Il rinvio in autunno del negoziato per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici è la dimostrazione che le distanze tra le parti sono ancora profonde. E non solo sul salario. E, come sempre accade quando non si individua un via di uscita praticabile, altre intransigenze potrebbero emergere. E questo indipendentemente della volontà costruttiva di FIM e UILM impegnate a sollecitare alla controparte una maggiore disponibilità sul terreno salariale e determinate a voler proseguire il negoziato fino alla sua conclusione. Al di là della richiesta di sciopero generale avanzata dalla FIOM due recenti segnali confermano questo rischio. Il primo è rappresentato dal CCNL firmato in luglio con CONFIMI da FIM e UILM seguito dalle dichiarazioni della FIOM che non lasciano spazio ad equivoci. FIOM infatti ha dichiarato: “La rappresentanza (di CONFIMI) è limitata solo ad alcune e poche aziende presenti in pochissime province; in quelle stesse imprese, la FIOM è largamente maggioritaria e la presenza di FIM e UILM o è residuale o non c’è”. E ancora: “L’intesa sottoscritta tra CONFIMI, FIM e UILM non è rappresentativa né per le imprese né per i lavoratori e non costituisce un avanzamento nelle relazioni industriali”. Da queste affermazioni se ne deduce che solo la FIOM e solo CONFAPI sarebbero in grado di garantire queste condizioni. Due dichiarazioni queste, oltre che scarsamente realistiche, molto chiare che ribadiscono una vecchia cultura egemonica radicata che riemergerà non appena Federmeccanica deciderà di lanciare qualche disponibilità concreta al confronto. Il secondo segnale è la piattaforma che la FIOM ha presentato a Brescia e che, credo, discuterà in solitaria con CONFAPI. Leggendola si ha la netta impressione che questa organizzazione non riesca ancora a prendere atto che i toni e i contenuti delle proprie proposte e delle proprie liturgie sono fuori dal tempo. Sono ovviamente legittime ma completamente starate per la realtà alla quale si dovrebbero rivolgere. In quarant’anni di mestiere non ho mai letto un testo così ardito di fantascienza contrattuale applicato alla situazione delle piccole imprese metalmeccaniche di oggi. La realtà, ovviamente è tutt’altra e lo sanno tutti, FIOM compresa. Ed è rappresentata dal numero significativo di piccoli imprenditori (in gran parte contoterzisti) che non hanno tempo né voglia di leggere astrusi testi contrattuali di vecchio conio, che non si riconoscono in alcuna associazione e vivono il sindacato esclusivamente come un generatore infinito di problemi di cui, di questi tempi, ne farebbero volentieri a meno. La loro aspettativa è quella di avere un contratto nazionale di riferimento che fissi diritti e doveri e che consenta loro di retribuire correttamente i propri collaboratori. Il resto è veramente privo di senso, oggi. FIM e UILM con il contratto appena firmato con CONFIMI (il cui seguito non è molto diverso dall’altra associazione datoriale) hanno tentato, al contrario, di costruire un testo più realistico, concreto e praticabile. E, in questo modo, provare a mettere a disposizione delle imprese e dei lavoratori qualcosa di utile. La FIOM, no. Presenta a se stessa un documento improponibile, se lo approva all’unanimità pur sapendo che nessuna piccola azienda lo potrà mai applicare in quei termini. E forse ci avvia pure una consultazione alla quale parteciperà realisticamente una sparuta minoranza di lavoratori. Ovviamente tutto questo non porterà a nulla salvo complicare ulteriormente il percorso unitario e segnalare a Federmeccanica la necessità di tenere il punto fermo con forza. Mi verrebbe da dire un grande capolavoro di strategia. Sinceramente credevo che l’iniziativa unitaria, pur preceduta da piattaforme distinte, celasse la volontà, da parte della FIOM, di rientrare in gioco con un tasso di realismo maggiore soprattutto in grado di riprendere un ruolo di riferimento utile e concreto tra le diverse organizzazioni sindacali che consentisse a tutti di lasciare alle spalle i residui di fordismo e di ideologia che ancora pervadono il vecchio contratto. FCA e altre realtà imprenditoriali hanno dato un segnale chiaro a tutte le imprese. I riti e le liturgie sindacali del passato possono essere superati senza grandi ripercussioni concentrandosi su ciò che interessa veramente alle aziende e ai lavoratori puntando sul coinvolgimento e sulla collaborazione. Federmeccanica ha costruito intorno alla proposta di “rinnovamento contrattuale” un legame positivo tra ciò che le aziende già fanno e un ruolo possibile per le rispettive rappresentanze in un modello decisamente post fordista che non sia da freno nella competizione globale. Dall’altra parte il rinnovo del contratto può diventare, anche per il sindacato, l’occasione per costruire e adeguare parte della propria strumentazione inserendola in una strategia di cambiamento. Se così non fosse lo scontro non sarà solo sulle modalità di erogazione del salario ma sull’architrave stessa su cui regge l’idea di rinnovamento contrattuale proposto da Federmeccanica. Quindi un percorso il cui esito potrebbe essere veramente dannoso per tutti. Così come rischia di abortire la stessa strategia della “corresponsabilità” caldeggiata dal nuovo Presidente di Confindustria su cui vorrebbe costruire le nuove relazioni industriali. Per questo credo che, a questo punto, solo un allineamento tra i due tavoli (confederale e di categoria) possa consentire una tenuta unitaria convincente sul merito. Ma solo se questo continuerà a rappresentare un punto irrinunciabile per tutto il sindacalismo confederale.