CCNL metalmeccanici. Un passo indietro per farne due in avanti…

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Trentaquattro pagine sono la corposa risposta di Federmeccanica (https://bit.ly/36bQX8D). alla piattaforma contrattuale  dei metalmeccanici presentata undici mesi fa da FIM Cisl, FIOM Cgil, e UILM Uil (https://bit.ly/37bdmSQ) .  “Una buona base di discussione” come l’ha definita Roberto Benaglia segretario generale della FIM CISL. Leggendola mi sono fatto l’idea che per apprezzarne lo sforzo e i contenuti occorra fare un passo indietro e ripartire dalle condizioni di cambiamento  che aveva innescato il rinnovo precedente.

Non partirei quindi dalla piattaforma presentata dai sindacati. La parola chiave, allora era “rinnovamento” del contratto al posto del più tradizionale  “rinnovo” del contratto.  Non era un semplice  slogan. Le parole sono importanti se e quando indicano una strada da percorrere.

Anche oggi  il rinnovo si gioca, sempre nelle intenzioni dell’associazione datoriale, su di un passaggio chiave.  Da rinnovo del contratto “di” lavoro a rinnovo di contratto  “per” il lavoro. E anche questa volta non è la stessa cosa.  Innanzitutto c’è la volontà di investire sullo strumento. Quindi di sottolinearne il potenziale rinnovandone lo scopo. “Per” il lavoro significa progettare, si spera insieme, uno strumento nuovo nel quale trovi spazio la qualità del lavoro e il suo riconoscimento anche sul piano individuale a partire da una proposta di alto profilo sull’inquadramento (che prevede  una  valorizzazione della professionalità e delle competenze e supera il concetto di mansione che ha retto per oltre 40 anni), la produttività e la sua distribuzione, la tutela del reddito e il welfare contrattuale. E quel “per” innesca inoltre seppur in  differita nei tempi,  anche la contrattazione aziendale.

Qualcosa non ha funzionato nella fase della gestione e i tempi di implementazione della parte più qualitativa del vecchio contratto hanno subìto un evidente rallentamento. Un “rinnovamento” che ha faticato quindi ad affermarsi sia nelle imprese che nel sindacato. La ragione è che quella firma, per certi versi storica,  anticipava e non seguiva il contesto. Intuiva che occorresse predisporre la strumentazione.

Era, però, a mio modesto parere, un portato più della intuizione dei negoziatori che della sensibilità della categoria. Aggiungo che, forse, quel negoziato era addirittura disallineato con le rispettive confederazioni da una parte ma anche con la stessa  Confindustria. Troppo rinnovato protagonismo di categoria per le prime. Troppa concorrenza con il nascente “Patto della Fabbrica” per la seconda.

Non va sottovalutato che con quella firma si era ritrovata l’unità tra i metalmeccanici, la centralità del livello nazionale era salvaguardata e si sarebbe potuto aprire una fase di sviluppo della contrattazione aziendale. Una stagione di vero “rinnovamento” del sistema delle relazioni industriali. Così non è stato ma la semina è stata comunque utile.

D’altra parte che quel contratto fosse troppo avanti o, per dirla con Federmeccanica, che sarebbe stato necessario un tempo più lungo  della durata di  un rinnovo per essere metabolizzato nei territori e nelle  imprese lo si è capito subito dopo la firma. Un vero rinnovamento che impatta sulla qualità delle relazioni industriali ha bisogno di tempi diversi da quelli previsti da un CCNL. Soprattutto di percorsi condivisi e non imposti. 

E quando la gestione quotidiana è ritornata nelle mani delle imprese e dei sindacati locali le contraddizioni e lo scetticismo sono emersi, i risultati si sono dimostrati insoddisfacenti  e quindi la successiva piattaforma sindacale ne ha rappresentato la conseguenza logica. Basso profilo e salario sopra le righe.

Undici mesi fa non era affatto scontato che si potesse aprire una stagione di convergenze. Poi però è successo di tutto. Sul piano generale il coronavirus ha scosso alle radici il comparto, i gruppi dirigenti sono in parte cambiati, non solo in parte del campo sindacale, gli impegni sottoscritti hanno trovato riscontri a macchia di leopardo.

La discussione intorno all’introduzione o meno di un salario minimo, il ruolo delle rappresentanze, la loro rappresentatività  e la rivendicata  autonomia negoziale hanno però  ridato ai contratti nazionali una nuova possibile occasione di centralità.  Nulla di scontato e tutta ancora da costruire. Questo documento dimostra che l’esigenza di continuare su un percorso di alto profilo non è un mero esercizio di stile. E questa volta i tre sindacati sono ben più allineati alle rispettive confederazioni così come la sintonia tra Federmeccanica e Confindustria è maggiore.

Non chiudere i contratti nazionali aperti si dimostrerebbe un boomerang difficile da gestire. In gioco c’è molto di più che la loro sottoscrizione. La partita dei rinnovi contrattuali si colloca in un momento di grande difficoltà per il mondo del lavoro e delle imprese. Rappresentanze comprese. Se dovesse venire meno la volontà di costruire intorno ad essi una vera strategia condivisa diventerebbe difficile sostenere che la risposta all’esigenza o meno di introdurre il  salario minimo o di evitare invasioni di campo è nei contratti nazionali e contemporaneamente non rinnovarli o accettarne il declino sia sul piano dei contenuti che della loro copertura.

Per questo, credo, che questo documento rappresenti un buon passo in avanti. Così come la calendarizzazione di incontri a distanza ravvicinata. La stessa risposta del sindacato, pur improntata ad un’ovvia cautela, ne ha segnalato un convinto apprezzamento.  È un segnale importante  su cui credo si possa e si debba lavorare. Soprattutto se dimostrerà una volontà condivisa. 

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