Contratto dirigenti terziario: Un “rinnovamento” assolutamente necessario più che un semplice rinnovo.

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Ogni contratto nazionale è figlio della storia e del contesto che lo hanno prodotto. Non fa eccezione il contratto nazionale dei dirigenti del terziario. Chi, negli anni, lo ha costruito e negoziato (da entrambe le parti) ha avuto la lungimiranza di pensare a lungo termine. Cioè di capire che sarebbe stato necessario pensare non solo ai dirigenti nel momento della loro massima forza professionale individuale ma concentrandosi su quando questa capacità negoziale individuale sarebbe venuta meno.
Da lì un importante welfare previdenziale e sanitario di carattere marcatamente solidaristico e, in un secondo tempo, anche formativo, attraverso il Cfmt.
Intuizioni non da poco in una categoria, per sua natura, dominata da un forte individualismo.
Quindi l’anima, il cuore di questo contratto nazionale, la sua specificità e la sua ragion d’essere non sono mai state né la parte economica né il sistema di tutele peraltro presente anche in altri contratti. Ovviamente un welfare così decisivo e importante deve essere mantenuto efficace nel tempo, per rispondere alle esigenze dei dirigenti, ma anche efficiente e quindi in equilibrio economico per non pesare sulle imprese.
Questo è ottenibile solo se si rafforza un sistema di governance moderno e trasparente in un contesto effettivamente bilaterale. Quindi rispettoso del peso e del ruolo di entrambi.
Ed è chiaro che questo rappresenta e rappresenterà un tema ineludibile che deve essere affrontato. Non è materia di merito del CCNL ma precede o accompagna il suo percorso di rinnovo. Così come rappresenta un tema ineludibile, per le imprese, la necessità di mettere mano al sistema delle tutele o dei vincoli quando questi ormai rappresentano solo un costo eccessivo o hanno le loro radici in un passato che forse non ha più ragion d’essere.
Il CCNL dei dirigenti del terziario viene applicato da aziende di settori molto differenti. Il commercio ne rappresenta una minoranza. Alcune di queste aziende non hanno problemi di costo per questa specifica categoria, altre, e sono la maggioranza, sono, al contrario, estremamente sensibili. Inoltre per la Confcommercio c’è un problema di coerenza e di equilibrio in rapporto agli altri contratti firmati. E di questo occorre tenerne ben conto. Tutto ciò pone un secondo punto di riflessione.
Il termine “rinnovo contrattuale” nell’immaginario collettivo è sempre stato collegato alla necessità di migliorare le condizioni di una sola parte. Sia essa rappresentata da dirigenti, come in questo caso, o da altre categorie di lavoratori dipendenti.
È sempre stato così ma non è scritto nella pietra e, proprio per questo motivo, negli anni, questa certezza ha lasciato spazio alla constatazione che un rinnovo di contratto nazionale rappresenta un momento di confronto e verifica su ciò che dovranno essere le regole, vecchie o nuove, da confermare, aggiornare o abrogare per l’intera durata dello stesso. E siccome nulla è statico, tutto è modificabile. Ovviamente con l’accordo tra le parti. Quindi ha più senso parlare di rinnovamento concordato e necessario degli istituti contrattuali più che di rinnovo automatico.
I negoziatori meno esperti potrebbero pensare che, a certe condizioni, sia meglio non rinnovare alcun contratto come se il rifiuto di affrontare uno o più temi li possa di per sé esorcizzare.
È un errore che spesso compiono i neofiti della contrattazione o i sindacati ideologici. Il risultato è semplice: un sindacato che non firma contratti è destinato a non contare più nulla. I temi sul tavolo non vanno sottaciuti o sottovalutati. Vanno affrontati e risolti con autorevolezza e lungimiranza. Il punto centrale resta la qualità dello scambio. Ciò che si lascia in rapporto a ciò che si ottiene. È questo non in astratto ma in un determinato contesto economico del Paese.
E se da un lato, al sindacato dei dirigenti preme allargare la propria platea di riferimento, rafforzare il sistema formativo o sostenere i colleghi nei casi di transizione tra differenti opportunità di lavoro, alle imprese interessa muoversi in un contesto di riduzione di ambiguità interpretative, e che gli eventuali costi se mai dovessero esserci siano comunque compensati da contropartite certe e misurabili. Oggi siamo qui, ancora fermi al palo. Riprendere il confronto con l’idea di arrivare ad una conclusione vuol dire comprendere fino in fondo la necessità di lavorare per ottenere questo riequilibrio. Personalmente non vedo altre vie praticabili.

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