Se fossi nei panni di un lavoratore di Margherita distribuzione coinvolto in prima persona farei fatica a capire cosa sta succedendo nella complicata vertenza che mi coinvolge. Le prime ricostruzioni e i messaggi che filtrano sono di difficile lettura e rischiano di determinare più incertezze che punti fermi.
Delle ragioni di questa confusione ho già parlato nel mio ultimo articolo ( bit.ly/2wjj9Y2) ed è inutile riprenderlo. Purtroppo ero stato ingenuamente ottimista sulla possibilità di un percorso unitario che, ad oggi, non c’è ancora stato. Cerco di fare un passo avanti sperando di non aggiungere altra confusione.
C’è un’intesa complessiva e sottoscritta da tutte le parti su tre punti raggiunta ai tavoli ministeriali. 1) La procedura di licenziamento avviata il 22 gennaio 2020 che coinvolge 817 lavoratori. 2) il ricorso alla CIGS per crisi aziendale per 8036 lavoratori dal 6 aprile al 31 dicembre 2020. 3) l’accordo di ricollocazione che consente ai lavoratori di prenotare l’assegno di ricollocazione.
Questi accordi riguarderebbero al momento solo Margherita Distribuzione. Alcuni parlano di coinvolgimento di ANCD a questo livello che però, dagli atti, non risulterebbe. In questa fase credo che l’azienda abbia preferito circoscrivere il perimetro dell’interlocuzione sociale. Qui finisce, ad oggi, il percorso condiviso unitariamente.
Questi testi pur importanti, sottoscritti sotto l’egida del ministero, necessitano di essere integrati dalle intese aziendali. Quelle raggiunte il 23 marzo dalla Fisascat cisl e dalla UGL e formalizzate il 6 aprile e non sottoscritte da Filcams Cgil e uiltucs uil. Intese fondamentali, in assenza delle quali, l’azienda avrebbe potuto procedere unilateralmente. Aggiungo un dettaglio non da poco. MD, in sede ministeriale, ha comunicato che la situazione era in tale peggioramento che, in mancanza di un’intesa, la volontà di non licenziare nessuno per il 2020 sarebbe stata a rischio.
Al momento, le firme di Filcams Cgil e Uiltucs uil sulla parte aziendale non ci sono. C’è un testo sottoscritto da Fisascat CISL e UGL che stabilisce la condivisione (e quindi determina una gestione non unilaterale), che il ricorso alle uscite è solo su base volontaria e incentivata e le modalità dell’attivazione del ricorso alla CIGS con il conseguente percorso di riqualificazione e di ricollocamento professionale.
Ed è su questo protocollo che è previsto il coinvolgimento di ANCD. Utile e importante proprio per ammortizzare i contraccolpi del percorso. È un interlocutore autorevole per il sindacato seppur rispettoso dell’autonomia delle cooperative. Parteciperà alle verifiche e sovrintenderà al rispetto di ciò che è stato concordato.
Non entro nei dettagli che sono stati oggetto di lunghi negoziati che hanno visto protagonisti tutti e quattro i sindacati. Gireranno tabelle e numeri ben più precisi di quelli a cui può accedere il sottoscritto. Ulteriori margini di manovra credo proprio non ce ne fossero più. Chi li invoca dovrebbe essere altrettanto serio di spiegare come realizzarli.
Adesso comincia la gestione. La parte più complessa. Bene ha fatto la Fisascat Cisl a tenere il punto, altrettanto bene farebbero gli altri due sindacati a rientrare in partita. Adesso occorrerebbe evitare due errori classici di queste situazioni. Innanzitutto sui contenuti delle intese.
Sparare contro o discettare sulle lacune è sempre facile. Soprattutto se non se ne valuta l’equilibrio complessivo. Le intese comprendono sempre due parti. La parte scritta rappresenta la salvaguardia dei principi reciproci e lo strumento per tenere a bada i ricorsi legali. Lo schema è simile in tutte le vertenze aziendali.
Andiamo alla sostanza. L’accordo dice che la situazione è grave, i rischi sono enormi ma c’è una volontà comune di gestirne le conseguenze. E che non sarà facile realizzare l’obiettivo. Nessuna garanzia può essere data in questa situazione ma una volontà comune, forte, di rispettare il senso dell’intesa. Attenzione a sottovalutare questo passaggio.
Ovviamente qualsiasi accordo, e questo non si differenzia, è una coperta corta. Per alcuni più di altri. I numeri però da oggi sono scolpiti nella pietra. L’azienda conferma la sua intenzione di farsi carico degli esuberi per tutto il 2020 e di essere disponibile al confronto sul futuro. Non si nasconde dietro il COVID-19 ma ne teme le conseguenze.
Il suo piano, come era prevedibile, nella sostanza è uscito complessivamente confermato. Ma chiunque legga in buona fede ciò che è scritto non può non prendere atto che sulle modalità tanti aspetti sono cambiati. Il sindacato ha lavorato unitariamente bene su tutele collettive e gestione delle conseguenze fino a quando ha ritenuto di farlo.
Come ho già scritto, capire quando i margini sono stati tutti esplorati e chiudere un negoziato è inevitabile, non è da tutti. In poltrona e da lontano i limiti sono più evidenti. Come per gli esperti di calcio del lunedì. A mio parere quello individuato è l’unico equilibrio possibile. Chi non lo pensa deve anche offrire una soluzione diversa e un percorso praticabile.
Sulle sedi il problema resta purtroppo nella sua difficoltà. Non è purtroppo un negoziato sindacale complessivo che lo può cambiare in profondità. Occorrerà lavorare pancia a terra con le istituzioni locali, con le imprese subentranti, con OTP serio per sostenere i maggiori ricollocamenti possibili. Altrimenti l’obiettivo sarà difficile da realizzare. Il rischio che molti restino soli con il loro problema è evidente.
Era chiaro fin dal giorno del closing e resta purtroppo il problema più complesso da risolvere. Spero che azienda e sindacati si concentrino con passione e determinazione su questa partita.
Infine occorrerà valutare come è possibile arrivare alla ratifica di accordi di questo tipo. Non credo possibile il ricorso al referendum. Chi dovrebbe essere chiamato al voto? Sulla carta tutti lavoratori in carico a Margherita distribuzione. Quindi solo quelli che non sono già passati a Conad o ad altre insegne o che non hanno ancora una soluzione. È evidente che chi dovesse invocare questa modalità ha l’obiettivo, neanche tanto nascosto di far saltare l’accordo appena raggiunto ma non lo vuole ammettere.
E se dovesse saltare, MD si troverebbe nella necessità di procedere unilateralmente gestendo di volta in volta le eventuali cause legali su presunte irregolarità collegate all’accordo ministeriale. Quello firmato da tutti. Le organizzazioni sindacali potrebbero decidere di consultare ciascuna i propri iscritti. Cosa possibile e già sperimentata in passato. Vedremo i prossimi passi.
Per l’azienda la firma del sindacato è più che sufficiente. E lo è anche per la legge. Ovviamente non sarà così per Filcams Cgil e Uiltucs Uil. A queste ultime il compito di indicare quando e come intendono rientrare in gioco. E con quali spazi negoziali. Comunque la si pensi oggi è un giorno importante. E lo è per tutti coloro che hanno creduto e scommesso che, prima o poi, qui saremmo arrivati.
Buongiorno Mario e buona Pasqua.
In questo primo mese dell’emergenza sanitaria chi come me, lavorava nelle sedi di Margherita Distribuzione, sta sperimentando lo smart working. Basta avere una linea internet wifi, meglio se con fibra ottica e il portatile viene collegato in remoto alla rete aziendale e magicamente abbiamo tutto ciò che serve per lavorare a pieno ritmo.
Mancano delle macchine come le veloci fotocopiatrici, che si usano anche per scannerizzare i documenti, ma con pochi euro si può acquistare on line, come ho fatto io.
Detto ciò, dopo aver verificato che lo smart working funziona veramente, potrei suggerire a chi si occuperà di ricollocare i dipendenti, ad ANCD , fisascat ,UILTuCS e filcams di prendere in considerazione questa tipologia di lavoro.
Potremo lavorare per qualsiasi cooperativa sul territorio nazionale, senza dover fare centinaia di Km.
È chiaro che la cooperativa che assumerà dovrà aver fiducia del collaboratore neo assunto.
Un buon lavoro allo staff di Risorse Umane che si occuperà del ricollocamento dei collaboratori che non si possono permettere di accettare un incentivo economico e dover iniziare da capo un percorso lavorativo in questo periodo di crisi.