La rappresentanza del terziario innovativo tra vecchie rendite di posizione e nuove sfide

La conclusione dell’ultima tornata dei rinnovi contrattuali nel terziario di mercato segnala la necessità di una urgente riflessione a 360°. Innanzitutto occorre sottolineare che le parti contraenti più importanti hanno provocato, più o meno consapevolmente, una forte discontinuità rispetto alla situazione precedente: i dipendenti dei settori dei Pubblici esercizi, della Ristorazione e del Turismo hanno lasciato il contratto nazionale fino ad allora condiviso  con Federalberghi così come  Federdistribuzione che si è firmata un suo contratto.

La stessa Confesercenti ha ottenuto modifiche economiche al testo di Confcommercio costringendo quest’ultima a chiedere uno sconto ai sindacati di categoria. Infine Coop da sempre prodiga in fase di rinnovo ha ottenuto un risultato economico a cui Federdistribuzione ha reagito malissimo. Che dire.

Oltre ai contratti pirata che nel terziario raggiungono numeri significativi  la stessa  contrattazione tra i soggetti più rappresentativi si è tradotta in una gara al ribasso infinito che ha avuto come epicentro il solo commercio e che ha lasciato alla finestra tutte le tematiche di innovazione e di cambiamento.

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È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)

Nel comizio del primo maggio a Bologna, Maurizio Landini,  il dirigente sindacale proveniente dalla federazione più ortodossa e meno unitaria del comparto industriale italiano ha rilanciato sul tema sostenendo che non ci sono più le ragioni politiche e quindi organizzative che rendevano improponibile l’unità sindacale.

Ha addebitato forse un po’ frettolosamente tutte le responsabilità alle vecchie culture novecentesche, oggi in crisi di identità ma ha omesso, però,  per ragioni del tutto comprensibili, che la deriva identitaria, percorsa consapevolmente da tutte e tre le organizzazioni confederali, ha avuto e continua ad avere anche robuste ragioni interne che alimentano le ragioni delle divisioni.

Savino Pezzotta, pur ritenendo importante la ripresa del dibattito sul tema,  sottolinea dove sta il problema dell’unità sindacale :”Il tema centrale che oggi si pone in modo nuovo e quello di una radicalizzazione del concetto di autonomia che va ripensata come capacità di espressione di una politicità culturale, valoriale, etica e sociale e non solo come distanza e separazione dalle forze politiche.”

Lo stesso Marco Bentivogli, sollecitato recentemente sul tema non si è certo sottratto: ”Immagino un sindacato che vada oltre l’ideologia che sappia tenere insieme alla protesta la proposta, l’emergenza ma soprattutto la prospettiva, un sindacato che guardi all’innovazione non come un nemico da combattere ma come una terreno di sfida su cui costruire nuovi diritti, capace di immaginare l’esercizio della rappresentanza anche attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Prima dell’unità dobbiamo riconquistare una buona reputazione per candidarci ad essere un soggetto di rappresentanza vera, costruire una forma organizzativa in grado di raccogliere le persone di oggi, non limitarci a una banale riedizione di forme organizzative del passato, che magari funzionavano bene quarant’anni fa ma non più oggi.” Leggi tutto “È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)”

Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.

A mio modesto parere il sindacato confederale ha sbagliato a non cogliere l’opportunità. Ha preferito riproporre una cerimonia nel solco della tradizione. I segnali provenienti dal mondo delle imprese non sono stati colti. Sfumature diverse ma risultato identico.

Le imprese non possono partecipare ai festeggiamenti del primo maggio. L’unica concessione viene da Annamaria Furlan segretaria generale della CISL con un generico: “..per il momento”. Credo sia un errore. La mano tesa è stata sostanzialmente respinta al mittente.

Tra l’altro il primo maggio non è la prima “festa” che viene in qualche modo sottratta all’esclusiva. E’ già successo con il 25 aprile e con l’8 marzo. Una parte ha dovuto rendersi conto che senza un coinvolgimento e una responsabilità condivisa di ciò che quelle feste rappresentano si rischiava di perderne il significato profondo e trasformarle in liturgie che non avrebbero retto il tempo. Vengano pure gli imprenditori emiliani al corteo senza però farsi notare troppo. Sul palco però no.

Un dato è certo e non va sottovalutato: il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici ha segnato una svolta. Non coglierlo è un errore. Da una cultura sostanzialmente fordista le imprese del settore hanno fatto un passo avanti importante. Si può giudicarlo insufficiente, modesto, irrilevante ma quel passo c’è stato. Le persone sono tornate al centro delle loro imprese. Leggi tutto “Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.”

Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…

C’è un destino che, purtroppo, le accumuna. UPIM, Standa, Rinascente, Sma, GS, All’Onestà hanno costituito per certi versi la spina dorsale del consumismo popolare post bellico. L’agonia è durata quello che poteva durare. Un declino inevitabile da cui si sono salvati in pochi.

Oggi solo UPIM, qualche ex GS, grazie ad un management che nel tempo gli ha cambiato i connotati e Rinascente grazie a all’ubicazione principale  in piazza Duomo a Milano e all’intuizione che l’ha trasformata in un contenitore di alto livello per grandi marche. Ma nulla a che vedere con l’identità di perimetro.

Per le altre non sono serviti i continui passaggi di mano, i piani di ristrutturazione infiniti, i tagli dei costi, gli interventi sulla quantità e qualità del personale. Non dimentichiamo che la cassa integrazione, concepita inizialmente  per l’industria, entra nel commercio e nel terziario attraverso le vicende che hanno coinvolto, a suo tempo, Standa. Certo, numerose catene e punti vendita, piccoli o grandi, sono stati ceduti e hanno ritrovato la loro ragion d’essere sotto altre insegne. Per queste, no. Un male oscuro sembra averne contraddistinto il declino.

Adesso tocca a SMA. Troppo piccola e diffusa territorialmente per costituire un ponte di rilancio alla presenza di Auchan nei negozi di vicinato, peraltro già in pesante crisi su altri formati, troppo complessa sul piano gestionale, logistico e organizzativo per interessare, nella sua interezza un unico soggetto, priva di un’identità specifica spendibile sul mercato. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…”

Amazon vs. Walmart. Uno scontro che cambierà in profondità il mondo del retail..

Mentre il mondo del retail sta cambiando in profondità abitudini e modelli di consumo anche grazie alle potenzialità offerte dalla trasformazione digitale noi continuiamo imperterriti a farci del male. Le provocazioni sulle chiusure domenicali sono lì a dimostrare che non riusciamo a capire che un intero sistema economico è attraversato da un profondo ripensamento strategico che avrà delle conseguenze pesanti sulla qualità e sulla modalità dei consumi, sulla sopravvivenza o meno delle nostre imprese e quindi sull’occupazione.

Alzare lo sguardo oltre il cortile di casa, evitare le zuffe sul nulla, riflettere su cosa serve per accompagnare questi processi epocali sarebbe la scelta migliore. Per fare questo è indispensabile ragionare sulle strategie possibili delle imprese che, forse più di altre, possono investire ingenti risorse, commettere errori e ripartire e  indicare strade da percorrere a tutto il mondo del retail.

Trasferirci negli USA può essere molto utile per riportare la discussione sui problemi veri. Da qualche tempo, infatti, lì è entrato nel vivo un confronto senza esclusione di colpi. 

In campo il campione indiscusso del retail, Walmart contro l’ultimo arrivato, l’imbucato venuto da fuori, dai sobborghi della filiera, Amazon, che ha deciso di insidiarne il regno. Quello che si sta consumando negli USA è uno scontro che presto sarà planetario e che lascerà sul campo morti e feriti, ovunque. Alla fine, nulla sarà più come prima. Leggi tutto “Amazon vs. Walmart. Uno scontro che cambierà in profondità il mondo del retail..”

Grande Distribuzione francese. L’altra faccia del totalismo aziendale.

Solo su LinkedIn ben oltre le 30.000 visualizzazioni. Interventi, domande  e consigli di lettura tra blog, Twitter e lo stesso LinkedIn mi hanno spinto a ritornare sull’argomento GDO italiana vs. estera  già trattato nel pezzo “GDO. Italians do it better?” ( http://bit.ly/2WZmrra ) prendendolo da un’altra angolatura. Da dove possono nascere i guai delle GDO francese in Italia? Le cause possono essere diverse. In questo pezzo  mi concentrerò sulle possibili cause interne.

La definizione di “totalismo aziendale” è del professor Stefano Zamagni che ha studiato a fondo il fenomeno. E’, in parole povere, l’azienda che ritiene di bastare a sé stessa. Produce valori, cultura, procedure e stili di management che nascono e muoiono all’interno delle proprie mura. Tipico dei grandi gruppi multinazionali che, in questo modo, si riconoscono da riti e liturgie specifici che ne identificano l’appartenenza.

Presenta anche degli aspetti forti e positivi quando supera con intelligenza giudizi e pregiudizi verso culture e Paesi, si dota di politiche worldwide e si struttura per condividere innovazioni e idee. Il grande limite è che tende  ad uccidere la specificità, la creatività e la libertà di critica e di pensiero. Chi non si adegua è un pesce fuor d’acqua. In tempi di crescita e di sviluppo è indubbiamente un fattore distintivo di omogeneità. Funziona però solo se l’azienda va bene. Esselunga è il classico esempio di totalismo aziendale performante nella GDO. Appartenere ad Esselunga, distingue, rende unici, diversi, irraggiungibili dalle altre insegne.

In tempi di crisi e di navigazione a vista si trasforma in un limite che rischia di essere  insuperabile. La ragione profonda delle difficoltà di Carrefour e di Auchan non è solo legata ai formati distributivi ma è anche un portato di queste ragioni. La difficoltà a capire la specificità del contesto esterno, le diversità culturali in reti di vendita così diverse e diffuse e, infine, l’incapacità a sapersi mettere in discussione. Leggi tutto “Grande Distribuzione francese. L’altra faccia del totalismo aziendale.”

Le nuove sfide spingono le imprese e le loro associazioni in una logica di filiera

In una recente intervista a Repubblica David R. Giroux, chief investment officer equity and multi-asset di T. Rowe Price ha affermato: “Amazon è probabilmente uno dei fattori principali che stanno generando cambiamenti secolari per le altre società, in particolare nel settore del retail tradizionale, dei centri commerciali e dei supermercati”.

A questa realtà che ormai è evidente aggiungo l’affermazione di Luigi Consiglio, presidente di GEA, una delle più importanti società di consulenza strategica di livello internazionale, in risposta ad un tweet di Mario Gasbarrino: ”La marca è minacciata più del retailing. Ti racconterò.. (la) desertificazione industriale che Amazon sta creando in USA. Compri sempre al prezzo più basso ed uccidi l’innovazione. Comunque chi non lavora su R&D è fuori dai mercati a prescindere”. Uno scenario su cui riflettere a fondo.

Il fronte del cambiamento, quindi, coinvolge, di fatto,  l’intera filiera. Personalmente non ho ancora dati sufficienti per misurarmi con quanto affermato sopra. Mi limito a prenderne atto e ad approfondirne le possibili conseguenze nei miei campi di interesse. Un dato sembra emergere con forza: l’insufficienza del sistema Paese e dello stesso mondo  associativo tradizionale nel misurarsi su questi temi.

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Grande distribuzione. Italians do it better?

A Verona Ikea getta la spugna. Le traversie burocratiche a cui è stata costretta in tutti questi anni stanno  forse coprendo le ragioni che già spingevano alla cautela il management sulle nuove aperture con il vecchio format.

Ikea ha i suoi problemi di crescita. Sembra evidente che il  vecchio modello di business non può più funzionare a lungo in Paesi come il nostro. Va cambiato e va fatto velocemente e in profondità. Il CEO Brodin ha deciso, in questi mercati,  di privilegiare formati più piccoli, i cosiddetti Pop-Up Store, da dislocare nei centri urbani. Cucine innanzitutto. Ma non solo.

IKEA ha capito quanto può essere esposto il suo business con Amazon e altri potenziali concorrenti  quindi vuole puntare su nuovi format, sulle vendite online e riprogettare la sua logistica prevedendo consegne h 24×7. E rafforzarsi nell’alimentare dove già oggi esibisce numeri di tutto rispetto. IKEA, però,  non deve temere solo Amazon.

In italia, Mondo Convenienza è leader di mercato, e supera Il colosso svedese nelle vendite di mobili già da qualche anno partendo da un’azienda famigliare. Da Civitavecchia a leader nazionale seguendo l’evoluzione del mercato del mobile. Più o meno negli stessi anni di insediamento di IKEA in Italia. Dai tempi di Romano Petretti e Giorgio Aiazzone, entrambi scomparsi troppo presto, il mercato è cambiato profondamente. Carosi, leader di Mondo Convenienza, dei tre è l’ultimo rimasto ma lo ha capito per tempo. Leggi tutto “Grande distribuzione. Italians do it better?”

Nuovi Lavori, mercato e rischio di impresa

Entro pochi anni gli addetti saranno parecchie migliaia in più rispetto ad oggi. Se saranno lavoratori autonomi o dipendenti di prima, seconda o terza generazione è tutto da scoprire. Imprese, sindacati, giuslavoristi e politici hanno pane per i loro denti.

Dietro l’angolo, però, ci sono cambiamenti profondi che non andrebbero sottovalutati. Il business partito dalla soglia del ristorante o della pizzeria con l’unico scopo di raggiungere il domicilio del cliente si espanderà enormemente. In fondo non era difficile arrivarci. L’interfaccia del cliente è il vero valore aggiunto su cui possono convergere molte altre idee e attività. Da una parte i giganti del web e la rete. Dall’altra una logistica distributiva efficiente ed efficace.

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Quale spazio per i futuri rinnovi dei contratti nazionali?

I prossimi rinnovi contrattuali non saranno affatto scontati nella forma e nei contenuti. Da una parte la situazione economica generale che peserà sul lavoro e sulle imprese, dall’altra il dibattito sul salario minimo e sulla sua potenziale sovrapposizione sui contratti nazionali in un Paese dominato da piccole e piccolissime imprese. Non ultimo peserà il giudizio che sindacati e associazioni imprenditoriali daranno degli impegni, onorati o meno, dei contratti in scadenza.

Personalmente credo che ci si troverà davanti ad un bivio. Scommettere o meno sulle relazioni industriali, sul loro potenziale per affrontare il cambiamento, sul livello di coinvolgimento  e sulla possibilità di entrambe le parti di alzare la posta sui contenuti oppure rassegnarsi a riportare inevitabilmente indietro il sistema  rimodellandolo su modelli tradizionali destinati comunque al declino.

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