Che si arrivasse allo stallo attuale sui contratti nazionali della grande distribuzione era evidente a tutti già il giorno dopo la firma dei 4 CCNL presenti nella GDO.
Nell’ultimo incontro tenuto il 19 ottobre 2021 tra le organizzazioni sindacali Fisascat-Cisl, Filcams-Cgil e Uiltucs e Federdistribuzione la difficoltà ad arrivare ad una conclusione positiva del CCNL scaduto il 31 dicembre 2019 è emersa in tutta la sua dimensione.
Secondo il comunicato della Uiltucs “Federdistribuzione ha manifestato preoccupazione rispetto a due elementi che potrebbero seriamente incidere sul versante dei costi nel medio periodo: fiammata inflazionistica e riforma degli ammortizzatori sociali”. Per non registrare un nulla di fatto “si è stabilito, per il prosieguo del confronto, di dare vita a tre commissioni su classificazione, mercato del lavoro e relazioni sindacali”. Una commissione, purtroppo, quando si vuole prendere tempo, non si nega a nessuno.
Sul versante Confcommercio oltre alle medesime ragioni di preoccupazione, si aggiungono i venti euro circa di sconto che, concessi a suo tempo a Federdistribuzione, pesano sul tavolo negoziale come macigni. Mi immagino, ad esempio, il peso di quella differenza sul costo dei settantamila dipendenti circa di Conad che applica il CCCNL firmato da Confcommercio e sulla conseguente necessità di trovare soluzioni che consentano un riequilibrio. Altrimenti il riequilibrio rischia di essere proprio determinato dal “non” rinnovo per il tempo più lungo possibile.
Che la conquista di un proprio CCNL da parte di Federdistribuzione da aggiungere agli altri già sottoscritti avrebbe rappresentato una vittoria di Pirro l’ho scrivo da qualche anno. Oggi Federdistribuzione è oggettivamente più debole di quando era in Confcommercio. Ed è più debole anche Confcommercio. La pandemia ha cambiato lo scenario competitivo di riferimento e pensare che Frausin o Prampolini (visto l’evidente offside del Presidente di Confcommercio) possano interloquire con Draghi e compagnia per difendere i propri spazi competitivi e di crescita fa francamente sorridere.
L’unità del comparto non si raggiunge aggiungendo alla concorrenza tra insegne quelle tra associazioni di riferimento. Alla fine tutte sono oggettivamente più deboli. E sopratutto distinguersi in una gara al ribasso sul CCNL non ha frenato ma anzi ha moltiplicato la fuga da tutti i contratti principali di riferimento spingendo molte realtà a rifugiarsi, proprio seguendo fino in fondo, la logica del costo più basso, verso CCNL proposti localmente dai consulenti del lavoro.
Le principali organizzazioni negano per convenienza ma il fenomeno sta dilagando anche tra i loro associati. Chi va con lo zoppo, purtroppo. impara a zoppicare… E questo non mi scandalizza.
A molti sfugge che la proliferazione di questi contratti, come sostiene Mario Seminerio, “è la reazione adattiva di un sistema a bassa produttività ed elevati oneri strutturali; un sistema che condanna quindi alla povertà”. Difficile non scorgere dove rischiamo di approdare. Prima o poi.
Ci sono segnali, non solo in Italia, che andrebbero colti con maggiore capacità di interpretazione. Nei mestieri a diretto contatto con il pubblico negli USA si registrano carenze di personale tanto da spingere numerose aziende del comparto a promettere bonus extra retribuzione per attirare lavoratori stagionali. Daniel Kirgan responsabile risorse umane di Macy’s afferma “Offriamo una paga competitiva, orari flessibili e vari incentivi, come il weekend bonus program” e sottolinea che i dipendenti del colosso prendono bonus annuali che variano fra 304 e 5.855 dollari l’anno.
E non è solo un problema degli USA. In Europa sta succedendo la stessa cosa. Non è un caso che Amazon proprio in Italia accetti di negoziare sul salario. Vedremo come si metterà la ricerca di lavoratori stagionali per le imminenti festività natalizie del colosso di Seattle nel mondo. Alla LIDL in Belgio. si è appena concluso un lungo sciopero proclamato in diversi punti vendita sui carichi di lavoro ritenuti troppo pesanti.
Non bisogna essere facili profeti per capire che il clima sociale sta cambiando. Puntare su bassi salari, uguali per tutti, rinviare l’applicazione dei rispettivi CCNL mentre tutti gli altri comparti li chiudono, approfittare della debolezza del sindacato di categoria per non fare nulla, spinge il comparto della GDO in una situazione che lo accomuna a quei settori caratterizzati dal lavoro povero e quindi preda di contraddizioni e conseguenze, anche di tipo sindacale, facili da immaginare.
È chiaro che l’esigenza del comparto è avere un contratto unico declinato sulle esigenze specifiche. Spero che Confcommercio si ponga il problema, abbandoni propositi di rivincita e contemporaneamente si dedichi alla costruzione di un terreno comune dove si possano riconoscere anche i firmatari degli altri contratti in una prospettiva unitaria di rafforzamento dell’intero settore.
Difendere ciascuno la propria bandierina sta portando all’indebolimento dell’intero sistema di rappresentanza del comparto. Oggi, dovrebbero essere le imprese e le loro associazioni a sfidare il sindacato sul terreno del cambiamento necessario. Nei prossimi 5 anni la GDO tra riorganizzazioni, evoluzione dei formati, innovazioni, cercherà di cambiare pelle.
Sfidare il sindacato sui temi di interesse vero delle imprese, riscrivere la bilateralità e i suoi contenuti, essere parte propositiva sulle politiche attive fondamentali per gestire i passaggi che attraverseranno il settore e mettere al centro competitività e produttività dell’intero sistema è altra cosa che sperare di rinviare un adeguamento salariale dovuto e sottoscritto insieme alle organizzazioni sindacali.
Questa situazione è però destinata a non durare all’infinito. Lo capiranno gli imprenditori del comparto prima che sia troppo tardi?