Confcommercio. Ci mancava solo l’occhio del Grande Fratello

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In Sardegna, all’iniziativa che riunisce, tutti gli anni, il corpaccione della Confcommercio non ci sarà certo una sollevazione contro il Presidente Carlo Sangalli. Villasimius rappresenta  il segnale della ripartenza autunnale della confederazione. Centinaia di persone si ritrovano in Sardegna, giocano a burraco, a calcio o a tennis, fanno il bagno e poi ascoltano invitati spesso interessanti che discutono di politica. Un’ottima iniziativa che quest’anno cade con un momento particolare tra post pandemia, inflazione e guerra.  Appartiene alla liturgia Confcommercio. Tra le altre cose misura il clima interno.

Dai segnali che arrivano la platea composta dai rappresentanti locali dei commercianti e dai dirigenti confederali sembra sempre più rassegnata a tenersi il Presidente così com’è. Petrolini diceva  «Lo vedi, il popolo quando s’abitua a dire che sei bravo … pure che non fai niente sei sempre bravo!». Ancora una volta la fedeltà pretesa verso il leader supera la doverosa lealtà verso la Confcommercio e i suoi associati. Sangalli ormai  è, purtroppo, solo un  personaggio ingombrante. 

La recente sentenza del tribunale di Roma offre diversi fotogrammi del  comportamento dell’uomo e dei suoi sodali impegnati a nascondere la verità degli accadimenti di cui si sono resi protagonisti. Oggi non parliamo di molestie. Lo abbiamo già fatto. Inutile ritornarci per ora.

Oggi parliamo di gestione della privacy nella Confederazione.

Leggo, dalla sentenza, le considerazioni del giudice: “Orbene è sorprendente con quale disinvoltura, per non dire improntitudine, sono stati sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria emergenze istruttorie acquisite con modalità tali da determinare indiscutibile inutilizzabilità se non da delineare persino estremi di una condotta penalmente rilevante”.

E continua: “va da sé che una impostazione così rudimentale delle relazioni interne all’ambiente lavorativo confligga con consolidate e acquisite esigenze di tutela di intangibili prerogative del dipendente da eventuali intromissioni”.   E aggiunge “Non può anzi sottacersi, che quelle indebite intrusioni potrebbero persino configurare ipotesi delittuose essendosi concretizzate nell’accesso abusivo negli spazi  di memoria dei sistemi informatici  esclusiva pertinenza dell’utilizzatore titolare dell’indirizzo identificato da uno specifico account essendo affatto  irrilevante, giova ripeterlo, che il relativo supporto fisico fosse di proprietà  di chi ha operato l’intrusione o l’ha comunque autorizzata. Fermo restando che l’impropria attività investigativa non è stata  eseguita nell’interesse della  Confcommercio ma per la difesa personale di Carlo Sangalli in quanto rappresentante dell’organismo”.

Aggiungo il passaggio  che smonta ogni dubbio sull’operato: “l’apparecchio cellulare spontaneamente consegnato dal Sangalli al pubblico ministero e sottoposto a specifica analisi tecnica non coincide con quello normalmente in uso alla persona offesa (Sangalli) … ma a tal Leonardo Giangrande. E infine “Non può sottacersi dell’inattendibilità delle emergenze investigative in commento che, attraverso una unilaterale selezione utile alle ragioni difensive della parte civile la stessa ha  influito, alterandolo sostanzialmente, sul quadro probatorio nella sua obiettività, proponendo una rappresentazione falsata della vicenda”.

Che dire? È questa la Confcommercio?

In quella che si considera la prima confederazione in Europa,  è stata violata ripetutamente la privacy di più persone, dirigenti politici e dipendenti, senza alcun diritto. E questo, va denunciato risolutamente,  perché , in una gestione così rudimentale delle relazioni interne, può valere per tutti e ovunque.  Per dirla in breve parafrasando il giudice: qualcuno in Confcommercio ha messo mano ai telefonini in uso, ai PC, ai server confederali in pieno dispregio delle leggi per costruire una verità di comodo. Significativa la spregiudicatezza nell’utilizzare un cellulare intestato a Leonardo Giangrande Presidente di Confcommercio Taranto e presentato come appartenente a Carlo Sangalli. Giangrande sarà ovviamente all’oscuro di tutto  e rischia di trovarsi sotto i riflettori  per responsabilità di chi ha autorizzato l’uso del suo ex telefonino per altri fini.

Una domanda però sorge spontanea. E chi è  seduto in quella platea dovrebbe porsela: perché sono avvenute e fin dove arrivano queste manomissioni? Ci sono altri, oggetto di questi trattamenti  in confederazione e da chi? Non dimentichiamo che dalla sentenza emerge che anche un vicepresidente è stato intercettato. E non dall’autorità giudiziaria. Quindi non solo coinvolti solo  i dipendenti. Quanti altri,  appartenenti agli organismi confederali sono stati sottoposti, o potrebbero esserlo  tutt’ora, ad analogo trattamento? Chi assicura che questa spregiudicatezza non venga utilizzata per tenere sotto controllo chiunque? Sono domande legittime  vista l’illegalità  scoperta è certificata dal giudice romano nel caso in oggetto.

Alla luce dei fatti una pessima strategia legale che ha però consentito all’anziano Presidente di sentirsi assolto prima che il processo fosse celebrato.  Ha guadagnato un po’ di tempo. Questo sì. Ma la giustizia ha comunque  fatto il suo corso. La sentenza ripercorre tutti i passaggi. Basta leggerla. Carlo Sangalli adesso probabilmente dovrà pagarne le conseguenze. La domanda che aleggia anche in quella sala è fino a che punto l’intera confederazione è disposta a seguirlo?  È vero che oggi quello che vediamo sul palco è solo un uomo anziano di 85 anni a cui hanno consigliato di tirare dritto con indifferenza sull’accaduto. Ma quello che è stato fatto per nascondere i suoi comportamenti sarà vivisezionato a lungo in altre aule di tribunale. E senza scordare le responsabilità dei suoi sodali. 

Certo non stupisce  la retorica di   Carlo Sangalli quando ha ribadito nel suo intervento introduttivo all’assemblea sarda: “….Con una rinnovata cultura dello spirito di servizio, che vuol dire non essere mercenari ma appartenere ad un grande sistema.  Significa servire l’associazione e non servirsene per i propri scopi”. Giusto sottolinearlo se rivolto all’impegno di molti dirigenti politici locali e nazionali seduti in platea. Ne ho conosciuti tanti anch’io, nei territori e al centro. Anche tra i vicepresidenti passati e presenti. Per altri, soprattutto tra quelli che si spellano strumentalmente le mani,  consiglierei un rigoroso esame di coscienza.

In realtà Sangalli  ha scelto  di comportarsi come il Marchese del Grillo con il povero falegname  Aronne Piperno il quale pretendeva solo un po’ di giustizia e si è trovato colpevolizzato dall’arroganza del Marchese: “Io sono io e voi non siete un cazzo” ha sentenziato il nobile romano certo  così di farla franca.

Per Confcommercio resta un grave danno di immagine esterno. Inutile negarlo.

Lo sbigottimento però resta confinato fuori dai  corridoi di piazza Belli dove molti scuotono la testa sia per i fatti descritti sia, soprattutto,  per l’incomprensibile incapacità di Sangalli a farsi da parte.

È successo un fatto analogo di recente, all’Arena di Verona al re della lirica Placido Domingo. L’orchestra e il coro hanno definito il grande artista “non più all’altezza della sua fama e del compito affidatogli” rifiutandosi di tributargli quello che sarebbe stato un  generoso applauso finale dopo una pessima esibizione. Gli orchestrali non hanno voluto abbozzare. Il pur glorioso passato del tenore non è ritenuto più sufficiente a giustificare la volontà di continuare nonostante l’evidente difficoltà a tenere il passo. Qui in Sardegna al contrario applaudiranno Carlo Sangalli. A lui, in fondo basta  questo e, a parte del pubblico presente, tutto sommato, conviene farglielo credere.

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