Chiusure festive e domeniche. Adesso si muovono anche i piccoli…

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Adesso si muovono anche i piccoli esercizi commerciali. Restano al palo i sindacati del settore e chi, nell’associazionismo datoriale, ha in testa il mondo della distribuzione e del commercio di qualche decennio fa.

I sindacati di categoria scontano la loro fragilità e la loro assenza nelle imprese. Anziché entrare nella vicenda del lavoro festivo partendo dai problemi reali dei lavoratori (rotazioni e compensi) confidano forse di rientrare in gioco a valle del decreto incuranti di essere catalogati come inutili o dannosi da chi rischia di subire in prima persona le conseguenze di queste decisioni.

E’ vero che, ad esempio,  delle circa cinquecentomila persone che, a vario titolo, lavorano nei centri commerciali i sindacati sono in  contatto grosso modo con quelli delle insegne più conosciute e, anche lì il loro rapporto è con i lavoratori a tempo indeterminato. Spesso sono solo i più anziani ad essere sindacalizzati.

Nel piccolo dettaglio, al contrario, sono quasi totalmente assenti. Nelle insegne più note della GDO, escluso il mondo COOP, la loro presenza è rilevabile come numero di iscritti ma  inesistente sul piano dell’iniziativa sindacale. Basterebbe leggere tra le righe  la vicenda legata al rinnovo del primo CCNL della GDO con Federdistribuzione.

Ed è proprio la mancanza di peso politico che li tiene ancorati a vecchie posizioni ideologiche maturate nel passato e consolidate nei sette anni dalle liberalizzazioni montiane pur spingendoli, laddove sono stati sollecitati dalla realtà, a firmare accordi di buon senso sul lavoro festivo.

Qui sta il punto.

I sindacalisti del settore più attenti hanno ben capito le esigenze dei consumatori e la necessità delle imprese di allargare le fasce orarie di apertura sia giornaliere che settimanali. Le decine di accordi firmati sono lì a dimostrarlo. Purtroppo a differenza di altri settori produttivi non riescono a fare il passo successivo in termini di richiesta di coinvolgimento e di condivisione di quelle scelte rivendicando impegni concreti o contropartite possibili.

La crisi dei formati e i conseguenti ridimensionamenti dei punti vendita viene vissuta come un problema delle aziende, dei loro errori e della loro mancanza di strategie commerciali.

Non come un problema che travalica le singole imprese, soprattutto multinazionali, che non è solo italiano, che, da noi coinvolge anche gli errori di programmazione delle regioni e dei comuni, i loro opportunismi compresi quelli degli stessi sindacati ben contenti di fare iscritti negli anni dello sviluppo apparentemente senza fine della GDO. Soprattutto un problema che presenta sfaccettature diverse nel comparto tra merceologie differenti, formati distributivi e tipologie di servizi.

Un problema di cui farsene carico in modo nuovo per studiare come ricollocare migliaia di persone e gli stessi siti nei prossimi anni per evitare che alle dismissioni dei siti industriali segua quella dei centri commerciali.

Dall’altra parte alcune importanti associazioni di categoria che hanno confidato, come fossimo ancora nel 900 e con  quelle regole del gioco, mediazioni intelligenti ma lontane da ciò che si apprestava a rilanciare il Governo giallo verde.

Adesso le rispettive basi sono in subbuglio.

Alcune associazioni si sono mosse. Altre no. Questo è inaccettabile. Se non ci sarà una mobilitazione generale di tutto l’associazionismo del commercio, delle imprese stesse e dei consumatori, questa vicenda lascerà un segno che rischia di cambiare molte cose in futuro.

La ribellione dei piccoli nei centri storici ma anche nelle periferie mostra un commercio ben diverso da quello rilevato dalle associazioni di categoria più tradizionali. E’ un commercio che si è dato da fare, ha superato le vecchie logiche di contrapposizione tra piccola e grande distribuzione, sa che deve innovare ancora di più perché lo attende la sfida con i giganti del web e con nuove formule su cui può decisamente competere.

Chi non ce l’ha fatta è ormai alle spalle. Adesso è chiaro che la GDO fa meno paura. E’  “solo” un concorrente. Nei centri commerciali sono i piccoli e le catene di franchising a farla da padrone nei festivi. Sono tutte quelle attività di ricreazione e di svago proposte da piccoli artigiani o  servizi  alla persona prima inimmaginabili.

Per questo questi provvedimenti sono datati e figli di un odio nei confronti della logica dei consumi e del divertimento che mira a penalizzare insieme alle imprese di tutte le dimensioni,  il ceto medio, gli anziani e chi, nei giorni festivi, ha deciso di passare parte del suo tempo libero come gli pare.

Le audizioni ci sono state. 40 associazioni hanno espresso il loro parere. Il risultato è stato sintetizzato in una proposta che non ha né capo né coda. Riesce a scontentare tutti. Credo sia arrivato il momento di dire basta! E di dirlo tutto insieme con la stessa voce.

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