Confcommercio. Villasimius e i tramonti solo immaginati…

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“Il potere non cambia le persone, mostra quello che sono realmente” Pepe Mujica 

Per chi in platea si aspettava una parola definitiva  dall’ottantaduenne Carlo Sangalli che chiarisse una sua ipotetica disponibilità ad un percorso di uscita dalla Confcommercio la delusione è stata palpabile. Solo chi non lo conosce bene poteva aspettarsi una seppur lontana disponibilità in questa direzione.

Come nel libro più famoso di Antoine de Saint-Exupéry, il Piccolo Principe,  il sole tramonterà solo quando sarà il tempo. E il tempo e le modalità, in Confcommercio, restano saldamente in mano al Presidente. E con il nuovo Statuto  lo sono ancora di più.

La tre giorni di Confcommercio appena conclusa a Villasimius continua ad essere, un momento importante di coinvolgimento dell’insieme della Confederazione. I gruppi di lavoro che la caratterizzano segnalano la genuina volontà di partecipazione delle federazioni e delle associazioni territoriali. Credo che anche quest’anno sia stata vissuta dai partecipanti come un momento importante di crescita e di rilancio dell’iniziativa della Confcommercio.

Ho avuto la fortuna di partecipare diverse volte negli anni  a questa iniziativa settembrina ed è indubbio che l’alto livello dei relatori, gli argomenti scelti e l’insieme del dibattito generato rappresentano forse più di altri momenti più istituzionali lo stato dell’arte della qualità del confronto interno, della partecipazione  e delle sfide che attendono le strutture nei territori e al centro, nel confronto con la Politica e le Istituzioni del Paese.

La capacità di mettere intorno ad un tavolo intellettuali di alto livello interrogandoli sul contesto politico ed economico è sempre stato un punto di forza della Confederazione. E gli stimoli sono sempre stati di grande utilità.

L’unica vera critica che emerge sommessamente nei corridoi e tra i partecipanti è che questi incontri così stimolanti non sono  poi seguiti da nessuna correzione di rotta o innovazione  nei comportamenti agiti dal gruppo dirigente confederale. Alla fine ciascuno, nei territori, porta a casa ciò che può ma questo non cambia sostanzialmente nulla.

D’altra parte, completata la restaurazione grazie al nuovo Statuto e messa la mordacchia al pur flebile dissenso interno Carlo Sangalli aveva la necessità e la volontà precisa di ritornare al centro della scena interna. Di riprendere, pur con evidente fatica, il suo ruolo di sempre  davanti ad una platea che non sembra essere ancora pronta a guardare oltre. Ed è, di fatto,  quello che ti senti dire nei corridoi. La sensazione del  salto nel vuoto che spaventa. E lui questo lo sa e lo alimenta con maestria. Come sa che  i possibili successori, agli occhi dei più, non danno ancora le garanzie necessarie. Se mai le daranno. Ed è su questo che gioca la sua determinazione a non farsi da parte. Altro che tramonto!

Da semplice osservatore mi permetto di sottolineare che l’uomo non è più, da tempo,  in sintonia con il contesto esterno alla sua Confederazione. Vive grazie ad una  rendita costruita nel secolo scorso e consolidata sulle ceneri dell’era Billé.

Esprime in modo evidente una fragilità  sui contenuti di fondo, una difficoltà vera a comprendere i cambiamenti che ormai lo circondano e che stanno trasformando il terziario ma anche la stessa Politica. Da qui la lentezza nell’azione e il  ragionamento ormai sempre uguale  a sé stesso. E la necessità di  “costringere” l’intera confederazione  alla sua velocità. Se criticato  politicamente, è abilissimo a metterla subito sul piano personale.

All’esterno compare la sua indubbia capacità di rappresentare un mondo variegato di cui lui è, per tutti,  la sintesi. Ma è ritenuta ormai, fuori dal perimetro confederale,  una sintesi ormai modesta e in affanno. E questo, purtroppo, riverbera quel giudizio, sull’intera confederazione. Che, purtroppo, scivola sempre più indietro nella classifica delle organizzazioni di rappresentanza. Gli resta il suo campionato dove non ha né amici né avversari e dove i suoi sodali accettano solo iscrizioni di adulatori. Così gli è permesso tutto e il suo contrario. E lui “gioca” anche su questo.

In fondo il Presidente di Confcommercio sembra aver capito, da molto tempo, che se si manifestano idee forti e incisive, la Politica ti concede al massimo qualche stagione. Se non disturbi i vecchi e nuovi manovratori,  abbozzi  e quindi non ti esponi alle critiche, nessuno ti fila e  puoi puntare deciso all’eternità. E questo resta, a mio parere, il suo vero obiettivo.

Ai meno attenti può assomigliare ad un leader amletico eternamente in lotta con la necessità di scegliere il proprio agire. Conflitto ben conosciuto dagli esperti di management. Il prototipo dell’indeciso cronico, il quale fa del non decidere, e quindi del non agire, uno stile di vita e di comportamento. Se però hai modo di osservarlo da vicino capisci che Sangalli ha una differenza sostanziale con il personaggio shakespeariano. Non è un uomo che combatte contro il suo destino. La sua arte è nel sopravvivergli comunque. Come peraltro molti personaggi pubblici  sono abituati a fare ogni giorno.

E non si tratta, si badi bene, solo di un problema  di anagrafe, sarebbe troppo semplice. È solo un classico esponente dalle qualità a mio parere mediocri e  spesso solo presunte condivise con  buona parte della classe dirigente italiana ormai in palese declino.

Per questo l’annuncio di un suo ipotetico auto-pensionamento pur controbilanciato da uno Statuto che gli consentirebbe un tramonto dorato e  sufficientemente lontano resta solo nelle menti di chi se lo auspicava. Come ci ricorda Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “È meglio un male sperimentato che un bene ignoto”.

Questo sembra essere il punto di raccordo tra lui e chi lo segue. Purtroppo però,  la Confcommercio, continuando così, corre il rischio di collassare su se stessa. Prima o poi. Perché a differenza del romanzo siciliano tutto non è destinato a rimanere com’è. Perché, su questa china, prima o poi, tutto finisce.

 

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