori di Conad ad affrontare una salita forzata per la quale probabilmente non tutti si erano preparati. Alcuni hanno intuito le potenziali opportunità di crescita complessiva o almeno per il proprio perimetro, altri, lo si è capito quasi subito hanno temuto il percorso imposto dall’operazione stessa e quindi sono emersi, fin da subito, diversi problemi di tenuta. Sia imprenditoriali che manageriali.

Ho vissuto personalmente la crisi finale che ha preceduto il passaggio di Standa al gruppo Rewe e ho visto fior di manager schiantarsi nel tentativo di recuperare clienti e fatturato persi negli anni. Operazione molto difficile da realizzare e altrettanto facile da sottovalutare. Il cambio di insegna non è mai sufficiente. Occorre tempo. Molto di più di quello che era stato probabilmente preventivato a tavolino. Alle prime difficoltà nel rapporto tra singole cooperative e Margherita Distribuzione, la società che dal 1 agosto 2019 ha preso in carico tutte le attività che in Italia facevano capo ad Auchan, tutto questo è cominciato ad emergere. O di fronte alle richieste sindacali. Oppure in seguito alle decisioni dell’ antitrust. O, infine, di fronte all’impossibilità di scegliere di “fiore in fiore” solo i punti vendita più graditi. Ma, come ci ricordava sempre Vujadin Boskov l’eccentrico allenatore della grande Sampdoria: “Partita finisce quando arbitro fischia”. Leggi tutto “Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?”

Grande Distribuzione (e non solo). Il part time involontario è un problema serio..

Ha ragione Marco Leonardi in una recente intervista al Foglio: “In Italia l’allargamento delle diseguaglianze è dovuto alle ore lavorate e non ai salari orari. In altre parole, la diseguaglianza nei redditi da lavoro dipendente non aumenta tra i lavoratori che hanno carriere continuative e lavori full time ma è aumentata perché nel corso degli ultimi 30 anni sono entrati nella forza lavoro molti dipendenti con contratti precari e soprattutto molti contratti part time“.

Se parliamo di lavoro nel commercio e nella Grande Distribuzione in particolare, le critiche esterne si concentrano essenzialmente sui salari ritenuti troppo bassi. Tutto l’ottimo lavoro fatto per le comunità dove i punti vendita sono insediati, le scelte in materia di sostenibilità, le assunzioni anche in aree non facili, la formazione e le opportunità di crescita interna che le insegne mettono a disposizione dei loro collaboratori rischiano di passare in secondo piano.  Fuori dal comparto sale il tono della polemica.

Al tema delle  retribuzioni, ovviamente proporzionali alle ore lavorate, si aggiunge quello del lavoro festivo e degli orari legati alle fasce di apertura, del ricorso al tempo determinato e infine al mancato rinnovo dei contratti nazionali. E allontana i giovani dal comparto. Abbastanza recente è il siluro sul tema che il Presidente di Confindustria ha tirato al settore del  Commercio per smarcarsi dall’accusa di non voler rinnovare i suoi CCNL.  C’è così il rischio che si faccia di tutta l’erba un fascio.

In realtà il vero problema si cui occorre sviluppare una riflessione è quello legato al cosiddetto part time involontario e alla sua possibile evoluzione. L’Istat considera con questa voce il numero di occupati con orario ridotto che dichiarano di avere accettato un lavoro part-time in assenza di opportunità di lavoro a tempo pieno. Orario ridotto, ma non per scelta, nel 65,2% dei casi. E su questo, secondo le statistiche,  siamo primi in Europa. Leggi tutto “Grande Distribuzione (e non solo). Il part time involontario è un problema serio..”