Sciopero generale. Draghi è il problema o la soluzione?

Che si sarebbe arrivati a questo punto era scontato. Quando ritieni di non essere più in grado di fare un passo in avanti sei destinato, prima o poi, a ripiegare. Per mettere al centro del rilancio del Paese, impresa e lavoro, serviva una capacità di assemblare in un’unica piattaforma le strategie fondamentali  di tutte le parti sociali che non c’è stata.

I reciproci sospetti sulla volontà di ciascuno di mettersi d’accordo con la controparte istituzionale e la mancanza di sponde politiche hanno convinto i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese a muoversi in solitudine e spinto Mario Draghi e i suoi consiglieri ad ascoltare tutti salvo acconsentire in tutto o in parte a richieste compatibili fra di loro in un sostanziale equilibrio generale.

Il Premier, a mio parere, avrebbe preferito avere a disposizione una sponda vera con l’insieme delle parti sociali per arginare i populismi già presenti nel Governo ma ha dovuto ben presto prendere atto  che il contagio populista, come nel covid-19, seppure in forma minoritaria non aveva risparmiato alcuna categoria e che avrebbe influenzato pesantemente le rispettive rappresentanze.

Le risorse messe a disposizione dal PNRR, la disponibilità all’aumento della spesa corrente e i segnali di una possibile ripresa dell’inflazione hanno spinto tutti a considerare legittime le proprie richieste non certo per realizzarle concretamente (nessuno è così politicamente stupido da pensarlo) ma semplicemente per segnare orgogliosamente il proprio perimetro e comunicarlo ai propri sostenitori. Basta ascoltare un TG per comprendere lo scarto che c’è tra la comunicazione politica e la realtà. La prima consiste in una rivendicazione puntuale dei propri obiettivi salvo poi guardarsi bene dal tramutarli in un giudizio politico netto sull’operato del Governo e trarne le conseguenze sulla propria partecipazione e nell’addossare agli altri compagni di viaggio la responsabilità del mancato accoglimento delle proprie rivendicazioni.  Leggi tutto “Sciopero generale. Draghi è il problema o la soluzione?”

Grande distribuzione. Eurospin presenta il bilancio di sostenibilità 2020

Le arance “navel” vengono vendute a 0.99 centesimi dall’ortolano sotto casa mia in Ripa di Porta Ticinese a Milano. E non serve né essere suoi clienti né comprarne due chili. A 0.99 centesimi da lui compri quasi tutta la frutta. E pure diverse verdure. Trovi  prezzi simili sui prodotti ortofrutticoli in altri supermercati blasonati. Nessun critico  però ha niente da dire. Anzi.

Se lo fa Eurospin  per una sola settimana scatta la reazione pavloviana che denuncia il contraccolpo provocato al comparto agricolo nazionale, la  scarsa redditività dei prodotti e quindi, per simpatia, la responsabilità dell’intera GDO. Eurospin diventa così il simbolo di tutti i mali dell’agricoltura nazionale. Oggi le arance, ieri le fragole e l’uva da tavola. In estate tocca all’anguria.

“In questi anni le aste hanno costretto i produttori a competere selvaggiamente per assicurarsi il contratto con la catena di distribuzione, in una guerra che spinge i prezzi verso il basso e scarica i suoi effetti dannosi sugli ultimi anelli della filiera, cioè agricoltori e braccianti” ha sostenuto Fabio Ciconte. Il meccanismo delle aste rappresenta, secondo lui, il cuore di un problema più complessivo, quello dei rapporti sbilanciati tra lavoratori e produttori agricoli, industrie e canali di distribuzione.

Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato il Decreto Legislativo che attua la Direttiva Europea del Parlamento e del Consiglio Ue in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Quindi adesso il problema dovrebbe essere in via di superamento. Caporali, flussi migratori relativi, e sfruttamento feroce e disumano dovrebbero subire un conseguente ridimensionamento  da questa legge. Chiunque conosca il problema e la sua genesi sa benissimo che non sarà così.

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Confcommercio. Porte girevoli al vertice…

Fabrizio Palenzona ha fatto dunque un passo indietro. Con eleganza e senza clamore ha lasciato la vicepresidenza di Confcommercio. L’ufficio di Presidenza della Confederazione ha perso così uno dei pochi leader che si era messo in gioco per rilanciarla. A suo giudizio troppo lenta, farraginosa  e inconcludente la qualità politica e l’iniziativa espressa.

La squadra di testa della “più grande confederazione d’Europa” oltre a Carlo Sangalli e Lino Stoppani di FIPE, si è trovata così improvvisamente con la Presidente di Reggio Emilia Donatella Prampolini, la più piccola associazione dell’Emilia Romagna, l’altoatesino Manfred Pinzger, la presidente di Sondrio Loretta Credaro, il presidente di Bari, Alessandro Ambrosi è quello di Udine, Giovanni da Pozzo. A completare la squadra, Patrizia di Dio di Palermo e un ex europarlamentare di Forza Italia Riccardo  Garosci. Una squadra troppo leggera per affrontare il campionato nella massima serie.

I grossi calibri, o non sono mai entrati o sono tutti fuori. Non c’è né l’associazione di Bologna né quella Rimini a rappresentare l’Emilia, non c’è il Veneto né il Piemonte né la Toscana. Non c’è il Presidente di Federalberghi né quello di Federmoda. Coinvolta solo qualche seconda linea intorno all’inossidabile Presidente di Milano. L’uscita di Fabrizio Palenzona è stato così un brutto colpo. Inutile girarci intorno.

Per questo può aver sorpreso il quasi contemporaneo arrivo di Francesco Pugliese di Conad. L’avevo anticipato sul blog circa un mese fa (https://bit.ly/3k7rJ1H). Un’entrata certamente importante e anch’essa di peso. Pugliese tra l’altro resta in Legacoop pur assumendo  contemporaneamente la vicepresidenza di Confcommercio. Personalmente la trovo una scelta che guarda alla prospettiva dell’intero comparto. Altre imprese stanno contemporaneamente in confederazioni o federazioni formalmente concorrenti. Sia nel mondo Coop che nel privato. Alcune perché trovano più convenienti i contratti di lavoro del commercio più di quelli dell’industria, altre i servizi offerti dal sistema bilaterale, altre per tradizione. Altre ancora, e questo credo sia la ragione che più di altre ha spinto Conad,  per costruire ponti anziché muri.

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GDO. Decò Italia prova una forchetta rossa in un mondo di cucchiai grigi…

Molto spesso,  parlando di futuro e innovazione nella GDO, si corre il rischio di lasciare per strada la ragion d’essere di un mestiere. Soprattutto per le generazioni che l’hanno visto nascere e crescere. C’è qualcosa che lega indissolubilmente il luogo, il servizio offerto, l’esperienza di acquisto come le semplici abitudini, la convenienza e la qualità del prodotto.

I pesi assegnati a ciascuno di questi elementi sono ovviamente differenti tra le insegne e ne caratterizzano la specificità. Anche la valutazione stessa tra  consumatore e consumatore cambia. Ma tutte quante ci devono comunque essere. Il retail fisico è, in estrema sintesi,  questa cosa qui. Quindi è l’interpretazione dello spartito che fa la differenza.

Alcuni elementi sono comuni. Se mancano, si copiano o si rubano idee alla concorrenza. Fatturato o margini sono il dilemma quotidiano. I costi, l’ossessione. Il travaso di clienti tra un’insegna e l’altra non è ormai particolarmente significativo. Farne di nuovi è difficile. Mantenere i propri un obiettivo.  È però più tra un formato e l’altro che si gioca il campionato. O conquistando nuovi territori. Adesso però Annibale è alle porte.

Cambiano le generazioni, nelle città cambia la composizione sociale, la pandemia ha accelerato l’innovazione dell’offerta. Il “mestiere” è decisivo ma deve saper cambiare anch’esso. Credo sia questa la ragione che ha spinto due insegne del sud, Multicedi e Gruppo Arena attraverso la loro centrale d’acquisto, Decò Italia, a sviluppare prodotti a marchio per i circa 700 punti vendita. Non certo negare sé stessi ma provare ad andare oltre promozioni, sconti e azioni tradizionali. Leggi tutto “GDO. Decò Italia prova una forchetta rossa in un mondo di cucchiai grigi…”

Grande Distribuzione. Dimensione aziendale e multinazionali

Una delle ragioni per cui ho appoggiato fin da subito l’acquisizione di Auchan da parte di Conad è che la dimensione aziendale sarà sempre più un fattore decisivo per affrontare la transizione tra la GDO del 900 e quella che sta iniziando a intravedere nuovi perimetri di offerta e modalità di servizio. E questo cambiamento non sarà indolore.

C’è, ovviamente, chi resiste e presidia il suo modello di business ritenendolo vincente. Lo pensava anche il grosso negozio di macelleria del mio quartiere a Milano, il lattaio o il droghiere all’apparire del primo supermercato. La conoscenza dei clienti e del mercato, l’essere al centro di quella comunità  li tranquillizzava. Poi è cambiato tutto e abbiamo visto come è andata a finire. Le stagioni cambiano. E, ogni stagione, ha i suoi frutti.

Quella che stiamo vivendo  segnala che la transizione sarà comunque lunga. Molti passeranno la mano, altri saranno costretti a fare il salto necessario e trovare il modo di mettersi insieme per crescere. Il passo indietro di alcune multinazionali dal nostro mercato o il loro ridimensionamento, trae in inganno diversi osservatori. È sorprendente come molti ne sottovalutino alcune tra le ragioni più profonde. I meno arguti sembrano perfino soddisfatti.

“Italians do it better” quando non è una battuta, è la conclusione di approcci, a mio modesto parere semplicistici,  che spiegano alcune delle ragioni delle difficoltà delle multinazionali nel leggere le specificità territoriali, di essere legate a centralizzazioni decisionali che rallentano o limitano i comportamenti nei singoli Paesi, di aver spedito, a presidio di un mercato oggettivamente complesso, manager spesso non all’altezza del compito. Tutti elementi presenti ma che, da soli, non sono sufficienti a spiegare la realtà. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Dimensione aziendale e multinazionali”

Grande Distribuzione e filiera in ordine sparso sul carovita.

La filiera agroalimentare pur essendo il primo comparto economico del Paese, forte di un paio di milioni di imprese, quattro milioni di occupati tra diretti e indiretti con circa 500 miliardi di giro d’affari, fatica a trovare un terreno di dialogo che consenta di affrontare seriamente il problema dei costi non solo delle materie prime e quindi delle possibili ricadute  inflattive. Così come fatica a rendersi conto che c’è un prima e un dopo la pandemia.

E il dopo necessita di convergenze più che di “guerre per errore”. Magari per farsi pubblicità a poco prezzo.. A valle ha cominciato il discounter MD di Fabrizio Podini a chiudere ogni spazio di discussione negando la necessità di un adeguamento e facendo imbufalire chi, a monte della filiera, si trova inguaiato con gli aumenti.

Francesco Pugliese CEO di Conad ha cercato di buttare acqua sul fuoco delle polemiche proponendo un tavolo aprendo su  ciò che ha senso aumentare da ciò che non lo ha e provando così ad  aprire così un canale serio di confronto. Un tavolo che non è mai decollato al punto che Esselunga, l’unica in grado di ottenere la visibilità necessaria oltre alle altre due realtà del comparto (Conad e Coop) che, di fatto,  dettano le regole del gioco sul piano della percezione politica del settore, ha rotto gli indugi e ha lanciato la sua campagna d’autunno in solitaria: “Il carovita sale. Noi abbassiamo i prezzi” lasciando il cerino acceso in mano alle altre insegne.

Ancora una volta, quindi, la GDO, presa nel suo insieme, rinuncia a giocare il suo peso nelle dinamiche di filiera e procede in ordine sparso. Sarà la preoccupazione di trovarsi sul banco degli accusati o la paura di un’ondata inflazionistica che potrebbe raffreddare i consumi, oppure perché tutti sperano di intravedere la fine del tunnel post pandemia.  È evidente, però, che nessuno vorrebbe essere tacciato di insensibilità alle esigenze dei consumatori. Leggi tutto “Grande Distribuzione e filiera in ordine sparso sul carovita.”

Grande Distribuzione e innovazione. Carrefour in Francia ci prova. E gli altri?

Ogni anno qui da noi ci risiamo. C’è chi regala il panettone, chi regala il vino  e chi si lamenta che non bisognerebbe svalutare così i prodotti. Fiumi di inchiostro inutile. Vale per il panettone a Natale, per l’ortofrutta in estate. O per le promozioni esagerate. Sono scuole di pensiero che attraversano da sempre la grande distribuzione nazionale.

Prezzi bassi sempre o promozioni e volantino. I leader e i follower nelle diverse  piazze regionali e locali spesso predicano bene e razzolano male. Nelle città dove c’è un’alta concentrazione di insegne, i consumatori, soprattutto quelli che devono far quadrare i conti di casa, se possono, saltano tra una e l’altra alla ricerca del prodotto più conveniente. Con il risultato che, spesso, per le insegne, la somma finale di tutto questo agitarsi tra fatturato e margini è uguale a zero.

La GDO italiana, può piacere o meno, è questa qui. Discount o non discount. Salvo, fortunatamente, qualche rara quanto lodevole eccezione. Tosta e sempre uguale a sé stessa a livello micro, fragile quando alza lo sguardo oltre il proprio campo visivo. In grado di tenere testa alle multinazionali quando gioca in casa, in evidente difficoltà quando il business impone cambiamenti profondi.

Secondo esperti e convegni questo piccolo mondo antico starebbe però declinando. Se osserviamo in modo neutrale  la realtà nazionale nessuna novità sostanziale sembra però comparire all’orizzonte. Allora proviamo a guardare fuori dai nostri confini dove la “solita” Carrefour sembra la più attiva in più direzioni. Impegnata a mettere i conti in ordine in tutte le parti del mondo dove è presente e a guardarsi intorno per continuare a competere.

Alexandre Bompard, CEO del Gruppo è alla continua ricerca di partnership per crescere o per cedere l’azienda con lo scopo comunque di creare una importante massa critica perché ha capito che per competere con i giganti della rete occorrono investimenti e concentrazioni. Ha messo da parte la generazione dei “messieurs” aziendali sostituendola con una squadra di manager più contemporanei, scelti per i loro risultati e non per le loro qualità  relazionali. I risultati si vedono.  La svolta c’è stata. Le carte sono sul tavolo. Puntava a Couche Tard e non c’è riuscito mentre il recente tentativo di acquisizione da parte di Auchan non l’ha convinto e ha preferito non farsi  “ingannare” dalla capacità della famiglia Mulliez di mettere in piedi architetture finanziarie spericolate costruite a loro esclusivo vantaggio. Leggi tutto “Grande Distribuzione e innovazione. Carrefour in Francia ci prova. E gli altri?”

Milano non merita questi sabati…

Sono quattro gatti. Fastidiosi, rumorosi, facinorosi. Convinti di essere esonerati dalle responsabilità e tollerati dal contesto. Ieri sera ho voluto rendermi conto di persona e sono andato in Piazza Fontana. Milano a quell’ora è un brulicare di folla. Se dovessimo moltiplicare per mille i partecipanti a quella manifestazione probabilmente non raggiungeremmo il numero di coloro che aspettano il sabato per percorrere le vie del centro.

Anziani, famiglie, tanti giovani e soprattutto numerosi stranieri. I negozi hanno ripreso a sperare e a trasmettere l’aria di festa. Se dovessimo mettere in relazione il peso di questa Milano con quella radunata in quella piazza densa di pessimi ricordi non ci sarebbe storia. Questi ultimi, visti accalcati nella piazza, sono un corpo estraneo. Una specie di virus debole che contagia e disturba. Probabilmente l’obiettivo è proprio quello.

La presenza di Paolo Maurizio Ferrari l’ex BR non è casuale. Sono passati molti anni e la speranza folle di accendere una miccia che possa poi contagiare l’intera popolazione non è molto distante dai suoi pensieri giovanili. Per il momento giocano. Con le forze dell’ordine che sono impossibilitate ad intervenire per non scatenare chi vive di strumentalizzazioni. Con i commercianti del centro che non ne possono più ma hanno paura di ritorsioni. Con i giornalisti che rischiano per il solo fatto che cercano di raccontare la verità di un gruppo di “svalvolati” che dirige e converge paure e ignoranza verso un nemico esterno e non, come dovrebbe essere, verso le loro assurde farneticazioni.

Siamo ormai ad una versione personalizzata del NIMBY. Dal “non nel mio giardino” al “non su di me”. Mi sono avvicinato al centro della piazza insieme ad un gruppo di una decina di brianzoli arrivato da Cadorna apposta per vedere da vicino i novax. “Saranno pericolosi?” Ha chiesto una signora a suo marito. “non credo, comunque è pieno di polizia, figurati se fanno qualcosa” ha risposto. In effetti la polizia presidiava tutti gli angoli della piazza. Leggi tutto “Milano non merita questi sabati…”

Confcommercio. Tra ambizioni personali e futuro della Confederazione…

“I leader migliori sono quelli che, quando se ne vanno, lasciano dietro di loro un gruppo di persone che li supera di gran lunga”
Pepe Mujica

 

Carlo Sangalli non credo sia interessato a lasciare qualcosa dietro di sé. Né a Roma né a Milano. Candidati a succedergli ce ne sono stati diversi e anche di buon livello. Spesso li ha creati e motivati lui stesso a volte illudendoli di essere potenziali suoi successori  ma lasciando però che, subito dopo,  i suoi più stretti collaboratori si incaricassero di trovare in loro tutti i difetti possibili “costringendolo” a resistere e passare oltre.

Quindi non c’è, ad oggi, a mio modesto parere, alcuna successione credibile e possibile. Le ovvie critiche all’anziano presidente e alla sua tendenza a considerarsi eterno e insostituibile vengono fatte scivolare come parole in libertà da chi sa di controllare il pacchetto di maggioranza dei voti.

Quindi non è in discussione il “dopo Sangalli” per il semplice fatto che, allo stato,  non può esserci alcun dopo. È, come ho sempre scritto, il “fine mandato mai” che lo ha sempre guidato dal giorno della sua elezione a presidente dell’Unione del Commercio di Milano nel lontano 1995.

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Confcommercio. Tamburi di guerra o segnali di fumo?

Chi mi segue ed è un po’ più in là con gli anni si ricorderà la pubblicità della Ferrero che, nel 1971 raccontava  dei simpatici personaggi della “Valle Felice” che abitavano in uno sperduto villaggio immerso nel verde la cui letizia veniva turbata dalla presenza sempre più distruttiva di Jo Condor e della sua flotta di sgangherati avvoltoi.

Fortunatamente gli abitanti della Valle Felice potevano contare sull’aiuto di un Gigante buono che, al coro di “Gigante, pensaci tu, accorreva per ristabilire l’ordine e scacciare la sgradita presenza.

Troppo facile l’analogia con la taglia di Fabrizio Palenzona che, da vice presidente di Confcommercio, ben conscio dei rischi che una sostanziale mancanza di iniziativa sta  portando definitivamente su un binario morto l’intera Confederazione, ha deciso di presentare le sue dimissioni come scrive oggi Simone Gallotti sul secolo XIX “In punta di piedi e senza sbattere la porta, raccontano i bene informati, animati soprattutto dalla volontà di gettare acqua sul fuoco. Però il risultato è che comunque l’addio di Fabrizio Palenzona ai vertici di Confcommercio è destinato a fare rumore. Il grande tessitore che ha regnato su autostrade, banche e aeroporti se n’è andato da quel ruolo, ha rassegnato le dimissioni da numero due di Carlo Sangalli, l’eterno presidente dell’associazione che ha iniziato non da molto il terzo mandato”. Su “Alessandria Oggi”  l’interpretazione delle dimissioni è più caratterizzata. (https://bit.ly/3GOEPue). 

Confcommercio è da tempo in difficoltà. I vertici delle quattro federazioni più importanti sono fuori dal massimo organo confederale (Federalberghi, Federmoda e adesso Conftrasporti). Resta FIPE certo per convinzione ma anche  per la lealtà  che lega il suo Presidente, Lino Stoppani, allo stesso Carlo Sangalli. E Stoppani è una persona che stimo e che non ha mai fatto calcoli personali opportunistici.  Leggi tutto “Confcommercio. Tamburi di guerra o segnali di fumo?”