“I leader migliori sono quelli che, quando se ne vanno, lasciano dietro di loro un gruppo di persone che li supera di gran lunga”
Pepe Mujica
Carlo Sangalli non credo sia interessato a lasciare qualcosa dietro di sé. Né a Roma né a Milano. Candidati a succedergli ce ne sono stati diversi e anche di buon livello. Spesso li ha creati e motivati lui stesso a volte illudendoli di essere potenziali suoi successori ma lasciando però che, subito dopo, i suoi più stretti collaboratori si incaricassero di trovare in loro tutti i difetti possibili “costringendolo” a resistere e passare oltre.
Quindi non c’è, ad oggi, a mio modesto parere, alcuna successione credibile e possibile. Le ovvie critiche all’anziano presidente e alla sua tendenza a considerarsi eterno e insostituibile vengono fatte scivolare come parole in libertà da chi sa di controllare il pacchetto di maggioranza dei voti.
Quindi non è in discussione il “dopo Sangalli” per il semplice fatto che, allo stato, non può esserci alcun dopo. È, come ho sempre scritto, il “fine mandato mai” che lo ha sempre guidato dal giorno della sua elezione a presidente dell’Unione del Commercio di Milano nel lontano 1995.
Fabrizio Palenzona credo lo abbia capito benissimo. E infatti ha preferito fare un passo indietro perché è evidente la coincidenza tra la continuità della gestione Sangalli e dei suoi uomini e l’impossibilità di aprirsi a qualsivoglia cambiamento.
Non ha rotto perché la Confcommercio, pur immobile ormai da tempo, resta un luogo potenzialmente molto importante, una macchina organizzativa efficace nel territori, ricca quanto basta al centro a differenza di altre confederazioni, dotata, unica nel suo genere, di un contratto nazionale confederale e quindi in grado di coprire settori e comparti partendo da una base di riferimento interessante sul piano della flessibilità applicativa. E di interlocutori sindacali che fanno della concretezza e della disponibilità ad affrontare i problemi, un tratto distintivo e con i quali Confcommercio gestisce un ricco sistema bilaterale.
Non è un caso che, dopo Amazon che ha scelto Conftrasporto, Conad, la più grande realtà della Grande Distribuzione, ha scelto Confcommercio. Sia una che l’altra non credo certo per la presenza di questo Presidente confederale. Entrambe sono realtà che hanno lo sguardo lungo.
La GDO, lo sanno tutti, non è mai stata ben vista in Confcommercio. Sopportata, si, desiderata per le risorse economiche che può apportare al sistema confederale, soprattutto locale. Amata e ben voluta, però, no. La stessa comunicazione di poche parole che ha dedicato Carlo Sangalli per annunciare l’entrata di Conad nel sistema al recente consiglio confederale ne è una conferma. Più o meno il tempo dedicato per annunciare la firma dell’importante accordo sindacale con Amazon. Accordo che è stato addirittura contestato in casa Confcommercio perché raggiunto da Conftrasporto senza il coinvolgimento diretto della Confederazione.
In realtà, se viste in prospettiva, sono scelte che, al contrario, potrebbero aprire scenari nuovi. Aggiungo che il terziario italiano ha bisogno di uscire dall’angusto perimetro organizzativo che si è costruito nel novecento restando ancorato ad una vecchia cultura ormai priva di respiro.
I gruppi dirigenti della Confederazione di piazza Belli che si sono via via succeduti si sono sostanzialmente tarati politicamente sulle esigenze del piccolo commercio e sui servizi ad esso dedicati. E, grazie ad un contratto nazionale meno oneroso di altri, flessibile nella sua applicabilità simile ad un salario minimo ante litteram, l’intero terziario di mercato è stato possibile apparentarlo, più o meno consapevolmente, alla Confcommercio apportando a quest’ultima risorse economiche importanti proprio dai sistemi derivati dalla bilateralità. E, proprio partendo da questa realtà potrebbero nascere ulteriori sviluppi futuri interessanti con gli stessi interlocutori sindacali. Basti citare il caso dell’innovativo contratto nazionale dei dirigenti del terziario applicato a circa 25.000 dirigenti quasi tutti iscritti a Manageritalia occupati in oltre ottomila aziende di cui meno di un terzo si riconosce in Confcommercio. Da qui, credo, la ritrosia ad accettare una verifica della rappresentatività reale.
L’entrata di Conad apre, al contrario, nuovi scenari. Innanzitutto riequilibra il peso con Federdistribuzione senza creare inutili conflitti. Il fatto che le prime due realtà nazionali (Conad e Coop) siano fuori dalla Federazione che rappresenta il settore è un fatto politicamente rilevante. La pandemia ha fatto comprendere a tutti che Il gioco di squadra è decisivo.
Federdistribuzione, fuori dalle grandi organizzazioni di rappresentanza, non incide e non tutela come vorrebbero le imprese aderenti. Soprattutto con l’arrivo sulla scena di nuovi competitor globali. Il Commercio vecchio e nuovo ha bisogno di unità, peso politico e risorse per innovarsi.
Conad forte dei suoi oltre 70.000 collaboratori rappresenta una cerniera tra diversi mondi. Tra grande e piccola impresa nazionale con una forte presenza su tutto il territorio, con la stessa cooperazione, con l’indotto e chi si posiziona a monte e a valle della filiera. La stessa Federdistribuzione potrebbe confrontarsi con un interlocutore di ben altra autorevolezza e cultura in grado di operare sintesi nell’interesse generale.
Guidare poi il prossimo rinnovo del CCNL di Confcommercio raccordandosi con chi rappresenta altri contratti potrebbe aprire prospettive nuove superando gelosie e competizioni che non hanno portato a nulla. E, soprattutto, aprire una nuova stagione di confronto e innovazione sui contenuti con il sindacato confederale.
Sul fronte confederale interno, al di là delle parole di circostanza, Conad non troverà la strada spianata. Dinamiche organizzative e vecchie ruggini rappresentano vere e proprie mine disseminate sul cammino che dovranno essere disinnescate. Così come alle “promesse” del Presidente dovranno seguire i fatti. La mancanza di fatti è proprio una delle ragioni che tengono lontane dal massimo organo alcune tra le federazioni più importanti.
È la fedeltà al leader che, in questi lunghi anni, ha fatto premio sulla lealtà e sulla pari dignità. Non è certo un caso che alcune realtà territoriali significative siano escluse dal governo della confederazione a vantaggio di altre di scarsa consistenza politica e numerica ma fedeli al leader e ai suoi uomini.
Francesco Pugliese viene però da un’ottima scuola. E così come Fabrizio Palenzona alla fine si è dovuto misurare con un muro di gomma la stessa sorte toccherà a lui.
Personalmente sono convinto che l’obiettivo del CEO di Conad, che almeno per i prossimi 2/3 anni, dovrà dedicarsi al completamento del processo di integrazione di Auchan e consolidare la leadership conquistata con il Consorzio, sia quello di creare le condizioni affinché l’intero commercio nazionale parli con una voce sola. La scelta di adesione di Conad a Confcommercio se ha questo scopo e non altri, va condivisa assolutamente.
Per quanto mi riguarda spero che questo importante ingresso spinga in due direzioni fondamentali. Innanzitutto a mettere intorno ad un tavolo tutti i più importanti protagonisti del futuro della Confederazione. Il Presidente, pur coltivando desideri di “fine mandato mai” scade nel 2025. E questi sono gli anni dove si costruisce il futuro del Paese.
Purtroppo serve a poco un Presidente di una confederazione ormai fuori dai giochi che contano, relegato ai margini tra interviste soporifere e dati passatigli dall’attivismo dell’ufficio studi. Serve un grande lavoro di riposizionamento e di rilancio che consenta al terziario di mercato di giocare il ruolo che gli compete e che è ormai venuto meno grazie anche al protagonismo di Confindustria.
Turismo, Trasporti, Horeca, Grande Distribuzione, Moda insieme a tutte le altre federazioni e alle associazioni territoriali di categoria più importanti possono rilanciare il ruolo di una grande associazione del terziario italiano.
In secondo luogo, è fondamentale riprendere e mettere all’ordine del giorno un nuovo equilibrio della filiera nazionale che coinvolga a monte e a valle l’intero settore agroalimentare nazionale. I rischi di ripresa inflazionistica e gli aumenti delle materie prime devono produrre una visione unitaria che faccia sintesi dei diversi interessi in gioco dall’agricoltura, alla produzione, alla logistica e fino al consumo finale.
Solo così l’autorevolezza che ne potrà derivare potrà essere spesa alla ricerca di equilibri nuovi ma corretti in un mercato dove opportunità e regole devono essere condivise. Vale tra industria e distribuzione ma deve valere anche tra le diverse forme di distribuzione on line e off line. Vecchie o nuove che siano. Su questo si gioca anche il futuro della Confcommercio che è altra cosa rispetto alle ambizioni e ai desideri di singoli dirigenti o presidenti che siano.