Per la grande distribuzione non è tutto oro quello che luccica. Mentre è in corso l’integrazione degli ex punti vendita Auchan in Conad e Carrefour cerca, attraverso una difficile riorganizzazione, di riportare i conti in ordine, altre realtà nella loro quotidianità e lontano dalle logiche della comunicazione ufficiale provano a riallineare margini e fatturati anche attraverso un rigido controllo dei costi.
Purtroppo c’è chi pensa (e scrive) che tutto questo possa avvenire senza ripercussioni sulla qualità e quantità del lavoro impiegato o perlomeno senza che queste problematiche non emergano per quello che in realtà sono. Passi indietro, anche sul piano gestionale e nel rapporto con i propri collaboratori per poterne fare anche qualcuno in avanti.
Le reazioni sindacali sono comprensibili ma testimoniano una difficoltà di fondo. La grande distribuzione, a differenza di altri settori, conta su un’omogeneità che potrebbe essere sfruttata meglio in un contesto di nuove politiche attive. Grandi e piccole imprese nazionali e locali, formati differenti, esigenze formative simili potrebbero essere gestite creando strumenti di comparto a disposizione di tutti i territori e di tutte le imprese. E, soprattutto consentendo ai lavoratori una ricollocazione in tempi ragionevoli accompagnando e non subendo la riorganizzazione in corso del settore.
Così non è e quindi ad ogni accenno di crisi o di ristrutturazione la reazione pavloviana porta a respingere formalmente i piani aziendali, ad attaccarsi all’interpretazione di leggi e contratti che hanno ragione di esistere in tempi di normalità e di costringere le persone coinvolte a cercare individualmente soluzioni che, se affrontate con lungimiranza, potrebbero costituire una vera innovazione sociale.
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