Conad/Auchan. Illusioni e realtà…

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Sulla proclamazione dello sciopero e della manifestazione in piazza Duomo a Milano  di Filcams Cgil e UILTuCS Uil e della conseguente dissociazione della Fisascat CISL lombarda  ho scritto un pezzo che ha mosso una discussione interessante sulla quale voglio tornare.

Sembra impossibile nel 2019 ma, secondo alcuni commentatori, il dissenso tra sigle sindacali e quindi  le ragioni che lo hanno determinato non dovrebbero essere argomento di discussione pubblica. Esaspererebbe gli animi. Quindi la responsabilità sarebbe di chi ne parla. Non di chi decide di dissociarsi ma forse preferirebbe farlo sotto traccia  sperando che la notizia non diventi di pubblico dominio.

Nel complesso dei riti e delle liturgie del 900 l’idea che “i panni sporchi si  lavano in casa” aveva un posto preminente. Oggi non è più così. Cosa sta succedendo, allora? C’è molto probabilmente chi, nel Sindacato, vorrebbe chiudere questo negoziato prima che la situazione degeneri e chi attende improbabili interventi risolutori esterni.

Adesso c’è chi insegue il feticcio del MISE. L’idea che un organismo evaporato nella sua autorevolezza grazie a precise responsabilità politiche come scrive l’ottimo Dario Di Vico (http://bit.ly/2YkLXck) possa “chiudere in una stanza” le due parti e imporre una soluzione che sgravi i rappresentanti dei lavoratori dalla responsabilità della firma e costringa l’azienda a più miti consigli  è affascinante quanto ingenua.

La mitica task force di Giampiero Castano al MISE è stata pensionata da Luigi Di Maio e, per il momento, non sostituta. C’è da sperare che i rappresentanti di Conad e quelli dei lavoratori stiano lavorando, loro si, sotto traccia per impostare un percorso credibile altrimenti quell’incontro al MISE  il 16 dicembre sarà un inutile perdita di tempo. I nodi da sciogliere sono ancora molti.

Per questo che, a mio parere,  la manifestazione è facilmente leggibile come una forzatura che sottende tattiche e strategie negoziali diverse. Per capire dove si sta andando a parare bisogna rileggersi bene l’accordo fatto dai consulenti BDC con il sindacato UGL. Capisco che l’accostamento irriti i puristi ma è da quel canovaccio  che occorre partire.

I limiti contenuti  erano però evidenti. Bastava leggerlo. Mancavano i numeri di riferimento per ciascuna soluzione individuata che il nuovo accordo dovrebbe, al contrario, prevedere. Su questo il ruolo e il peso dei diversi operatori commerciali interessati ad acquisire punti vendita  sarà fondamentale. Anche se il loro contributo potrà essere individuato solo dal momento in cui si inseriscono concretamente nell’operazione. Quindi su questo punto dovrebbe essere previsto un sistema di monitoraggio che accompagni l’inevitabile parte della rete coinvolta dallo “spezzatino” nel rispetto di quanto concordato. Così come dovrebbe essere previsto un sistema di monitoraggio e di accompagnamento nel sistema Conad per evitare inutili forzature locali.

Fatto questo, resta il punto fondamentale. I 3105 e le loro possibili destinazioni interne o esterne al sistema Conad. Se si analizza il turn over di un gruppo di oltre cinquantamila persone si dovrà convenire che il cuore del problema esuberi è rappresentato sostanzialmente dalle sedi, da qualche IPER  o da zone specifiche di sovrapposizione. Lì vanno concentrati gli sforzi. Sia di sostegno economico che di tempistica di ricollocamento. Magari creando dei serbatoi di rimpiazzo a disposizione che non lascino nessuno per strada. 

La rivisitazione di qualche istituto contrattuale, contraddittorio in tempi di crisi, potrebbe aiutare questa operazione consentendo addirittura una rilettura intelligente e negoziata all’art. 24 del CCNL distribuzione moderna.

Spero che le rigidità che hanno accompagnato questo negoziato non abbiano prodotto inutili muri di incomunicabilità così come posso comprendere che l’impatto sul numero degli iscritti alle organizzazioni sindacali sarà comunque rilevante e quindi non indolore. L’accordo è però, a mio parere, a portata di mano. Su questo condivido l’auspicio. Un accordo prima di Natale  chiuderebbe una fase e ne aprirebbe un’altra all’insegna della collaborazione. Credo sia auspicabile da tutti.

Una chiosa finale su di una simpatica battuta che mi ha rivolto su Twitter Emanuele Scarci, un ottimo giornalista, punto di riferimento per chi vuole seguire l’intera filiera, con cui mi trovo spesso a confrontarmi su questa vicenda pur con idee differenti.

Scrive Emanuele facendo riferimento ad un mio tweet “A questa soluzione che prospetti non si arriva bacchettando tutti prima di metterli in fila. Azienda e sindacati (piacciano o no, storia riti e procedure) hanno la loro ragion d’essere. E sono condannati a trovare 1 accordo equo.” Questo è il punto. Quel mondo non c’è più. I rapporti di forza nella GDO, ma non solo, si sono ribaltati. E lo dico con preoccupazione perché se questa situazione  non innesca un cambiamento di strategia sindacale il declino e l’irrilevanza saranno inarrestabili. Personalmente ho auspicato fin dall’inizio che la vicenda Conad potesse rappresentare  un buon terreno di sperimentazione. E continuo a sperarlo. 

Questo è un Paese dove se in vertenze complesse nessuno si prende la responsabilità di mettere continuamente le parti di fronte alle loro responsabilità quindi di “bacchettare e mettere in fila” i problemi è destinato ad essere  sommerso dalle chiacchiere di parte e dalla non volontà di decidere. E dalle inevitabili forzature della parte più forte in campo. Questo è il dramma vero.

Se non ci fosse in campo Conad e fosse possibile ipotizzare una situazione alla “sliding doors” nella realtà, i lavoratori di Auchan si troverebbero oggi nella situazione di migliaia di aziende alla ricerca di un compratore qualsiasi costretti ad accettare ben altri sacrifici e in coda per farsi ascoltare da istituzioni locali e centrali. Fortunatamente non è così. Almeno fino ad oggi. La partita è ancora aperta.

Conad non è una Onlus e Pugliese fa solo di nome Francesco. Giusto ricordar loro ogni giorno le responsabilità e gli obblighi morali sottesi in questa operazione. Io su questo non mi tiro indietro. Ma l’opportunità di creare un grande gruppo italiano sulle ceneri di una ritirata disordinata della multinazionale francese, senza pesanti conseguenze occupazionali è a portata di mano. Una parte del sindacato sembra lo abbia capito benissimo. Un’altra, a mio parere, un po’ meno. 

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