Purtroppo le aziende della Grande Distribuzione non sono simili al calcio. Non basta cambiare la proprietà o l’allenatore per avere immediatamente una svolta. L’ex Auchan oggi BDC (51% Conad 49% il finanziere Raffaele Mincione) nei mesi di Luglio e Agosto conferma il calo delle vendite.
Sono ripresi gli incontri con le OOSS e il quadro sembra delinearsi con ancora maggiore chiarezza. La posta in gioco resta altissima e perdere tempo non credo giovi a nessuno. Il sindacato di categoria si trova di fronte ad un nodo gordiano che però dovrà sciogliere, in un modo o nell’altro, in tempi ragionevolmente brevi.
Da una parte del tavolo un’azienda o meglio un insieme di imprenditori che, forte dei risultati ottenuti fino ad ora nel loro lavoro, stanno gettando il cuore oltre l’ostacolo in un’operazione sicuramente al limite delle capacità gestionali per chiunque. Dall’altra, un sindacato di categoria che non si è mai misurato con quella che, allo stato, resta una scommessa su cui si gioca la credibilità e il prestigio fatti dal numero di persone coinvolte, dalle problematiche organizzative, costistiche e gestionali all’interno di un’operazione che vede una multinazionale, la sua cultura e tutto ciò che ha costruito nei suoi trent’anni di permanenza nel nostro Paese essere messi in discussione in pochi mesi.
C’è sicuramente la consapevolezza della gravità della situazione ma il riposizionamento comporta passi concreti e inevitabili anche sul costo del lavoro quindi sul livello degli organici, sulle loro condizioni contrattuali e sulle modalità di impiego. Operazione indispensabile ma non sufficiente senza un analogo intervento sui fornitori, sugli affitti e sui tempi di integrazione tra le reti. La necessità di operare in questa direzione mette, per il momento, in secondo piano altri interventi altrettanto necessari sulla sede e sulle altre strutture collegate. L’urgenza, come è naturale, è concentrata sulla rete.
Per chi vuole capirlo i messaggi filtrati negli incontri credo siano stati molto chiari; mettere in sicurezza la parte sana, procedere con interventi mirati sulla parte che rischia il contagio negativo, costruire un piano di medio periodo sulla parte più compromessa per riportarla, in tutto o in parte, in sicurezza. Sullo sfondo le decisioni dell’antitrust che potrebbero portare anche a parziali ridisegni locali che rendono necessario procrastinare alcuni interventi.
Credo sia interesse anche del sindacato procedere all’interno di un quadro di riferimento generale. A mio modesto parere l’approdo finale di un’operazione di questa portata dovrebbe essere l’uscita da tutta la contrattazione in essere (nazionale e aziendale) di entrambe le realtà puntando decisamente ad un contratto nazionale/ aziendale ex novo, esclusivo di Conad, che risponda alle esigenze e alle specificità di un grande gruppo nazionale.
La presenza di più contratti nazionali (Confcommercio, Federdistribuzione, Confesercenti, Coop) e la stessa contrattazione aziendale Auchan sono fonte di contraddizioni che potrebbero essere superate solo facendo un deciso passo in avanti. Le grandi imprese, nel quadro del dibattito che si aprirà sul salario minimo e sul futuro dei modelli contrattuali, dovrebbero avere la possibilità di ridisegnare, intorno alle proprie esigenze, un rapporto di lavoro più moderno dove l’impegno personale, la realizzazione degli obiettivi di business, i livelli di collaborazione, le tutele e nuovi modelli di welfare consentano di superare la vecchia cultura fordista, tipici dei contratti nazionali e aziendali oggi in essere..
L’alternativa, purtroppo, è già scritta. E lo posso dire con cognizione di causa visto che, nel 2003, esattamente sedici anni fa, ho dovuto procedere alla soppressione del contratto aziendale Standa per l’impossibilità di addivenire ad un accordo di modifica delle condizioni pregresse. Oggi i tempi potrebbero essere maturi per costruire un percorso virtuoso, senza aggravio di costi se non legati alla realizzazione di obiettivi certi e condivisi.
Il sindacato ha davanti a sé un bivio. In passato si è spesso accontentato di considerare come una vittoria aver impedito o rallentato le determinazioni aziendali. Se scegliesse, in questa vicenda, di comportarsi in modo analogo si rinchiuderebbe in un angolo da cui difficilmente potrà uscirne. Altra cosa è affrontare la partita in campo aperto. I problemi ci sono, le alternative, purtroppo no.
Occorre saper declinare con consapevolezza e determinazione all’interno di un percorso che preveda cosa fare subito, come gestire al meglio le inevitabili contraddizioni, cosa fare per chi dovrà lasciare l’azienda ma anche le possibili contropartite future. La vecchia Auchan con la sua cultura, i suoi tempi e le sue contraddizioni non esiste più. Ha lasciato il campo ad un’altra storia. Tutta da scrivere. Possibilmente insieme.
Caro dott. Sassi, vorrei proporle una riflessione e farle una domanda.
Se è vero che il successo del sistema Conad è determinato dalla bontà delle scelte gestionali nel commercio ( abilità nella cura della territorialità, capillarità della presenza, equilibrio nell’offerta, attenzione maniacale ad ogni particolare, elevato livello di motivazione dei dipendenti, ecc.) allora quale è la necessità di modificare la titolarità giuridica di chi gestisce le varie tipologie di esercizi commerciali? Non si tratterebbe comunque di un dato neutro? visto che anche il soggetto unico Auchan ( o la nuova denominazione che assumerà) sarebbe rigorosamente vincolato all’applicazione di tutte le nuove modalità di gestione e di organizzazione decise dalla proprietà? Perché mi pare più che sufficientemente chiaro che nella galassia Conad non siano i tremila e passa imprenditori “ autonomi” a decidere, ma uno solo; sicché l’autonomia giuridica ( non imprenditoriale) dei singoli soggetti costituisce soltanto la soluzione fin troppo scoperta per abbattere i rischi di qualche ramo che produca poco.
Lei apprezza il lavoro delle OO.SS. nella vertenza.
Io mi chiedo come facciano a non capire ancora che questa mitragliata di cessioni e ricessioni contestuali (tutte decise da un unico soggetto cedente che individua ed “assegna”, avendo ovviamente già indivfiduarto tutti i cessionari “obbligati” ad accettare), se non compromette (ancora) i livelli occupazionali oggi, li espone allo sbaraglio domani, quando le cessioni e le sub cessioni si saranno realizzate, cioè in un momento in cui mentre al centro decideranno con quanti dipendenti lavorare in ogni singolo esercizio, gli imprenditori che li gestiranno potranno procedere a tagli del personale in maniera molto più semplice e senza alcuna garanzia di comparazione.
Perché Lei, così esperto sindacalmente e giuridicamente, non trova il coraggio di affrontare chiaramente la questione anche sotto questo punto di vista?
Conad ha un modello preciso. È suo diritto riproporlo. Non è vero che a decidere è uno solo. I singoli imprenditori concorrono alle decisioni nelle loro cooperative. E non credo che Francesco Pugliese possa decidere alcunché in solitudine. Sui livelli occupazionali. Conad non ha acquistato Auchan. Ha acquistato 256 punti vendita. Quindi esistono 2 aspetti. Il primo riguarda chi non farà parte di questa operazione. Per loro sarà necessario un piano sociale di ricollocamento attraverso l’Anpal. Il secondo riguarderà il personale trasferito. La mia proposta è di impostare un contratto nazionale Conad sull’esempio di FCA e uscire dal CCNL. Così da tutelarne inserimento e condizioni. Nelle filiali taglieranno il personale? Si se sarà ridondante o inefficiente. Altrimenti, no. Come in tutte le acquisizioni. Ne ho già parlato a lungo.