Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto.
Dag Hammarskjöld
Carlo Sangalli lo ha personalmente sempre sofferto. Il confronto tra l’hombre vertical Giuseppe Guzzetti e il democristiano buono per tutte le stagioni è stato sempre implacabile. Il primo, Guzzetti, riconosciuto da tutti per l’integrità morale, l’attenzione ai problemi della società e una interpretazione trasparente della politica come servizio. Il secondo sempre al suo inseguimento, bravo nella gestione del potere, esperto nell’accumulare cariche, convinto che i propri interessi e quelli della organizzazione rappresentata debbano coincidere.
Il primo non ha dovuto ricevere solleciti diretti o indiretti per farsi da parte. Quando è stato il momento lo ha fatto senza alcuna remora né tentennamento. Il secondo si è addirittura fatto costruire uno statuto ad hoc per restare incollato alla poltrona il più a lungo possibile. Un confronto impari, quindi.
Ed è bastata la testimonianza di Giuseppe Guzzetti per rimettere di nuovo la giusta distanza tra i due. In attesa dei supplementari e dei rigori al tribunale di Roma è andato in scena il secondo tempo della causa intentata da Carlo Sangalli contro l’ex Direttore Generale di Confcommercio Francesco Rivolta.
La difesa dell’immagine e delle tesi del Presidente si sono sgretolate davanti all’evidenza dei fatti. Tutti i tentativi messi in campo per evitare innanzitutto un giudizio morale si sono infranti contro la volontà del giudice di approfondire un punto fondamentale: chi è stato a coinvolgere il Direttore Generale sulla questione delle molestie e altre vicende di cui si è reso protagonista il Presidente di Confcommercio.
Nella tesi di Carlo Sangalli, Rivolta si è mosso evidentemente pro domo sua.
Tutta la ricostruzione presentata nella denuncia e l’accorata autodifesa davanti agli organismi confederali si basava su questo. Respingere le accuse, addossare la colpa al Direttore Generale e proclamare la propria assoluta innocenza, era fondamentale per guadagnare un’altro scampolo di anni alla guida della Confcommercio.
Giuseppe Guzzetti nella sua audizione è stato chiarissimo. Ha spiegato che è stato proprio Carlo Sangalli a chiamarlo chiedendogli di convincere il Direttore Generale a prendersi carico e gestire in prima persona l’intera vicenda per evitare un danno di immagine a sé stesso e, di conseguenza, alla Confederazione.
Carlo Sangalli, in cuor suo, sapeva benissimo cosa era successo e, conoscendo Francesco Rivolta, sapeva altrettanto bene che per convincerlo a farsi carico della situazione avrebbe dovuto chiedere un aiuto formale ad una persona che godeva della stima incondizionata del suo Direttore Generale. Cosa che a lui era preclusa per il comportamento ritenuto inqualificabile e per la volontà di Rivolta di mettere l’intero Ufficio di Presidenza confederale al corrente dei fatti accaduti in modo che l’organo politico potesse decidere il da farsi.
Il cerchio, pur con i tempi lunghi della Giustizia, comincia a chiudersi.
Un brutto colpo per l’immagine dell’anziano Presidente e per coloro che hanno veicolato versioni spregiudicate con l’intento di liquidare brutalmente l’intera vicenda addossandone le responsabilità sul Direttore Generale.
Fatto fuori in modo perlomeno discutibile Francesco Rivolta dalla Confederazione, modificato lo Statuto e messa la mordacchia ai pochi avversari interni, al suo cerchio magico restava solo il compito di cospargere di petali di rose il viale del tramonto dell’anziano presidente.
La stessa idea di farsi acclamare senza alcuna verifica nel voto segreto per l’ennesima volta e rieleggere così senza clamori per evitare perniciose sorprese era stato pianificato per escludere ogni possibile colpo di coda.
Ma, come sempre in questi casi, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
L’esplosione del covid-19, il trattamento riservato al terziario di mercato e la fragilità dell’interlocuzione politica e istituzionale messa in campo da una leadership ormai incerta perché figlia di un’altra fase storica hanno messo a nudo che la scelta di non cambiare passo di marcia causata anche dal repulisti restauratore si è rivelata un boomerang sulla iniziativa complessiva della Confcommercio.
Il principale contratto nazionale, quello firmato dalla Confederazione di piazza Belli, è fermo al palo, la difficoltà evidente a costruire proposte condivisibili fuori dal proprio recinto (al di là del ruolo succedaneo assegnato all’ufficio studi) e il sempre più difficile rapporto tra centro e periferia sono sotto gli occhi di tutti gli osservatori. Adesso, al di là della verità processuale che prima o poi sarà destinata ad emergere si ripropone il problema principale che esisteva già ben prima dei fatti in questione: l’adeguatezza e la consistenza di una leadership complessivamente debole che ormai ha fatto il suo tempo.
Punta dell’iceberg