Conad/Auchan. La buona notizia è che il negoziato prosegue pur tra necessità di innovare i contenuti e legittime preoccupazioni.

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Gli incontri per trovare un accordo nella complessa vicenda Conad/Auchan procedono ad un ritmo serrato a testimonianza che l’obiettivo è raggiungere un’intesa equilibrata. Così come procede il dibattito in rete e sui media sulle preoccupazioni delle persone coinvolte, gli sbocchi occupazionali possibili e il futuro di quello che è stato uno dei gruppi più importanti della GDO.

La responsabilità che si deve assumere il sindacato di categoria è decisiva. Da qui le mie riflessioni sulla capacità o meno di comprensione di un’operazione di queste dimensioni. Emanuele Scarci, giornalista e grande esperto del settore ha giustamente sottolineato i meriti di Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs UIL nell‘aver  saputo accompagnare l’evoluzione e il declino dell’intero  settore e quindi l’ineluttabilità dell’accordo finale, anche in un caso così complesso e diverso da tutti gli altri come quello sul quale ci stiamo confrontando.

È vero, nel sindacato di categoria sono passati dirigenti di grande livello che hanno affrontato la crescita e l’innovazione organizzativa con grande professionalità e disponibilità. Questo resta un settore dove gli accordi sulle partenze dei nuovi punti vendita, sui sistemi degli orari, sulle aperture e sul welfare contrattuale hanno fatto scuola.

Nella vicenda Conad/Auchan ci sono però degli elementi di discontinuità che se non compresi determinano una semplice reazione pavloviana che potrebbe far ritenere un’operazione dalle caratteristiche completamente diverse dal passato una semplice ristrutturazione/riorganizzazione aziendale a seguito di un normalissima acquisizione. Innanzitutto la resa della grande multinazionale francese e la conseguente (s)vendita di Auchan Italia.

Per i francesi, maestri non solo a casa loro, non c’era più nulla da fare. Qualsiasi progetto di rilancio si sarebbe rivelato inutile e presto si sarebbero trovati con diciottomila occupati da gestire in una situazione pressoché disastrosa sul piano sociale. La portaerei era alla deriva in mezzo al mare con i motori spenti e tutte le armi spuntate. E scialuppe disponibili, al massimo, per meno di un terzo di chi era a bordo.

Se non si parte da qui si rischia solo di prolungare un’agonia estendendo l’infezione, e questo sarebbe gravissimo, anche a parti Conad oggi relativamente sane. Inutile girarci intorno. Ogni analisi e ogni terapia individuata non può non considerare questo punto di partenza. Invito chi ha dubbi a girare per alcune filiali di Milano per rendersi conto del crollo dei clienti e delle conseguenti preoccupazioni del personale addetto.

Conad, da parte sua, ha colto l’opportunità che gli si è parata davanti. C’è un vecchio proverbio arabo che recita: “tra morto e morto e sepolto c’è un’enorme differenza”. Credo sia questo il saggio punto di partenza. Non è una sfida per tutti. Il gruppo dirigente di Conad si è assunto una grande responsabilità. Sempre Emanuele Scarci ha sottolineato: “Concordo che l’impresa di Conad sia ciclopica. E lo stesso management, che questa operazione l’ha voluta, rischia grosso”. Era facile individuarne i limiti complessivi. E credo che molti imprenditori associati li hanno sicuramente sottolineati. Ma chi ha individuato le potenzialità e i punti forti ha vinto. E la scelta, alla fine, è stata condivisa da tutti.

Conad non ha comprato la fontana di Trevi da un modesto “tricheur” d’oltre confine. Ha deciso di crescere e di misurarsi al massimo delle sue possibilità. L’entusiasmo, la determinazione e la convinzione che ho registrato mi hanno convinto che, se tutti faranno la loro parte, l’impresa è realizzabile e cambierà profondamente gli assetti del comparto, i rapporti nella filiera agroindustriale italiana e quindi è un’operazione anche nell’interesse del Paese.

Questa determinazione necessita uno sforzo congiunto che porti a mettere sotto controllo i costi (affitti, prodotti e lavoro), che costruisca un clima di collaborazione tra le due realtà e che consenta al piano industriale il tempo necessario alla sua implementazione.

Per il sindacato dovrebbe essere centrale la salvaguardia dell’occupazione. Non altro. Proprio perché questa operazione non è assimilabile alle tradizionali ristrutturazioni con cui si è misurato fino ad ora. E l’occupazione si salvaguardia mettendo sotto controllo i costi, allineando Auchan a Conad e non viceversa e  costruendo, insieme, un progetto di politiche attive con il supporto dell’Anpal e del Ministero del Lavoro. Soprattutto se parliamo di professionalità presenti nelle sedi.

Occorre riflettere sugli incentivi, che non possono essere a pioggia, quindi sulla loro destinazione, su come metterli a disposizione di chi si impegna ad assumere e non semplicemente di chi si dimette, sulla formazione necessaria e su come coinvolgere con una norma specifica, l’intero settore, creando un serbatoio di professionalità disponibili a costi competitivi per le imprese che si dichiarassero disponibili ad ingaggiare gli esuberi e che potrebbe essere allargata all’intero comparto della GDO.

E questa operazione potrebbe essere finanziata dai residui degli ammortizzatori, dai fondi interprofessionali ma anche dall’azienda che ha lasciato e da quella che è subentrata. E. In un secondo tempo allargata all’intera GDO proprio per gestire le crisi di formato del settore. Certo occorre innovare strumenti e comportamenti. Non certo temere le proteste della pseudo concorrenza sindacale.

Un aneddoto per  comprendere la logica. Nel 2004 mi sono trovato a dover gestire l’acquisizione di un ipermercato nel Sud che non aveva nessuna prospettiva. Furono i sindacati territoriali  di categoria a propormi una scommessa. Le persone erano in CIGS quindi a stipendio ridotto. Ci confrontammo e, alla fine, firmammo un accordo che ne avrebbe garantito l’assunzione al 5 livello del CCNL rimandando a tempi migliori un confronto sull’inquadramento possibile. Ma più di cento persone ebbero, da subito, l’opportunità di rimettersi in gioco. Di lasciare l’inattività della CIGS e di riprendere a lavorare.

Anche nell’operazione Auchan/Conad oggi in discussione occorre responsabilità, capacità di innovare gli strumenti contrattuali e lungimiranza. Non basta cercare di prendere tempo, sperare negli esodi volontari, provare a mantenere le condizioni economiche di partenza, infilare più persone possibili nelle realtà che acquisiscono i punti vendita.

Bisogna saper sfidare l’azienda sull’importanza che tutti, debbano e possano trovare un’ occupazione dentro o fuori il perimetro di riferimento. Questo è il salto di qualità richiesto a quel tavolo.

E sono queste le responsabilità e le professionalità che andrebbero pretese dai negoziatori.

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