Conad. In fila per tre col resto di due?

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Nelle cooperative aderenti al Consorzio Conad è già tempo di consuntivi. I dati sono buoni. Ciascuna nel proprio perimetro sta raggiungendo i suoi obiettivi. Nella teorica competizione con Selex il Consorzio nazionale punta a riconfermarsi al primo posto. Di Conad mi è sempre piaciuta la concretezza, i valori cooperativi che la caratterizzano e la rendono simile ad altre realtà internazionali in cui ho avuto modo di lavorare.

Luca Panzavolta AD CIA Conad lo ha sintetizzato benissimo: “La cooperazione non è solo un modo di fare impresa, è uno stile di vita. È un modo di pensare che mette al centro la persona e la sua crescita, che valorizza il lavoro di squadra e la collaborazione. È un modello di sviluppo sostenibile che pone al centro il benessere dei soci, dei dipendenti, del territorio e dell’ambiente”. È una realtà che dovrebbe essere caratterizzata da  una diversità “genetica” rispetto a un multinazionale o ad una azienda privata.

Ascoltare, convincere, condividere, negoziare, ingaggiare sono prassi quotidiana. Pensare al futuro non solo dei singoli  imprenditori ma dell’intero sistema è un dovere collettivo che è alla base della logica cooperativistica e che la differenzia da altri modelli imprenditoriali. Per questo  sono perplesso quando sento parlare di maggioranze e minoranze contrapposte nel suo governo interno. Come se, operare a Milano, a Trento o a Palermo (per fare un esempio) costituisse di per sé elemento sufficiente per alimentare un infinito gioco delle parti che, più che al futuro del consorzio, mira a perpetuare l’eterno presente di chi lo governa. Soprattutto perché, il vero rischio è che ciascuna cooperativa  si abitui a fare a meno delle altre cooperative.  L’esatto contrario dello spirito costitutivo. Un passo indietro che condannerebbe Conad ad una “regressione cosmica” riproponendo uno schema dove i rapporti tra i soci diventano sempre meno coinvolgenti e sempre più formali.

Tempo fa avevo scritto: “È chiaro che la vera forza di un sistema policentrico, formato da più anime e da 5 grandi cooperative, qual’è Conad è solo nell’unità e nel gioco di squadra. Se viene meno emergono visioni e interessi differenti che rendono difficile il governo del Sistema. La ricerca di responsabilità altrui rischia di diventare la cifra del profilo e dei comportamenti di chi fatica a muoversi a quelle altitudini”. 

Francesco Pugliese se n’è andato ormai da un anno. Il nuovo Presidente, i 5 presidenti delle cooperative  e il Direttore Generale operativo guidano Conad con sicurezza. I risultati sono in linea con le aspettative. La gestione ordinaria, sia nelle singole cooperative, che il supporto della sede di Bologna  restano di ottimo livello. I problemi di Conad non sono certo nei numeri. Selex ne ha di altrettanto buoni e le altre centrali, pure. La differenza, tra i diversi modelli, di fatto, la  fanno solo le strategie di crescita.  Gli obiettivi di lungo periodo.  Ed è su questo che Conad faceva gara a sé sotto la gestione Pugliese.

Per quanto preparati a gestire il perimetro assegnato i leader delle cinque cooperative avevano ben compreso (chi più chi meno)  i propri limiti. Presidiare  qualche  miliardo di fatturato o salire oltre i  venti e più, pensando al futuro, non è la stessa cosa. Anche per questo motivo la strategia era stata, di fatto,  “appaltata” negli anni, a Francesco Pugliese che, pur interpretandola con una certa ruvidezza, garantiva un allineamento tra i risultati ottenuti dalle singole cooperative e quell’immagine  di compattezza e di visione del futuro necessari a trasformare una somma di numeri positivi in clima interno, senso di squadra, traguardi da raggiungere e forte proiezione esterna. La vicenda  Auchan ha rappresentato  la cartina di tornasole. Operazione complessa,  difficile sul piano sociale ed economico  ma necessaria  sul piano della crescita e della visibilità sul piano nazionale. Lontana però, sul piano politico,  dal perimetro  di competenza e di azione delle singole cooperative.

E, in quella operazione, come in tutti i casi complessi di M&A, oltre a chi condivide con convinzione, si manifestano  spesso leadership critiche interne che interpretano  in chiave pessimistica i passaggi più delicati e  che vivono con rancore la distanza con chi  cerca di realizzare l’obiettivo. Francesco Pugliese non era semplicemente il leader designato a cui le cooperative avevano affidato, negli anni,  il  pensiero strategico che loro non erano in grado di sostenere, e neppure il cosiddetto “signor Conad” della narrazione prevalente.  Pur cresciuto internamente, era sostanzialmente indipendente rispetto alle leadership policentriche del consorzio, lo definirei, se mi si passa l’iperbole,   un  asset vero e proprio che portava valore politico/isituzionale e pensiero strategico al Sistema  indipendentemente  da quello generato da Conad. Asset che con la sua uscita è andato disperso. Il testimone è quindi passato a Mauro Lusetti e Francesco Avanzini, figure di ottimo profilo però diverse da chi li ha preceduti.

È quindi compito di chi resta costruire un’altra realtà altrettanto performante sul piano  dell’insieme del  consorzio senza pretendere di paragonare o di giudicare chi è (solo) chiamato a mettere a terra  una strategia ma non a definirla. Capisco i cinque presidenti che hanno le loro cooperative, i loro imprenditori e il loro successo territoriale da tutelare con i risultati che indubbiamente ci sono. Così come la domanda legittima sul  perché dovrebbero alzare lo sguardo oltre i prossimi  dieci anni quando le cose vanno bene e molti degli stessi protagonisti di oggi non ci saranno nemmeno più.

Perché quindi preoccuparsi di un futuro così remoto? Perché “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” ci ricorda Seneca. La visione strategica serve a definire gli obiettivi e indirizzare le proprie energie. Ogni passo verso il raggiungimento della meta apporta fiducia, senso di comunità, voglia di impegno e di coinvolgimento personale. Ci si sente parte di un grande progetto. Avere obiettivi poco chiari di breve periodo, poco coinvolgenti per l’intera squadra rischia di far perdere la direzione di marcia, far calare l’entusiasmo e mettere gli uni contro gli altri alla ricerca di facili colpevoli, alle prime difficoltà. La differenza tra una centrale di acquisto pur importante e un’azienda unitaria  con i suoi confini definiti  è tutta qui.

Per una centrale di acquisto la tattica prevale inevitabilmente sulla strategia perché al suo interno possono convivere strategie differenti. Per un’impresa che vuole pensare unitariamente è il contrario. La strategia rappresenta la destinazione e la modalità con la quale si vuole raggiungere un punto, la tattica invece, descrive le azioni specifiche che bisogna compiere lungo la strada. Conad deve fare di necessità virtù. Alienato ormai da tempo  “l’asset Pugliese” deve abbandonare le guerre di retroguardia tra maggioranze e supposte minoranze, mettersi intorno ad un tavolo e avviare una profonda riflessione sul futuro del comparto e il  posizionamento auspicato. Altra cosa rispetto all’impegno dei soci per continuare ad assicurare la leadership sul piano dei conti. Soprattutto, andrebbero coinvolti i gli attori interni di quel futuro. A cominciare dagli imprenditori più giovani. Ed è su questo che si dovrebbe evidenziare la necessaria generosità di chi  governa le cooperative.

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