Declinare crescendo?

E’ indubbio che uno degli effetti collaterali della globalizzazione e delle crisi di assestamento collegate sta travolgendo equilibri e sistemi politici nazionali. L’Europa del sud si è trasformata in un grande cantiere politico dove dalla Grecia alla Spagna passando per la Francia e l’Italia si generano pulsioni autonomiste e divisive, nuovi soggetti politici, trasformazioni in itinere di movimenti che nascono con propositi bellicosi di rottura e, in tempi relativamente rapidi, vengono studiati, blanditi e assorbiti  dall’establishment economico e finanziario internazionale.

L’interdipendenza economica rende difficile dare alle parole e ai programmi urlati nelle campagne elettorali un seguito praticabile. Quindi si producono inevitabilmente percorsi di cambiamento instabili e fragili che creano disequilibri e contraddizioni difficili da gestire. E così mentre Emmanuel Macron sta cercando di internazionalizzare il suo successo interno prima che si dimostri la sua fragilità e Alexis Tsipras di consolidare sul piano politico i primi risultati dei sacrifici a cui si è dovuto piegare, Pedro Sanchez dovrà misurarsi con le spinte autonomiste catalane e con la leadership in crescita di Albert Rivera che con Ciudadanos rappresenta, di fatto, il primo partito spagnolo.

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Il vicolo cieco in cui si è infilata la Grande Distribuzione Italiana

Purtroppo anche quest’anno il film si ripete. Il sindacato del commercio guadagna le prime pagine dei giornali con una dichiarazione di sciopero che non sortirà nessun particolare effetto pratico.

Come il 25 aprile anche il primo maggio i punti vendita della GDO saranno chiusi solo laddove i gestori riterranno di non aprire. Il confronto sul tema purtroppo non fa nessun passo in avanti. Confcommercio ha provato, senza successo,  ad individuare un punto di possibile accordo che mettesse insieme le diverse esigenze ma non c’è stato verso.

I contrari alle aperture si accontentano della testimonianza e di fare sentire la loro voce a corrente alternata. I favorevoli sanno che devono solo scavallare l’effetto mediatico che precede l’apertura contestata. Fino alla prossima scadenza.

Dopo tanti anni di lavoro nella GDO non ho perso l’abitudine di frequentare i punti vendita nei giorni festivi dove capita. In passato lo dedicavo a visitare la concorrenza per “carpirne” i segreti. Per il sottoscritto, che lavorava nelle Risorse Umane, ovviamente l’obiettivo era osservare l’organizzazione dei reparti, il clima tra i dipendenti e il servizio al cliente. Magari qualche potenziale candidato da assumere. Leggi tutto “Il vicolo cieco in cui si è infilata la Grande Distribuzione Italiana”

Intellettuali, corpi sociali e pensiero plurale

Difficile stabilirne il momento esatto o di chi furono le responsabilità della separazione. Ma la separazione ci fu in tutte le organizzazioni di rappresentanza.

Forse fu più evidente nei sindacati perché seguì la fine del percorso unitario e l’affermarsi delle rispettive derive identitarie. Fu meno evidente nelle organizzazioni datoriali. Ma avvenne anche lì.

Intellettuali e forze sociali si lasciarono così, ad un certo punto, senza rancore. Ha ragione Dario di Vico ( http://bit.ly/2GeCqh4 ) a ricordarci che quella separazione è costata cara. Sia alle organizzazioni di rappresentanza che agli intellettuali. Ma, di fatto, anche al Paese.

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i Corpi intermedi al decollo della terza repubblica: in campo o in panchina?

Il copione sembra già scritto. Ciascuno per sé sperando che il contesto socioeconomico riporti a più miti consigli l’euforia dei vincitori delle elezioni politiche. C’è l’aumento dell’IVA che incombe in modo sinistro sulla ripresa, ci sono le riforme varate dai governi precedenti da mantenere per non compromettere i segnali positivi sull’occupazione.

C’è però un risultato elettorale che segnala, al di là degli stessi vincitori, un disagio profondo che attraversa la nostra società tra generazioni e territori. Un disagio che comunque lo si valuti cerca ancora, fortunatamente, uno sbocco parlamentare.

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Amazon vuol dire fiducia?

Mi ha fatto riflettere e stimolato l’accostamento di Giuseppe Caprotti, figlio del fondatore di Esselunga, il 19 marzo sul suo blog   (http://www.giuseppecaprotti.it) tra l’agire di Amazon e la Galbani della tentata vendita nel secolo scorso.

Quella che oggi si chiama “profilazione” tramite big data o, potenzialmente con i dati delle fidelity card tempo fa, in Italia, avveniva tra il piazzista dell’azienda lattiero casearia e il negoziante. Il consegnatario (il piazzista, appunto) conosceva le abitudini di acquisto dei clienti di quella zona costruito sulle richieste storiche dell’esercente.

Per questo motivo, con migliaia di camioncini che giravano l’Italia, l’azienda era così in grado di anticipare le decisioni di acquisto dei clienti consegnando la merce addirittura prima che il negoziante di turno pensasse di procedere al riordino e anticipando in questo modo la concorrenza.

Galbani sapeva sempre cosa volevano i consumatori quindi cosa ordinare agli stabilimenti di produzione e come far circolare i freschi attraverso una logistica efficace e trasporti efficienti. Avveniristico, per quegli anni fu anche la costruzione del centro logistico di Ospedaletto Lodigiano (guarda caso a due passi da Piacenza con 20 anni di anticipo su Amazon). Leggi tutto “Amazon vuol dire fiducia?”

La CGIL, il congresso e la sfida dell’innovazione

La CGIL che si avvicina al congresso, di questi tempi, è un fatto di per sé rilevante. Non solo e non tanto perché è la principale organizzazione sindacale italiana ma sopratutto perché la strategia e le decisioni che ne scaturiranno segneranno la volontà o meno di essere punto di riferimento e protagonista in una fase di grande disorientamento sociale.

Una cosa va detta subito. La CGIL non sembra voler essere più il “sindacato del gettone telefonico” tanto caro a Crozza. Susanna Camusso ne lascerà la guida con diversi meriti che probabilmente non le verranno riconosciuti. Mala tempora currunt. Però è così.

Innanzitutto ha lavorato per riportare la sua organizzazione al centro delle dinamiche sociali evitandone spaccature e derive estremistiche. Oggi i Cobas e la fantasiosa coalizione sociale sono indubbiamente più lontani.

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Accordo Confindustria Sindacati. Un risultato comunque importante.

Sarebbe interessante poter leggere i primi testi proposti sia da Confindustria che dai sindacati confederali. I testi dove entrambe le parti avevano espresso il proprio punto di partenza, le proprie filosofie e i propri obiettivi.

Quelli che definivano le vere aspirazioni e le vere traiettorie. Il testo finale, come sempre, tende ad accontentare tutti e quindi non spiega, fino in fondo, le legittime differenti strategie in campo.

Né spiega le difficoltà a tenere insieme Categorie sindacali, Federazioni imprenditoriali soprattutto quando Categorie e Federazioni hanno già ottenuto, in parte, quello che volevano nei loro contratti, gelosi della propria autonomia. Confindustria non ottiene molto ma contemporaneamente non concede molto.

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Le imprese e le organizzazioni di rappresentanza alla prova del futuro

Quando Antoine Riboud pronunciò a Marsiglia davanti ad una platea di imprenditori il suo discorso dal titolo “Crescita economica e qualità della vita” fece scandalo ( http://Bit.ly/2HaBE1v   ).

Il sessantotto francese era ormai alle spalle. Gli imprenditori stavano riprendendo il controllo della situazione e i rapporti di forza si erano già ribaltati.

In quegli anni il PDG di Danone propone la partecipazione agli utili in termini di una o due mensilità aggiuntive per anno. In una bottiglieria di Reims del Gruppo, concordò con il sindacato la riduzione a 34 ore dell’orario di lavoro e, contemporaneamente, tutti i dipendenti francesi del Gruppo ricevettero due azioni a testa.

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Braccialetti, lingua inglese e musei. Questa è l’Italia che deve cambiare.

Se avessero chiesto un test per misurare l’avversione all’innovazione (vera) della classe politica italiana (e non solo) pochi avrebbero pensato ai braccialetti di Amazon.

Eppure ha funzionato. In poche ore si è capito che piuttosto che predisporsi al cambiamento cercando di comprenderlo e, ovviamente di guidarlo, l’unica reazione messa in campo è il rifiuto. Accompagnato dalla solita dose di retorica e di demagogia. Dall’estrema destra alla estrema sinistra.

L’inventore del braccialetto, l’ingegnere americano Jonathan Cohn, 30 anni, da sei in Amazon, ha risposto con uno sberleffo analogo a quello degli anarchici della fine dell’800 (una risata vi seppellirà) citando un passaggio di una nota canzone dei Queen: “…fulmini e saette molto, molto spaventoso…”.

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Bentivogli e Calenda lanciano una start up in Politica?

Il coro di approvazione seguito alla pubblicazione del documento Marco Bentivogli e Carlo Calenda ne è la testimonianza più esplicita.

In Politica, d’altra parte, non esistono vuoti. Se si creano qualcuno li riempie immediatamente. La realtà era chiara da tempo. Forse, le imminenti elezioni, l’hanno resa solo più evidente.

Le divisioni del novecento stanno lasciando spazio a nuove contrapposizioni. Le ricette, tradizionalmente di destra o di sinistra, perdono di significato mentre si affermano nuove divisioni.

Le contraddizioni, pur sempre presenti nella società contemporanea, trovano risposte fuori dai recinti tradizionali a cui la Politica ci aveva abituato.

La sinistra, ovunque nel mondo in crisi di identità, perde consensi perché non riesce a sintonizzarsi con i cambiamenti in atto e quindi rischia di limitarsi a riproporre un improbabile quanto impossibile ritorno al passato.

La destra tende, al contrario, a cavalcare le paure generate dal cambiamento. Nel breve, non c’è storia. Vince chi rassicura. E forse chi promette di più.

Nel medio periodo, al contrario, vincerà chi saprà affrontare e risolvere i problemi. Carlo Calenda e Marco Bentivogli hanno capito benissimo che la partita si gioca sui tempi medi.

“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario” ci ricorda George Orwell nella fattoria degli animali. Ed è da qui che chi vuole fare “politica 4.0” dovrà  ripartire.

Ecco perché non siamo di fronte ad un nuovo (ennesimo) Partito o movimento in fase nascente e destinato a numeri da prefisso telefonico alle prossime elezioni. È il punto di osservazione che cambia.

Sono i problemi e le loro possibili soluzioni che creano le convergenze necessarie e i luoghi dove queste convergenze si possono realizzare.

Carlo Calenda e Marco Bentivogli vengono entrambi da mondi dove la demagogia e la retorica costano care. Il Paese (e non solo) ha, invece, assoluto bisogno di luoghi dove si possano costruire soluzioni pur nella distinzione di missione, ruoli istituzionali o sociali.

Stanno disegnando, consapevolmente, un’evoluzione del modello concertativo dove al centro sta la soluzione concreta del problema sul tappeto e non, come in passato, la paralisi decisionale.

Può essere accumunata con un certo grado di forzatura  ad una classica start up pur nel campo tradizionale e scarsamente innovativo della Politica perché si pone comunque l’obiettivo di superare lo stallo e quindi di risolvere un problema prima affrontato diversamente.

Sostituisce al classico sindacale: obiettivo-lotta-risultato, il più moderno: obiettivo-condivisione-risultato. E la condivisione non è data dalla riproposizione infinita del proprio punto di vista, che può restare differente da quello altrui, ma dalla convergenza sull’obiettivo finale che, pur non rappresentando necessariamente il proprio punto di partenza, garantisce ai propri rappresentati un notevole passo in avanti.

È la logica già presente negli accordi sindacali FCA e in altre realtà industriali. Ma è la medesima logica che guida Carlo Calenda nelle vertenze aziendali complesse. La novità sta nel “praticare l’obiettivo” non nell’interpretare un ruolo assegnato.

Tutto  questo probabilmente provocherà scompiglio sia nella Politica che nel Sindacato.

Nella Politica dove il coro plaudente sarà presto sostituito da letture più puntute sui personaggi in campo e sulle loro ambizioni.

Ma anche nel Sindacato dove il rischio di modeste gelosie e piccole invidie personali rischieranno di giocare contro una strategia che, al contrario, potrebbe giovare ad un rientro in campo propositivo di tutto il sindacalismo confederale.