Grande Distribuzione. Le domeniche tra inutili proclami e soluzioni da trovare

Questo è, purtroppo, il tempo dei rispettivi proclami e delle prese di posizione senza se e senza ma. Da un lato chi, come il Governo, vuole azzerare il lavoro festivo e domenicale e, dall’altro chi, rivendicando a buon diritto la libertà di impresa, vorrebbe lasciare tutto com’è.

Tre soggetti in campo apparentemente con esigenze opposte. Innanzitutto i dodici milioni di consumatori ormai abituati a  frequentare i punti vendita la domenica. Gli abolizionisti la fanno semplice.

Basterebbe, secondo loro, distribuire gli acquisti negli altri giorni della settimana. Ovviamente nessuno prende in considerazione i differenti format distributivi, la loro collocazione sul territorio, le merceologie proposte. Per gli abolizionisti un supermercato di vicinato piuttosto che un centro commerciale a 20 chilometri dalla abitazione del consumatore sono la stessa cosa, così come le insegne e sono frequentabili in qualsiasi giorno della settimana allo stesso modo. Dopo una giornata di lavoro, o prima. Magari anziché fare jogging. O in pausa pranzo lasciando in auto la spesa…

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Starbucks, meglio il binocolo dello specchietto retrovisore…

Un aforisma attribuito a Robert Kennedy ricorda che “alcuni uomini vedono le cose come sono e si chiedono: “perché?” Altri, davanti alle stesse cose, si domandano: “perché no?”

Era il 27 novembre 1957 quando a Milano, in viale Regina Giovanna veniva inaugurato il primo supermercato italiano di Esselunga. Da viale Tunisia fino a Piazza 8 novembre e su fino a piazza Maria Adelaide di Savoia una folla festante che non voleva perdersi l’avvenimento si era accalcata fin dalle prime ore della giornata.

Esattamente come nei giorni scorsi all’inaugurazione di Starbucks a Milano. Nulla di nuovo o di eccezionale, quindi. Solo un avvenimento altrettanto importante per la nostra città. C’è chi partecipa e vive questi avvenimenti e chi rifiuta, per principio di attribuirgli un valore, un significato che vada al di là dell’avvenimento stesso. Come l’inaugurazione del nuovo Apple Center di piazza Liberty. Una Milano cosmopolita, aperta al mondo che attira investimenti, turisti, progetti e opportunità di lavoro. Esattamente come era successo con Esselunga nel 1957.

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L’andamento lento dei corpi intermedi…

Siamo in Agosto,  opposizione e sindacati, dalle dichiarazioni e dalle proposte sparate un po’ a casaccio  sembrano ancora tutti in vacanza.

Nelle liturgie di quasi tutti i corpi intermedi che ne scandiscono la vita organizzativa e mediatica ci sono momenti importanti dove si presentano all’esterno tesi e riflessioni che provano ad alimentare il dibattito politico, economico e sociale.

Il Meeting di Comunione Liberazione è certamente uno di questi. Mai banale o scontato, gli organizzatori cercano sempre di scavare nelle viscere profonde dell’uomo contemporaneo alla ricerca di senso, valori e stimoli positivi per proporre una visione del futuro legato all’importanza della comunità come luogo di crescita, integrazione, incontro con l’altro. 

Per questo motivo la sua importanza travalica i confini del movimento stesso, e, al di là della passerella dei partecipanti, più o meno famosi, è importante seguirne i passaggi proposti anche per chi cerca di riflettere sul ruolo dei corpi intermedi più in generale. Leggi tutto “L’andamento lento dei corpi intermedi…”

Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…

Il caso Foodora e la sua decisione di lasciare il nostro Paese riporta in primo piano i rider e rilancia finalmente il loro punto di vista. Fino ad oggi non è stato così. Loro malgrado sono stati trasformati nel simbolo della precarietà ben più di chi lavora in nero o di chi viene sfruttato nei campi dell’agro nocerino.

Ritenuti uno dei più importanti problemi  dal neo Ministro del Lavoro Luigi di Maio, protagonisti di scioperi mediatici che non ci sono mai stati, hanno addirittura  spinto alcune istituzioni a livello locale ad inventarsi tavoli e soluzioni specifiche. Nessuna categoria professionale ha mai avuto lo stesso trattamento.

Le ragioni sono da ricercare negli ingredienti diventati subito indigesti all’opinione pubblica che rendono questa storia diversa da molte altre ben più gravi. Innanzitutto i rider come novelli Davide contro la spregevole multinazionale sfruttatrice Golia. Molti, da  genitori, ci hanno visto il destino dei propri figli impegnati nella ricerca di un lavoro che non trovano e che, trovato, non soddisfa le loro aspettative. Infine la paura del futuro. L’algoritmo, il grande fratello con le sue app che distribuisce e toglie il lavoro a suo piacimento.

A parte qualche giovane rider un po’ più politicizzato degli altri spinto dai sindacati desiderosi di entrare nella vicenda,  il grosso di loro ha assistito con una certa riluttanza a questo eccessivo protagonismo, non richiesto. La ragione è molto semplice. Nella stragrande maggioranza dei casi questi “lavoretti” sono utili sia agli studenti universitari per mettere in tasca qualcosa, sia a chi, in attesa di un lavoro, si mette a disposizione per periodi limitati e compatibili con le proprie aspettative. Ma questo approccio non rendeva mediaticamente interessante il tema.  Leggi tutto “Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…”

ILVA. Tertium non datur..

In azienda, quando un manager viene “dimesso” viene rilanciato puntualmente il racconto delle famose due lettere da scrivere da parte del subentrante. Così come le aveva preparate in passato, chi lo aveva preceduto. Nella prima, da aprire alle prime difficoltà, c’è scritto di scaricare tutte le colpe sul predecessore. Funziona sempre. Nella seconda, però, c’è scritto solo di scrivere due lettere.. Quel momento capita, prima o poi, a  tutti.

Il Ministro Di Maio ha già  aperto la prima lettera. Secondo Giuseppe Sabella adesso ha, davanti a sé, solo due opzioni. La più logica, è quella di “costringere” ArcelorMittal a migliorare la proposta fatta a suo tempo al suo predecessore e ai sindacati prendendosi la libertà di continuare ad accusare Carlo Calenda di superficialità o peggio.

La seconda quella di assecondare la volontà dell’elettorato grillino di Taranto che vorrebbe, di fatto,  l’acciaieria chiusa. La scelta di riunire oltre sessanta associazioni per ascoltarle, un minuto a testa, è la prova che la decisione, quella vera,  non c’è ancora. Nonostante la pressione dei sindacati e il disorientamento di ArcelorMittal. Inoltre i commissari stimano l’esaurimento di cassa a settembre 2018. Lo si legge nella documentazione dei commissari ILVA portata in audizione in Senato.

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FCA ovvero la solitudine dei numeri uno…

E’ indubbiamente vero che chi comanda si senta solo. Non lo pensa solo Sergio Marchionne. È così dappertutto. Nel bene e nel male. E, lo dico in premessa perché non credo di avere il diritto di parlare di un uomo della sua storia umana e di un’esperienza manageriale che non ho conosciuto se non attraverso gli articoli dei giornali o il racconto di terze persone.

Mi interessa approfondire il tema della solitudine manageriale, della composizione della squadra che affianca il CEO e del trauma che, inevitabilmente, subisce l’intera struttura decisionale aziendale quando la solitudine si trasforma in un vuoto comunque impossibile da colmare attingendo dentro o fuori la squadra di testa. Soprattutto in aziende quotate in borsa e di grandi dimensioni.

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GDO. Forse qualcosa si muove…

Peccato sia tifoso del Milan. Per il resto un CV di tutto rispetto per la posizione di Direttore Generale di Esselunga. Sami Kahale ha lasciato Procter & Gamble per guidare la più performante insegna della GDO italiana. Esselunga è come una Rolls Royce Silver Shadow del 1965. Praticamente perfetta. La si può discutere in epoca di auto elettriche o senza guida. Ma resta un punto di riferimento per tutti.

Ha avuto un “costruttore” fantastico in Bernardo Caprotti che ne ha curato i minimi dettagli. Non c’è un’azienda di quel settore in Italia che porta  quei risultati. Per i milanesi è altra cosa rispetto ad un supermercato. Quando si dice:”Vado al supermercato” a Milano si intendono tutti gli altri. Non Esselunga che resta di un’altra categoria.

Vengo da tanti anni nella  GDO per cui ne posso parlare bene pur frequentandola raramente. Più che altro per osservare l’organizzazione del lavoro e l’approccio al cliente  dei suoi collaboratori. C’è una scuola e si vede.

Resta un punto di riferimento per tutti gli operatori del comparto ma io sono più un tipo da Unes, Finiper o Carrefour. Luoghi più popolari, meno tirati a lustro. Luoghi a volte imperfetti o incasinati, più vissuti. Vengo da Standa, la “casa degli italiani”, appunto.  Kahale viene dall’industria multinazionale. Un  settore abituato a negoziare, anche a muso duro, con la GDO. È un bene. Non si farà condizionare da nessuno. Leggi tutto “GDO. Forse qualcosa si muove…”

Interessante confronto, attraverso una interrogazione, tra un parlamentare italiano e il Commissario Europeo sulle delocalizzazioni

Ogni volta che un’impresa multinazionale o meno decide di delocalizzare le produzioni in altri Paesi (soprattutto nell’Est Europa) i politici nostrani invocano l’intervento dell’Europa. Lo fanno sollecitando Marianne Thyssen Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione ad intervenire (ad esempio nei recenti casi Embraco e Bekaert).

Ma questi solleciti e richieste di intervento cosa producono concretamente? Hanno un seguito utile o si esauriscono in una interrogazione senza conseguenze particolari?

Pochi mesi fa, il 15 marzo di quest’anno, la parlamentare europea della Lega Mara Bizzotto ha presentato una interrogazione parlamentare alla commissione europea sul tema delle delocalizzazioni verso l’Europa dell’Est.

E’ interessante leggere sia l’interrogazione che la risposta della commissaria Marianne Thyssen per comprendere le differenti traiettorie di pensiero e quindi le possibili implicazioni politiche.

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Multinazionali, delocalizzazioni e interessi del nostro Paese.

Dopo Embraco tocca purtroppo alla Bekaert. Quasi 30.000 dipendenti e presente in 130 Paesi l’azienda ha confermato l’intenzione di chiudere il sito di Figline e Incisa Valdarno (Firenze)  dove si producono rinforzi in acciaio per pneumatici. Questo  comporta il licenziamento di 318 dipendenti più l’indotto.

Nell’incontro coi sindacati che si è tenuto al Mise, la delegazione della società ha spiegato che “le perdite degli ultimi anni sono strutturali e irreversibili e hanno portato alla decisione di cessare tutte le attività”.

Bekaert è presente a Slatina in Romania dal 2004 che è uno dei principali centri logistici e industriali della Romania centro e motore dello sviluppo dell’economia della regione. Pirelli era presente, sempre a Slatina, dal 2006 con un’unità di produzione di alta gamma. L’unità produttiva di Slatina fin da allora (secondo  gli articoli prodotti in Romania in quegli anni) era stata programmata per diventare la più grande fabbrica al mondo di Pirelli entro il 2017 dopo l’espansione della capacità produttiva a seguito di forti investimento a partire dal 2012.

Nel 2014 Bekaert acquista da Pirelli tutti i siti dedicati alla produzione di “steel cord” allora di proprietà dell’azienda italiana  all’80% essendo il restante di proprietà della Continental tedesca. Gli stabilimenti interessati coinvolgevano allora oltre all’Italia e alla Romania, la Turchia, la Cina e il Brasile. Bekaert con un’operazione da 225 milioni di euro diventava così fornitore e partner delle più importanti realtà del settore.

Con Pirelli, in quella circostanza, viene stipulato un accordo, scaduto il 31 dicembre scorso, in cui l’azienda italiana rimane cliente del filo di acciaio prodotto nello stabilimento toscano. L’accordo viene poi rinnovato per altri tre anni, ma solo sul piano commerciale. Molto probabilmente il sovra costo era stato accettato, previsto e concordato solo per i tre anni successivi e ritenuto, già allora,  incomprimibile.

Di questo l’azienda sembra che non abbia mai fatto cenno con i sindacati e questa è certamente una grave scorrettezza. Anzi ha continuato a muoversi come se non ci fosse alcun problema. Almeno così pare.

Comprensibile quindi  la reazione dei sindacati locali e di categoria, decisamente forte  quella del ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, che, dopo l’incontro con i rappresentanti dell’azienda, ha affermato di non aver “mai visto un’azienda così arrogante” minacciando però improbabili  ritorsioni.

Bekaert non ha ricevuto alcun contributo dal Governo italiano. Semmai ne avrà ricevuti Pirelli nel 2006 da quello rumeno. E basterebbe un semplice viaggio a Slatina per comprendere che il problema non è la semplice differenza sul costo del lavoro ma tutto quello che rende appetibile un investimento in un Paese a fare la differenza. Investimenti che allora nessuno, a cominciare dalla Pirelli, ha pensato di proporre  in Italia.

Cercare di spaventare le multinazionali minacciando sanzioni rischia solo di tenerle alla larga dal nostro Paese mentre affrontare i vincoli che rendono il nostro sistema poco attraente per gli investitori potrebbe essere la mossa vincente.

Credo che il Ministro Di Maio dovrebbe concentrarsi su questo più che limitarsi ad una presa di posizione forte sul piano emotivo ma scarsamente produttiva sul piano politico e sociale. E la nuova legge non cambierà la sostanza del problema. Nel caso in questione così come per Embraco il tema non può che essere l’impegno alla reindustrializzazione del sito e le risorse che l’azienda deve mettere a disposizione per contribuire ad una soluzione del problema.

Forse, pur complessa sul piano pratico, potrebbe aiutare la richiesta fatta da Regione Toscana, istituzioni e sindacati alla Pirelli, tesa all’introduzione di un elemento di garanzia per mantenere il sito produttivo almeno fino al termine dell’attuale accordo commerciale. Altri due anni che consentirebbero una gestione più soft delle conseguenze occupazionali anche perché, il richiamo alla Commissione europea per fare chiarezza su eventuali violazioni delle direttive comunitarie da parte della Bekaert, pur doveroso, difficilmente evidenzierà  così come nel caso Embraco, elementi oggettivi contestabili.

Quindi la vicenda Bekaert pone ancora una volta quattro questioni ineludibili sul tavolo. Innanzitutto il tema delle infrastrutture e del contesto fiscale, legislativo e di costo che possono rendere più o meno attraente investire in un Paese come il nostro. In secondo luogo come, incentivi e penalizzazioni, possano trovare un equilibrio realistico.

In terzo luogo come inquadrare anche sul piano sindacale e politico vicende di questo tipo  almeno nell’area Europea. Infine diventa fondamentale la capacità di attrezzarsi con strumenti efficaci  per  gestire le ricadute sull’occupazione, sui siti dismessi e sui contraccolpi sul contesto socio economico di riferimento.

Avendo riunito i due ministeri interessati credo che Luigi di Maio abbia la possibilità di inquadrare rischi e opportunità di vicende che possono produrre legittimamente reazioni emotive ma che devono  trovare risposte convincenti sul piano economico e sociale evitando  iniziative che, seppure con le migliori intenzioni, rischiano solo di  produrre penalizzazioni per il nostro Paese.  

La “meglio gioventù” europea…

“Nemo propheta acceptus est in patria sua” verrebbe da dire pensando a Luigi di Maio. La scena completamente occupata da Matteo Salvini che un giorno minaccia l’Europa sul tema dei migranti, un altro evoca il ritorno del contante, un altro ancora lo sconto sui debiti Equitalia. Un mattatore a tutto campo di “lotta e di governo”.

Di Maio proponendosi per il MISE e per il Lavoro ha, a mio parere, investito sui tempi lunghi scegliendo un tema caro alla sua generazione: il lavoro. Tema difficile da affrontare. Soprattutto in un Paese dove chi ha voluto cambiarlo davvero o è stato ucciso o gira con la scorta. Purtroppo ancora oggi. 

Da un lato si trova a dover affrontare le pesanti crisi aziendali in corso che aspettano soluzioni e che rendono inutile la retorica semplicistica e sbrigativa della recente campagna elettorale, dall’altro, la traduzione concreta  del reddito di cittadinanza sul quale si misurerà la credibilità dell’intero Movimento.

Le opposizioni sono sul piede di guerra, determinate a non concedere sconti e, i media, occupati dal decisionismo di Salvini, sono impegnati a contestarne la sua fragilità personale e l’inadeguatezza della classe dirigente dell’intero movimento in rapporto alla Lega. Quindi  deve mantenere i nervi saldi, tenere a bada una base di militanti in subbuglio  e contemporaneamente continuare a rassicurare un elettorato potenziale che la mutazione in corso da “movimento a istituzione” non prevede alcuna subalternità alla Lega.

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