Sono sempre stato convinto del ruolo centrale che il sindacato di categoria potesse e dovesse assumere nella gestione di questa complessa vicenda anche quando mi sono permesso di avanzare critiche per come una parte dello stesso aveva deciso di posizionarsi al suo inizio.
Ho avuto fin da subito l’impressione che si sottovalutasse il mondo Conad, la sua forza intrinseca, l’alleato con cui quest’ultima aveva deciso di affrontare la partita e quindi la determinazione ad andare fino in fondo in questa operazione pur decidendo di assumersi grandi rischi. Ma anche che si considerasse il modello organizzativo e di business più un residuo del passato da superare che non il destino stesso di buona parte della GDO vincente fatta anche di piccoli associati, franchising, cooperative e non solo di grandi imprese tradizionali.
Modelli che bilanciano diversamente diritti e doveri, che distribuiscono diversamente i rischi di impresa e che imporrebbero strategie sindacali tese a tutelare il lavoro più che il posto di lavoro prodotto dalla vecchia cultura fordista. I miei suggerimenti (per quanto poco ascoltati e vissuti spesso come ostili) tendevano ad indicare ai rappresentanti dei lavoratori il rischio di non essere sufficientemente attrezzati per percorrere una vicenda che si presentava completamente diversa dal passato.
E che, percorrerla, avrebbe imposto cambiamenti difficili da accettare. L’esperienza stessa dei rinnovi contrattuali nazionali e delle ristrutturazioni aziendali in corso, tutti all’insegna della riduzione del costo del lavoro, avrebbero dovuto far pensare che, in un caso come quello della multinazionale francese in disarmo, la storia si sarebbe ripresentata moltiplicata nella sua drammaticità.
La stessa sorpresa, però, l’ho avuta da una parte del management interno che ha rimosso troppo rapidamente le ragioni profonde che hanno spinto Auchan ad andarsene lasciando sul campo trent’anni di attività in Italia spaventati così tanto dal futuro che li avrebbe attesi da spingerli a cedere (mi si passi la forzatura) con la formula “vista e piaciuta” agli unici interlocutori individuati che le consentissero di non restare imbrigliata in uno spezzatino impraticabile per una multinazionale in fuga.
Conad, da parte sua, non si è fatta certo sfuggire l’opportunità di crescere. Possiamo discutere la difficoltà della sfida, la volontà o meno di arrivare fino in fondo, la sottovalutazione delle conseguenze e financo la spregiudicatezza della compagine messa in piedi non certo la visione e la determinazione messa in campo.
Gestire le conseguenze che hanno spinto Auchan a sottrarsi dalle sue responsabilità è però altrettanto complesso. In parte perché la realtà si è dimostrata molto più drammatica di quanto era apparso in un primo momento, in parte perché tra strumentalizzazioni per interessi personali di una parte del management e verità che stentano ad emergere è difficile comporre un quadro chiaro e decifrabile.
L’incontro del 15 novembre dovrebbe aver messo sul tavolo buona parte dei tasselli mancanti. O almeno questa è la speranza di chi, come me, si augura una composizione positiva.
Raggiunto l’accordo di uscita con i dirigenti, quantificati i passaggi dei PDV nella rete Conad, ipotizzati i numeri delle persone che seguiranno gli accordi con gli operatori commerciali individuati, restano, come era evidente, l’aleatorietà ancora presente sulle soluzioni per gli esuberi da gestire.
Purtroppo la variabile relativa al costo del lavoro che in questi casi tende puntualmente ad aggravarsi e ad aggiungere problemi al contesto non lascia grandi margini di manovra per le soluzioni individuate. L’impegno ad una soluzione complessiva non deve però venire meno.
La stessa richiesta di BDC/Conad dell’attivazione dell’art. 24 del CCNL della Distribuzione Moderna va letta in questa direzione. Anche su questo il sindacato è di fronte ad un bivio. Fermarsi a discutere della correttezza formale della richiesta e quindi discettare sulla praticabilità della sua attivazione o, tenendo sempre come stella polare la soluzione per gli esuberi, affrontare con risolutezza il tema anche perché il costo del lavoro delle soluzioni sia nell’universo Conad che altrove e il numero degli esuberi da ricollocare sono due facce della stessa medaglia.
Quando mi sono permesso di suggerire, poco dopo l’annuncio dell’operazione, che un approccio innovativo anche sul costo del lavoro e sull’idea di un nuovo CIA Conad avrebbe potuto cambiare corso all’intera vicenda avevo in mente proprio un’evoluzione dell’art. 24 del CCNL. I rinnovi dei contratti nazionali sono alle porte. Accettare un passo indietro per poterne fare uno in avanti appena rimessa in carreggiata la nuova realtà potrebbe essere una scelta da valutare concretamente.
È evidentemente un percorso complesso e forse fuori dalla libertà dei negoziatori di entrambe le parti. Respingere per principio questa ipotesi di lavoro significa però rassegnarsi ad un impasse fatta di accuse reciproche, risentimenti e incomprensioni.
Se si rinuncia all’unica leva che (forse) potrebbe spingere Conad ad accettare di misurarsi con l’interlocutore sindacale il gioco rimarrà saldamente in mano ai consulenti e agli avvocati espressione della doppia proprietà in campo in questa operazione. Interlocutori non certamente di primo pelo e tecnicamente preparati abituati però solo a vincere o a perdere. Non a mediare con i sindacati (questo resta un compito tipico di una efficace Direzione Risorse Umane). Il loro compito era ed è chiudere la partita nei modi e nei tempi programmati valutando solo le conseguenze della tenuta legale ed economica dell’operazione. Non gli impatti sociali.
Se ci si rassegna a questa deriva la vicenda cambierà bruscamente segno. Si trasformerà in un “prendere o lasciare” dalle conseguenze imprevedibili. Non solo per il sindacato.
Mario soprattutto la conclusione, gli avvocati…., non mi sembra una bella soluzione e infatti al tavolo ce n’erano addirittura due. Io spero in un ripensamento sia di Pugliese sia dei presidenti delle cooperative per una soluzione più morbida è vicina al loro posizionamento, che non può essere solo una trovata di marketing. Sperem.
Condivido. C’è il rischio che la vicenda prenda un’altra piega E diventi ingestibile. Manca una valutazione politica dello stato della trattativa che non è affatto compromessa. E quindi manca la mediazione di Conad. Credo che sottovalutino la debolezza del sindacato. A mio parere un errore. I consulenti e gli avvocati possono pensare di stravincere ma Conad rischia molto. Condivido il tuo “Sperem”….
Sperem…. in Conad
Parole giustissime Luigi Rubinelli. Spero che Conad nella persona di Pugliese faccia anche lui un passo in avanti per chiudere al meglio questa gestione. Ci piacerebbe avere un futuro o almeno pensare di essere valutati per averlo. Ad oggi le persone di sede non hanno avuto incontri con nessuno. E la preoccupazione abbinata all’abbandono è cosa difficile da gestire.
Questa vicenda Auchan, per numeri e impatto nel tessuto sociale del nostro Paese non ha nulla di diverso da quella dell’Ilva. Al commercio però si riserva poco spazio mediatico e si da quasi nullo peso politico. Invece la grande crisi del commercio in Italia coinvolge grandi e piccole imprese, ridisegna spazi urbani, manda in fumo prospettive che sembrava scritte nel marmo. Le “parti sociali” devono fare di più per fare comprendere che le crisi dell’economia oggi sono da affrontare anche con nuove forme di flessibilità, ricollocazione e (ma qualcuno mi vorrà male per questo) rappresentanza sindacale
Condivido la considerazione di un comparto ritenuto ancillare rispetto ad altri. Non è giusto ma purtroppo è così. La diversità rispetto all’ILVA è però notevole. L’impatto sulla città, sul mezzogiorno, sul PIL e sull’intero settore industriale è diverso. l’impatto occupazionale, pur rilevante, nel caso Auchan/Conad verrà assorbito diversamente. L’unica cosa che li accomuna è l’impatto sulle singole persone e sulla loro necessità di ricostruirsi un percorso professionale che è, purtroppo, lo stesso.