La decisione presa della multinazionale di lasciare il nostro Paese è il vero punto di partenza per comprendere a fondo l’intera vicenda Conad/Auchan ma anche per capire cosa si può concretamente fare.
Una volta assunta in modo irrevocabile occorreva, da parte dei francesi, individuare la modalità meno traumatica possibile. Per le conseguenze sul piano sociale, per l’immagine dell’azienda ma anche perché una decisione di quella portata avrebbe potuto infiammare ulteriormente i rapporti politici tra Italia e Francia costantemente tesi.
Stiamo comunque parlando del destino di diciottomila persone e di quello di una della più importanti aziende della Grande Distribuzione sia in Italia che in Francia. Non è un caso che, anche l’altra multinazionale francese della GDO, Carrefour, si è sempre mossa con estrema cautela nonostante le sue ripetute crisi di risultati e nella gestione dei propri esuberi. E vive oggi con evidente apprensione sia le cadute di stile del suo franchisee calabrese che comunica i licenziamenti con whatsapp che le magliette di pessimo gusto finite improvvidamente nei suoi store. Per storia, cultura e approccio Carrefour è tutt’altra cosa e non perde occasione, giustamente, per sottolinearlo. Ma lo fa con grande cautela.
Quindi per Auchan c’era una determinazione “senza se e senza ma” a lasciare il campo pur alla ricerca di una via di fuga sostenibile per la sua immagine pubblica. L’alternativa era altrettanto chiara. Impegnarsi in prima persona in uno “spezzatino” infinito dagli esiti incerti e che li avrebbe tenuti in ostaggio per lungo tempo o trovare un interlocutore a cui passare la mano rapidamente. Questo il dilemma che si è trovato sul tavolo Gérard Paul Louis Marie-Joseph Mulliez. Con Conad tra l’altro era in corso da tempo un pourparler per lo più di carattere informale mirante però ad accordi conclusivi su quella parte della rete di maggiore appetibilità per la realtà italiana.
L’interesse del finanziere Raffaele Mincione ad investire sugli asset immobiliari della grande distribuzione, la determinazione del gruppo dirigente delle cooperative del Consorzio e dell’AD di Conad di buttare il cuore oltre l’ostacolo e di concludere a tutti i costi l’operazione hanno determinato la chiusura del cerchio.
Dei tre livelli paralleli di questa vicenda (coinvolgimento e quindi responsabilità diretta di Auchan, cessione degli asset immobiliari, conseguenze sull’occupazione), i primi due, dal punto di vista dei francesi, sarebbero stati così risolti. Anche a costo di perderci comunque sul piano economico. Il terzo livello, altrettanto complesso era ed è rappresentato dalla partita occupazionale e dalle sue possibili ripercussioni.
Sottovalutata da Auchan per le conseguenze indirette ma non certo dai vertici di Conad che non sono degli sprovveduti né dei raider senza scrupoli resta comunque estremamente complessa da comporre.
Per questo l’intera operazione si raffigura come un vero e proprio salvataggio (come sostengo dall’inizio) e non una semplice operazione di acquisizione e ristrutturazione. Ci vuole tempo, collaborazione tra tutte le parti in campo (non solo sindacali) e condivisione della strumentazione necessaria. Che, per sua natura, deve essere nuova e adeguata al livello della sfida. C’è indubbiamente una dose notevole di rischio derivata dal contesto economico, sociale e politico poco rassicurante ma c’è, una forte volontà di mettersi in gioco per costruire una grande azienda italiana.
L’inizio di questa partita, sul piano sociale e della comunicazione non è stato dei migliori. Spinto ad interpretare un ruolo tradizionale il sindacato confederale si è attardato sulle modalità dei trasferimenti perdendo così di vista l’intero percorso. Ha purtroppo scambiato il dito con la luna.
Dall’altra parte i rappresentanti dell’azienda con le loro eccessive rigidità non sono riusciti a convincere il sindacato della volontà di BDC e di Conad di poter operare correttamente e di non voler affatto escludere i rappresentanti dei lavoratori pur dovendo agire con la rapidità e la risolutezza necessaria nella prima parte di questa operazione. Tra l’altro i primi timidi segnali sono lì a dimostrare, non a parole ma nei fatti, che la stragrande maggioranza dei punti vendita ex Auchan possono essere recuperati.
Scambiarsi accuse in questa fase non serve a nulla. Occorre riprendere il filo spezzato per evitare che un’operazione complessa degeneri in un già visto proprio quando, al contrario, servirebbe un passo in avanti. Non è vero come sostengono frettolosamente alcuni osservatori che questa operazione può solo concludersi con un dramma sociale e con i relativi costi scaricati esclusivamente sulla collettività. Chi lo sostiene insiste nel vedere il bicchiere mezzo vuoto.
C’è un piano industriale da verificare, quindi il futuro degli ipermercati, c’è un lavoro da fare nei confronti dei partner interessati a PDV della rete ex Auchan, c’è la necessità di verificare che nessuno di questi speculi ai danni delle soluzioni possibili e che le stesse BDC-Conad comprendano che nel valore delle transazioni, verso terzi interessati, l’eventuale disponibilità a concorrere alla soluzione dell’aspetto sociale complessivo può e deve rappresentare un plus da considerare. C’è indubbiamente la necessità di gettare le basi per un futuro confronto costruttivo e continuo tra le parti. E c’è, infine, l’impegno al ricollocamento esterno di chi non può essere compreso in questa operazione che va pensato, progettato e costruito. Soprattutto per le sedi, i suoi addetti, i quadri e i dirigenti.
Tutto questo necessita tempo, coinvolgimento e visione complessiva dell’operazione. Anche da parte del MISE. Se l’azienda sarà lasciata sola farà quello che la legge e i contratti le permetteranno. Scommetterà esclusivamente su di sé e non sul negoziato o sull’affidabilità dell’interlocutore. Come è già avvenuto peraltro con i trasferimenti.
Se al contrario il sindacato riuscirà a posizionarsi proattivamente io credo che anche alcuni argomenti ritenuti importanti dal loro punto di vista potranno essere ripresi nel percorso. Per come è messo oggi il MISE, l’idea di andarci limitandosi a indicare problemi, protestare e lanciare accuse reciproche senza convergere su soluzioni praticabili per entrambi la considererei una grave ingenuità.
Delle tre sfide parallele alla base di questa operazione quella che riguarda il numero delle persone coinvolte è certamente la più complessa. Ma anche quella che può dimostrare, il livello, l’importanza e l’utilità di un negoziato che, al dunque, sa individuare le vere priorità e convergere su soluzioni praticabili.
E’ vero che Lei sta insistendo da tempo sulle soluzioni “alternative” per chi rimarrà fuori da questa “assurda vicenda” , ma, mi perdoni, non riesco a capire perchè i sindacati non affrontano in modo chiaro e diretto le soluzioni possibili per tutti noi: A) Conad si impegni a procedere soltanto ad esodi su base vontaria; B) si impegni a gestire la rimodulazione della distribuzione del personale nella rete integrata, lì dove occorre, a livello di aree territoriali riferite alle Cooperative associate e non approfittando del frazionamento dei singoli imprenditori locali.
C) impegni a riqualificare professionalmente i dipendenti Auchan che non hanno posizioni omologhe nella rete Conad per l’acquisizione di professionalità utilizzabili. D) Si impegni a mantenere – almeno per un congruo periodo – una sede a Milano con funzioni di supporto a quella di Bologna ed a quelle delle Cooperative, riducendo il numero degli addetti solo con i criteri indicati (esodi volontari e redistribuzione sul territorio su base volontaria supportata ed incentivata), rinunciando ad acconsentire a pericolose speculazioni immobiliari del socio. Se Lei ha già sperimentato queste strade, perchè allora nessuno ascolta il nostro grido di disperazione???
Capisco il suo punto di vista ma, a mio parere, non è praticabile. Gli esodi su base volontaria sono utili ma non risolvono il problema. Anzi. Sostengono economicamente chi è in grado di trovare da solo un’occupazione togliendo risorse a chi non lo è. Comunque li faranno. Le soluzioni interne sono fondamentali ma non saranno comunque sufficienti. Sul resto fatti i trasferimenti dei 109 restano quelli che passeranno con i terzi interessati ad acquisire filiali. Io qui insisterei su queste aziende affinché assumano qualche quadro di sede e su Conad perché più che guadagnare sulle cessioni pretenda il maggior numero possibile di occupati anche di sede. Poi ci sono gli Iper. La sede di Milano chiuderà. Personalmente punterei su Milano pur in forma ridotta perché può essere una soluzione che guarda al futuro. È però molto difficile. Il ricollocamento esterno resta fondamentale. Verso le altre aziende della GDO innanzitutto. Con sgravi e agevolazioni mirate. Si può fare. È un’operazione complessa ma non impossibile. Ad oggi non vedo però ancora la volontà di tutti di occuparsi seriamente delle soluzioni praticabili.