Ha ragione Annamaria Furlan segretaria generale della Cisl ad essere preoccupata. Se gli interventi importanti a sostegno delle imprese voluti dal duo Calenda-Padoan verranno messi in contrapposizione a quelli necessari per pensionati e contratti condivisi dal duo Nannicini-Poletti si commetterà un errore grave perché è indubbiamente vero che gli interventi sul versante sociale costituiscono anch’essi un volano importante per i consumi e per l’economia. Occorre trovare, insieme, le risorse necessarie. Sette miliardi per i contratti, 2,5 per la previdenza. Questa sembrerebbe essere la richiesta sul tavolo tra Governo e Sindacati. All’inizio la proposta di Madia era di trecento milioni. Pochi prima, troppi adesso. Restando sul contratto della PA vorrei essere subito chiaro. A mio parere non esiste lo spazio per un contratto nazionale che recuperi lo stop di tutti questi anni. Occorre saper andare oltre. E, soprattutto, lo scambio inevitabile tra dare e avere deve essere chiaro, esigibile, trasparente e, finalmente, condiviso. Ci sono due elementi che potrebbero aiutare il negoziato aggiungendosi al quantum economico che il Governo può mettere sul tavolo per concludere la trattativa spalmandone i costi su più anni. Innanzitutto il tema dell’organico nei differenti comparti, della sua quantità, della distribuzione sul territorio, della necessaria mobilità e del livello di rimpiazzi possibili legati al turn over. E questo cercando di salvaguardare al massimo le problematiche dei lavoratori, pur all’interno di un contesto riorganizzativo complesso. In secondo luogo come e quanto redistribuire degli eventuali risparmi ricavati da questa operazione. Per la PA si tratterebbe del primo confronto nel quale il sindacato confederale si può presentare unitariamente come soggetto in grado di negoziare una riorganizzazione complessiva e concordata dopo la fase della concertazione di vecchio conio. Per farlo occorre il tempo necessario per coinvolgere i lavoratori del settore e quindi far crescere una nuova consapevolezza che sappia mettere ai margini tutte quelle forme di sindacalismo opportunista e radicale che si sono potute sviluppare negli anni per complicità con la politica e per errori dai quali lo stesso sindacalismo confederale non è rimasto immune. Le posizioni di partenza (300 mio vs. 7 mdi) sono ovvie e scontate. In ogni negoziato la fase della rappresentazione delle rispettive posizioni di partenza è inevitabile. E non serve banalizzarle. Occorre, al contrario, che i negoziatori siano credibili, che abbiano il mandato e conoscano a fondo la materia. Soprattutto un progetto serio su cui misurarsi. Oggi, nella PA le preoccupazioni sono diverse e diffuse. Non c’è una massa compatta, fordista, desiderosa di risposte egualitarie. C’è una grande consapevolezza della posta in gioco, così come del fatto che la riorganizzazione, comunque necessaria, può essere una grande occasione di coinvolgimento e partecipazione. Ma anche di un recupero di immagine necessaria presso l’opinione pubblica. Le proposte del Governo non sono certo neutrali. Così come la natura e la maggioranza che sostiene questo Governo che non dovrebbe essere sottovalutata dai sindacati. Ma anche la necessità di puntare decisamente sul merito, sulla formazione, sulla qualità del servizio al cittadino utente e sulla salvaguardia dei redditi più bassi. Questa però è un’occasione importante nella quale il sindacato confederale e di categoria potrebbero ritornare ad essere protagonisti e collegarsi al processo riformatore che è comunque in atto nel Paese e che può trovare in questa vertenza una conferma importante. Ma è un’opportunità anche per il Governo e per le forze politiche che lo sostengono. Gli ultimi segnali confermano la volontà di confrontarsi con il sindacato. Il ministro Madia è stato chiaro. Così come i sottosegretari coinvolti. Il negoziato ci sarà. Nessuno può sottrarvisi senza una motivazione profonda. In questa fase non serve farsi condizionare da chi preferirebbe far saltare il banco per altri fini. E, questa vicenda, non dovrebbe, in alcun modo, essere collegata al referendum o al suo presunto esito. Un rinnovo di contratto nazionale, seppure difficile e complicato come quello della PA, paga decenni di errori e di compromessi politici e sindacali e vive di dinamiche proprie. Però qualsiasi errore del passato non giustificherebbe un errore ben più grave che consiste nel non credere utile e possibile questo negoziato. È, credo evidente a tutti, che non si cambia la PA contro i lavoratori pubblici né consegnandoli all’estremismo inconcludente delle organizzazioni autonome. Occorre credere fino in fondo in questa opportunità e lavorare sotto traccia per una soluzione possibile evitando di ascoltare gli interventi interessati sollecitati dalle lobbies che non vogliono che il Governo storni risorse importanti in questa direzione. È un esercizio di riformismo nel quale le forze che vogliono cambiare il Paese si dovrebbero impegnare. Ciascuno dovrà fare la sua parte, Non solo il sindacato confederale.