CCNL Commercio e GDO. La strategia del “braccino corto”…

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L’espressione fiorentina “avere il braccino corto”, guarda caso, nasce proprio nel commercio. La stoffa veniva venduta “a braccia”. Il braccio era ovviamente quello dei venditori. Questi spesso  utilizzavano dei giovani garzoni per misurarla in quanto il loro braccio era più corto, così da far guadagnare di più al commerciante e dare così, meno del dovuto, all’interlocutore. Solo così si spiega lo stallo del CCNL del commercio. Mi è venuto in mente quando ho letto che i  colleghi del comparto alimentare hanno rinnovato il loro CCNL. Ricordo sommessamente che dal 2019 ad oggi, mentre il comparto  alimentare con le sue quattordici associazioni ha rinnovato ben due CCNL, nel Commercio, Terziario e Grande Distribuzione si è rimasti con quello firmato nel 2015 (scaduto nel 2019) da Confcommercio e con quello in dumping di Federdistribuzione. E fino ad ora,  non si è combinato  un granché. Se da più di otto anni non si riesce a firmarne uno  (quello di Federdistribuzione essendo una sostanziale ricopiatura non può essere definito  un CCNL distintivo) è difficile non interrogarsi sui protagonisti, sulle loro sostanziale inadeguatezza e sulla mancanza di capacità o di volontà politica nella gestione di quello che resta il principale CCNL del Paese per numero di lavoratori coinvolti.

Ma procediamo con ordine.

La trattativa finale non stop degli alimentaristi è durata quattro giorni. Intorno al tavolo  Fai CISL, Flai CGIL e Uila UIL con  le 14 associazioni datoriali (Unionfood, Ancit, Anicav, Assalzoo, Assica, Assitol, Assobibe, Assobirra, Assocarni, Assolatte, Federvini, Italmopa, Mineracqua, Unaitalia). Cristina Casadei lo spiega nel dettaglio sul Sole 24 ore: “L’aumento concordato da dicembre 2023 per i 400 mila addetti sarà di 280 euro riparamentrate. La durata prevista è di quattro anni, con decorrenza dal primo dicembre del 2023 al 30 novembre del 2027. In particolare è stato deciso che a decorrere dal primo dicembre del 2023 arriveranno nelle buste paga dei lavoratori 55 euro di incremento aggiuntivo della retribuzione, il cosiddetto Iar. Oltre a 20 euro sul trattamento economico minimo (Tem). Poi dal primo settembre di quest’anno altri 35 euro sul Tem, dal primo gennaio del 2025 60 euro, dal primo gennaio del 2026 altri 60 euro. A gennaio del 2027 arriveranno gli ultimi 39 euro sul Tem e infine da settembre del 2027 gli ultimi 11 euro dello Iar.

In altre parole questo significa che, la prima tranche,  parte dal 1° dicembre 2023 con un aumento di 75 euro e già nei primi 14 mesi di applicazione contrattuale gli alimentaristi recupereranno un importo di 170 euro, il 60% dell’aumento totale previsto. Per i casi di mancata contrattazione di secondo livello si aggiungono altri 15 euro mensili a quelli già previsti. Il montante complessivo raggiunge così 10.236 euro nel quadriennio. La parte normativa prevede interventi di riduzione dell’orario di lavoro nell’arco della vigenza per alcune categorie di lavoratori e l’impegno a definire «future intese a livello aziendale con le Rsu per ulteriori riduzioni dell’orario di lavoro in caso di investimenti tecnologici che potrebbero impattare su produttività e occupazione».

Nel capitolo relativo al mercato del lavoro sono stati aggiornati e migliorati gli articoli che lo disciplinano «con maggiore contrasto alla precarietà attraverso il dimezzamento della percentuale complessiva che passa  dal 50% al 25% dei contratti a termine, in somministrazione e in staff leasing», spiegano i sindacati nella loro nota unitaria. «L’accordo raggiunto – dichiarano i tre segretari generali di Fai, Flai e Uila, Onofrio Rota, Giovanni Mininni e Stefano Mantegazza – rappresenta un traguardo importante sia per l’incremento economico che per le conquiste ottenute sul piano normativo per valorizzare il lavoro stabile e ben qualificato». Per rivisitare il sistema classificatorio le imprese e i sindacati hanno stabilito di avviare i lavori della Commissione paritetica tecnica per l’aggiornamento delle declaratorie a partire dal 2024. Con il rinnovo le industrie e i sindacati hanno rafforzato e rilanciato anche il welfare contrattuale. Sull’assicurazione sanitaria FASA è stato previsto un incremento del contributo a carico delle aziende di 4 euro al mese a partire dal primo gennaio del 2025, il sostegno alla maternità e paternità con incremento di un euro del contributo dal primo gennaio del 2025, la previdenza complementare ALIFOND con un incremento di 0,3% del contributo a carico delle aziende dal primo gennaio del 2025. Infine è stato previsto l’incremento del contributo a carico delle imprese destinato all’Ente Bilaterale di Settore dal primo gennaio del 2025 a fronte della implementazione delle attività di formazione professionale svolte dall’ente”. (Sole 24 ore)

Un’intesa importante visto il contesto e le dinamiche che sta attraversando l’intera filiera agroalimentare nazionale. È evidente che questa firma spingerà (lo voglio sperare)  ad una accelerazione il negoziato del terziario fermo su un binario morto. E questo è certamente un bene. Ma un rinnovo di CCNL che è proceduto a zig zag dal 2019, senza alcuna visione e strategia datoriale se non quella di spendere il meno possibile dove può portare un comparto che oltre a riconoscere il “giusto compenso” ai suoi lavoratori avrebbe bisogno di uno strumento moderno per accompagnare le trasformazioni in atto.

Ma perché siamo arrivati qui?

Innanzitutto perché l’intera vicenda contrattuale è stata ritenuta residuale e non strategica da tutte le associazioni coinvolte. Si è attesa la scadenza con sufficienza e superficialità scommettendo  esclusivamente sulla evidente debolezza del sindacato di categoria.  Mentre alberghi e ristorazione avevano ragioni indiscutibili per rallentare il confronto sui rispettivi CCNL, a seguito della pandemia e  delle sue conseguenze, terziario e GDO non avevano scuse plausibili. Solo la determinazione, tipica nei rinnovi di categoria, di spendere il meno possibile.  E, aggiungo, la volontà da parte di Confcommercio di restituire, in un contesto completamente cambiato, la “scorrettezza” subita  nel rinnovo passato quando i sindacati di categoria avevano concesso uno “sconto” a Federdistribuzione. Tempo prezioso perso che avrebbe consentito un rinnovo meno oneroso in tempi meno “terremotati” dall’inflazione.  

La seconda fase è stata segnata da due errori da manuale. Provare a dividere gli interlocutori sindacali e inventarsi scambi impossibili tra aumento salariale e modifiche delle parti normative.  Sulla prima mossa è evidente che i  sindacalisti hanno culture e sensibilità differenti. Ma in questo contesto politico e sociale nessuno di loro ha interesse a smarcarsi in un rinnovo di contratto nazionale che non offre alcun margine di manovra sui contenuti. Lo provano i rinnovi avvenuti in tutte le categorie. I contrasti di linea e di strategia tra CGIL e UIL da una parte e CISL  dall’altra non coinvolgono, in nessuna situazione, piattaforme e rinnovi contrattuali. Pretendere poi un “do ut des” tra normative specifiche pur ritenute  obsolete e aumento salariale fuori tempo massimo ha solo compattato i sindacati di categoria.  E tutto questo lasciando trascorrere  i mesi fino all’annuncio dell’IPCA per poi accorgersi che, in tempi di inflazione, questa di sarebbe dimostrata un boomerang per le imprese.

Le stesse insegne della  Grande Distribuzione purtroppo non si sono preoccupate negli anni di vigenza del  CCNL scaduto, di costruire, insieme al sindacato e attraverso Federdistribuzione, un percorso che garantisse, al rinnovo,  la distintività necessaria per differenziare il testo da quello “copiato” da Confcommercio. E questa è un’altra differenza di comportamento rispetto ai protagonisti del contratto degli alimentaristi. Oggi è tardi per costruire scambi significativi.  Se i Presidenti delle associazioni, a cominciare da Confcommercio,  non metteranno in campo la loro autorevolezza l’intera vicenda rischia di essere trascinata stancamente in sede ministeriale per arrivare ad una  conclusione qualsiasi. Almeno sulla parte economica.  Con il rischio di minare alla base  l’intero impianto normativo e di welfare con i costi che trascina con sé. Ma parlando del tradizionale “braccino corto” dei  commercianti in genere e dei loro giovani  garzoni probabilmente  era questo l’obiettivo. Altro che CCNL innovativo….

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21 risposte a “CCNL Commercio e GDO. La strategia del “braccino corto”…”

  1. Immaginando comunque una chiusura della trattativa..su quanto scommetterebbe in termini di incremento salariale e da quando ?

  2. Cosa dire,
    Poco visto che non servono parole per commentare lo schifo che stiamo subendo.
    Ma dove vogliamo andare se non sono capaci in 8 anni a mettersi d’accordo, considerando che basterebbe dare copia e incolla con gli altri contratti rinnovati.
    Il finale è solo uno guadagnano di più a non mettersi d’accordo

  3. Che tristezza! Dal 2015 non firmano il contratto…
    Colpa mia, colpa sua, colpa tua e tutto tace… Imparare dagli scioperi francesi per ottenere qulcosa… Comunque una vera pena

  4. La colpa è dei sindacati che non tutelano più i dipendenti, che nel corso degli anni con l’inflazione sempre più in aumento hanno completamente perso il potere di acquisto .
    Contratto scaduto nel 2019 siamo al 2024 e ancora non si fa niente, se per caso si mettono d’accordo lo faranno fino al 2027 per qualche centinaio di euro e mentre dalla del 2019 alla nuova scadenza del 2027 sono trascorsi otto lunghi anni tutto a beneficio dei datori di lavoro. NON CI SONO PIÙ I SINDACALISTI DI UNA VOLTA

    1. Tu,sei iscritto? No? Allora taci.
      Sei iscritto ma non vai in assemblea? Taci.
      Sei iscritto non fai assemblee ,non scioperi? Taci.
      Il sindacato sei tu.
      Se non ti interessi,se non lotti…sei uno dei tanti che si aspettano che altri si sbattono per te.

  5. Sarebbe ora che lo firmassero,poi se si far sciopero ad oltranza
    Non si ve ngano a lamentare la confcommercio e company

  6. Prima di firmare un contratto che per pochi spiccioli (come l’ultimo) svende ancora i diritti dei lavoratori( guarda cosa è successo con Domeniche obbligatorie e orari spezzati con 2-3 ore di stacco) meglio che non firmino nulla. Solo con le domeniche che prima erano facoltative e pagate il giusto abbiamo perso anche la dignità. Poi le aziende si lamentano perché non trovano personale….

    1. Se il sindacato non ha forza, e’ colpa dei lavoratori.
      Se la gente non sciopera,il sindacato firma al ribasso…allo sciopero per no lavorare la domenica,nel mio punto vendita,su 190 dipendenti,lo abbiamo fatto in 3.
      Quindi in azienda forse in200. Su 28000 dipendenti..
      Quindi…..

  7. Ditelo ai giovani che non capiscono di avere il coltello dalla parte del manico.. quando si sciopera loro vanno al lavoro ” perché tanto non cambia niente” o perché ” poi mi guardano male”…..se si svegliassero un po’ sarebbe meglio!!!

  8. Bel problema..da un lato l’avidità delle aziende (non sempre corrette, vedesi pagamenti in nero o peggio) dall’altro i sindacati (che troppo spesso tutelano i fannulloni e gli assenteisti, ancor di più se loro iscritti, che pagano l’obolo per sentirsi “protetti”. Vogliamo poi parlare dell’inutilità dei permessi delle RSA/RSU? Giornate a casa, pagati delle aziende, per un paio di ore di riunione, vergogna!). Purtroppo quei pochi onesti (=meritocratici) sindacalisti vengono messi all’angolo, d’altronde, i sindacati hanno costi enormi (altro interessante argomento), stipendi dei loro vertici folli, irregolarità di vario tipo (pensate allo scandalo dei rimborsi e non solo…la cronaca di licenziamenti/lavoro nero/irregolarità al loro interno sono ben note..per non parlare delle loro pensioni!!). In mezzo a questo nauseabondo mondo…assistiamo, e non ci stupiamo, ad alcune lamentele dei lavoratori che scelgono liberamente un lavoro di “servizio” alla clientela…e si lamentano del lavoro nel we o nei festivi (in microclimi ideali, protetti dalle intemperie, con 13esima e 14esima e 277 ore annue, tra ferie, permessi, roll ecc, dopo 4 anni di anzianità (quasi 7 settimane a casa, retribuiti!)”..e l’Italia è questa qua….la terra dei Cachi”…poveri noi, povera Italia, povera onestà ( di quella parte di lavoratori, sindacalisti, aziende) che ogni giorno si impegnano x non fare chiudere le attività! Grazie, di cuore a tutti loro..che per colpa di altri..finiscono nel calderone..dei disonesti…

    1. Il guaio più grosso sono gli enti bilaterali introdotti negli ultimi contratti dove aziende e sindacati si spartiscono potere e soldi assieme. Come si può pretendere poi che si facciano la guerra quando sono in pieno conflitto di interessi alla faccia dei lavoratori che ancora credono e si iscrivono ai vecchi sindacati?

      1. Ditelo a Landini che fa finta di niente preoccupandosi, per distogliere l’attenzione, di lotta al governo, al cambiamento climatico, LGBT+, la fame e le guerre nel mondo e chi più ne ha ne metta, tutto tranne della condizione dei lavoratori.

  9. Una totale vergogna, tempo e denaro perso, ed ogni mese che passa le aziende ingrassano con gli aumenti che già da tempo hanno messo in atto, invece chi ci lavora deve ancora una volta abbassare la testa.

  10. L’unica sarebbe fargli perdere guadagni, fare settimane (non giorni) di sciopero e sempre sotto le festività perchè li colpisci di più

  11. Comincio a credere che siano tutti d’accordo nel non voler rinnovare, sindacati ed associazioni. E’ davvero intollerabile che ci sia eco mediatico alle problematiche legate alle nuove lincenze di taxi, categoria che credo viva di diritti acquisiti medievali e non si parli tutti i giorni dei lavoratori dipendenti in attesa di rinnovo contrattuale da quasi 5 anni. Anni di inflazione e perdita di potere d’acquisto eccezionali. In tutto questo, giornalmente cerco notizie a riguardo e tutto tace…avvilente

  12. DA SEMPRE I SINDACATI SONO LA ROVINA DEI LAVORATORI!!! CHISSA’QUALI INTERESSI E GIOCHI SPORCHI A VANTAGGIO DEI SINDACALISTI CI SONO. CHE SCHIFO DI PAESE!!!!

  13. È una vergogna!!! Mi vergogno di essere italiano, questo paese è finito sono tutti disonesti e pesano al loro interesse in questo modo non si va da nessuna parte. Il contratto meglio a questo punto non lo rinnovano se devo rendere possibili aperture notturne incontrollate è verso quella direzione che si sta andando. Spero di avere possibilità di cambiare settore di lavoro. Tornerò a fare l’agricoltore come mio nonno che stava meglio faceva fatica fisica ma la sera era a casa con la sua famiglia. La soluzione è fare chiudere i commercianti con scioperi di settimane intere. I datori di lavoro vanno colpiti sui soldi quello è il loro punto debole.

  14. Buongiorno cosa devono aspettare mentre i dirigenti del commercio hanno ricevuto aumenti in alcuni casi di 1000 euro. Dopo 9 anni dobbiamo fare la tessera per la CGIL e versare quello che è. No subito 500 euro di conguaglio e 500 a fine anno 2024. Poi il potere di acquisto è calato di oltre 150 euro da un anno ad oggi subito un contratto da almeno 300 euro e un bonus anno di 200-300 euro per tutti non solo per metalmeccanica. E non mi veniate a dire che non è vero volete ridurre il paese ad 1 ricco e 10000 poveri. GRAZIE SINDACATI ED AZIENDE

  15. Nella catena di discount in cui lavora mia moglie tutti i giovani maschi se ne stanno andando a causa delle retribuzioni basse. Quasi tutti migrano nel metalmeccanico che è in cerca di lavoratori e paga molto meglio. Il turn over di personale è alle stelle. Alla fine non conviene neanche alle grandi catene pagare poco i dipendenti. I miei figli piuttosto che accettare le condizioni di lavoro di mia moglie se ne andranno all’estero e faranno bene.

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