In una vertenza sindacale l’elemento fondamentale è il suo risultato. Per realizzarlo le parti in campo, pur rappresentando interessi diversi, sanno che, prima o poi, è necessario trovare una sintesi. Il rapporto di forza tra di loro è generalmente asimmetrico quindi la parte più debole ricorre a tutto ciò che può (mobilitazione, comunicazione esterna e ricerca di solidarietà politica e istituzionale) per aumentare il proprio potere contrattuale e provare così a condizionare il risultato finale.
Ovviamente la dimensione del problema e il coinvolgimento di più complessi interessi in campo fa la differenza tra situazioni che coinvolgono più o meno la stessa quantità di persone ma che restano sostanzialmente diverse. In epoca di disintermediazione occorre infine considerare anche l’interesse della politica nazionale e locale di scendere in campo per marcare una presenza sul tema o per strumentalizzarne i contenuti. O per dispensare solidarietà con documenti che lasciano il tempo che trovano.
Per chi conduce il negoziato tutto questo conta poco. Per le persone coinvolte resta un segnale di attenzione. Tutti vorrebbero rimediare all’asimmetria delle forze in campo alzando il tono della vis polemica, cercando di catturare l’attenzione dei media, delle istituzioni e della politica non essendo più in grado di reggere mobilitazioni di stampo tradizionale.
La vicenda Conad/Auchan ha una caratteristica che la rende unica. C’è un’azienda che a differenza di Arcelor/Mittal non ha minacciato di andarsene ma se ne è già andata (Auchan) lasciando diciottomila lavoratori a terra, c’è un’altra azienda che sta subentrando (Conad) compatibilmente con le sovrapposizioni con la sua rete e con le decisioni dell’antitrust per i quali è comunque alla ricerca di altri soggetti interessati.
Dall’altra parte ci sono i lavoratori coinvolti che non hanno alcuna responsabilità nella fuga della loro ex azienda francese e cercano di ricostruirsi, attraverso le organizzazioni sindacali, una possibile quanto necessaria prospettiva di lavoro. L’anomalia è che per risolvere questa situazione occorrerebbe che Conad e i sindacati si comportassero da alleati e non da semplici controparti.
Pur con interessi economici e motivazioni diverse, devono risolvere il problema lasciato da Auchan: inglobare nella rete Conad il massimo possibile, coinvolgere terzi interessati ad acquisire punti vendita, rilanciare gli ipermercati ristrutturandoli e trovando soluzioni lavorative esterne per chi non potrà salire a bordo. Soprattutto nelle sedi. Ben altra cosa rispetto ad Arcelor/Mittal o Alitalia dove le soluzioni sono, per complessità e dimensione, interamente sulle spalle della collettività.
Conad, lanciandosi in questa operazione sa che verrà valutata e pesata sull’impegno che metterà in campo per risolvere anche il problema occupazionale a 360°. Non tanto per le strumentalizzazioni sul claim. Quelle lasciano il tempo che trovano. Quanto sul risultato finale e quindi su come verrà realizzata l’intera operazione. Lì non sfuggirà al giudizio.
Su questo vorrei essere chiaro. Ho sempre ritenuto impossibile “auchanizzare” Conad. Le condizioni di integrazione non potevano essere diverse da quelle di chi acquisisce. Come gli stessi modelli organizzativi e imprenditoriali che sono la vera forza di quel sistema. Vale in questo delicato passaggio ma varrebbe anche per qualsiasi lavoratore che lascia volontariamente un’azienda per entrare in un’altra con diverse regole di ingaggio.
Ho contestato questa posizione del sindacato e sono convinto che è stato un errore, da parte loro, impostare la prima parte del negoziato su questo rifuggendo l’idea di un contratto aziendale complessivo che avrebbe costituito un piccolo passo in avanti nell’universo Conad impegnando entrambe le parti a innovare con coraggio le regole del gioco. Scegliendo una strada più convenzionale l’azienda ha avuto, fino ad ora, campo libero.
Però deve essere chiaro a tutti che le persone non sono cose. Quindi il piano di ricollocamento non può essere un semplice addendum dell’accordo ma dovrebbe rappresentarne la sua parte centrale. Per le 3150 persone che, ad oggi non sono comprese, vanno studiate e costruite soluzioni realistiche e non assistenziali. Ci vuole tempo ma è possibile.
Qui deve esserci la differenza rispetto alle altre vertenze aperte. Le istituzioni possono sicuramente agevolarne costi e modalità ma il tratto distintivo di un gruppo che sui territori e sulle persone si è costruito un vantaggio competitivo dovrà emergere anche in questa delicata vertenza.
Certo oggi alcuni colleghi di Auchan, sbagliando, rappresentano i colleghi di Conad come i “cugini di campagna” e, a volte, li descrivono spinti da un presunto senso di superiorità. Ricambiati prontamente dal sorriso ironico di chi, dall’altra parte non sa come considerare alcuni titoli aziendali vuoti o ridondanti visti i pessimi risultati di business.
Lo dico con affetto. La settantina di impettiti manager di Standa guardava con gli stessi occhi i quadri di Billa (che al momento dell’acquisizione non erano manco dirigenti..) e, questi ultimi, ricambiavano sornioni. Si fecero male entrambi. I primi perché furono azzerati, i secondi perché dovettero andare a cercare sul mercato professionalità e talenti che con un minimo di attenzione li avrebbero potuto trovare in casa.
Collaborare è fondamentale.
BDC ha il compito di uscire di scena nei modi e nei tempi necessari proprio per accompagnare e consentire le soluzioni meno traumatiche possibili. Non sarà facile comporre il puzzle. Né per i sindacati né per l’azienda. Io credo però che tirare tutti nella stessa direzione costituisca l’unica vera chance a disposizione.