Confcommercio. Ofelè fa el to mesté….

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Eppure sembrava tutto chiaro. Da un lato i presidenti eletti che rappresentano gli associati in ogni dove. Dall’altro i direttori che organizzano le attività, danno continuità alle iniziative, gestiscono la complessa macchina dei servizi. Un doppio binario auspicato dallo stesso Presidente Sangalli nella assemblea organizzativa di Chia di pochi anni fa nel suo discorso di chiusura.

Il dubbio era venuto all’intera platea  quando aveva ascoltato, nell’introduzione,  l’intemerata contro il ruolo e la funzione  del direttore. Nessun nome in perfetto stile Sangalliano. Per tutti, però, parlava alla nuora affinché intendesse la suocera. La manina che aveva aggiunto quelle ruvide parole l’aveva fatto tracimare. Si percepivano gelosia, rabbia, forse invidia per un ruolo che si stava imponendo, quello del direttore, mentre un altro stava inevitabilmente rischiando il declino, quello del Presidente. E quindi, stava cercando di evocarne i foschi risvolti nella platea.

Questa, intelligentemente, aveva capito che il presidente che rischiava il declino per ridotto rendimento e sovrapposizione di ruoli di cui Sangalli parlava con apprensione non stava nei territori. Stava parlando di se stesso e del rapporto con il suo direttore generale di cui soffriva l’attivismo, la stima che godeva dentro e fuori la Confcommercio, il carattere irruento. Insomma stava rappresentando qualcosa di più che un problema di ruoli.Reazione difficile da mascherare ad una certa età.

La platea era divisa. I presidenti presenti, almeno quelli più attenti,   non si sentivano per nulla sotto tiro, il rapporto con i loro direttori era sano e costruttivo. I direttori, al contrario, erano un po’ agitati. Tant’è che nella replica Sangalli aveva dovuto fare il democristiano dei tempi migliori, per dire senza dire nulla, ritornando di nuovo sull’argomento e sottolineando l’importanza dei due ruoli. Com’è ovvio. Il presidente deve fare il suo mestiere così come il direttore.

Personalmente ho conosciuto e stimato due grandi direttori. A Parma, Enzo Malanca e a Vicenza, Andrea Gallo. L’anima e l’immagine delle loro Ascom. Autorevoli, seri, propositivi. Mai sovrapposti ai loro presidenti. Anzi. Ed è proprio l’indubbio peso specifico che consentiva loro di lavorare dentro i limiti del loro mandato. Ne ho conosciuti molti  con caratteristiche analoghe. Altri meno.

Solo la gelosia, la mediocrità  o il rancore coltivati intorno a loro poteva e può rovinare il rapporto dei direttori dotati di forte personalità con i rispettivi presidenti. Nei territori però, fortunatamente, non è così.

Ovviamente Sangalli non era sincero. Rimosso il suo direttore generale senza motivazione, se non, temo,  a causa dei sentimenti di cui sopra, la stessa volontà distruttrice scatenata nei confronti della direzione lavoro e welfare, è stata  impiegata nei confronti del ruolo dei direttori. “Tornate a casa vostra” è sembrato, ai più,  lo slogan.

Anni di impegno per rimuovere l’asimmetria organizzativa tra periferia e centro rimossi in un’istante. Cancellato immediatamente il modello di una organizzazione policentrica dove sono le proposte, l’impegno e le idee a fare premio sul peso organizzativo e sui voti espressi.

In questo modo l’unione di Milano, lenta perché deve comunque muoversi alla velocità del suo Presidente,  può sembrare in corsa come le altre. E il centro romano può riprendere i suoi cazzeggi con la politica e le istituzioni, le interviste dell’anziano presidente per dare a lui la sensazione di essere in campo e il titic e titoc da prima repubblica.

I direttori, quindi, rimandati a casa loro. E’ un peccato. Io non sono preoccupato del loro silenzio. Era ovvio.  “Primum vivere deinde philosophari” vale sempre e ovunque. Ne se, pochi o tanti, sposano la tesi di Sangalli, sul loro ruolo, per convinzione. Sono preoccupato perché il futuro di una organizzazione complessa come Confcommercio si dovrebbe comunque basare su un modello policentrico rinnovato.

Il centro come servizio al sistema integrato ai territori. Non il contrario. E nemmeno il “Tana, liberi tutti” che sembra prevalere oggi. Il peso ed il ruolo dei direttori di associazione e di federazione non si misura su quanto spazio tolgono ai rispettivi presidenti. Sono job diverse.

L’autorevolezza, l’immagine, la capacità di lavorare al centro come in periferia non sono optional di potere. Sono indispensabili.  Il futuro sta nel radicamento nei problemi reali non negli esercizi di stile. Il territorio così come le federazioni devono ritornare ad essere centrali. Non le maggioranze costruite per mantenere il potere dei più forti.

Le associazioni territoriali devono reinventare i servizi e aggiungerne di nuovi. Devono andare incontro alle esigenze delle imprese senza attenderle in sede, come in passato.  Pensiamo solo al decentramento contrattuale e alla formazione degli imprenditori, solo per citare due sfide importanti del prossimo futuro. Attività che già oggi vengono fatte in molte realtà sensibili al cambiamento.

Va altresì rilanciato il ruolo delle federazioni oggi molto limitato e ancillare. E questo attivismo rinnovato si costruisce in periferia se il rapporto e il peso del ruolo viene riconosciuto.

Sperare che la restaurazione in atto a Roma possa portare ad un cambiamento positivo anche nei territori è un’illusione soprattutto perché, in piazza Belli, se dovesse continuare l’atteggiamento ottuso e repressivo, ritorneranno presto a sognare Sergio Billè, la sua grandeur  e il suo ridicolo ascensore personale interdetto al popolo come un elemento di grande democrazia rispetto ai giudizi sommari e ai silenzi imposti oggi. Non c’è limite al peggio. 

Come ci ricorda  Leon C. Megginson, professore universitario e saggista statunitense “non è la più intelligente delle specie a sopravvivere; non è nemmeno la più forte; la specie che sopravvive è quella in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti dell’ambiente in cui si trova.”

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