Le recenti dichiarazioni di Rocco Palombella della UILM sulla possibilità di ricorrere allo stato di agitazione per superare lo stallo del negoziato indurrebbero a pensare che la trattativa dei metalmeccanici sta scivolando verso una deriva di segno antico. Le stesse preoccupazioni, pur senza tirare affrettate conclusioni, le ha espresse Marco Bentivogli a nome della FIM. Del resto, l’anomalia di una vicenda che vede sul tavolo tre piattaforme diverse alle quali si è sovrapposta in corso d’opera una proposta sindacale unitaria di riforma della contrattazione che individua percorsi difficilmente praticabili, è evidente. Visto da fuori il nodo sembrerebbe sostanzialmente rappresentato dalla proposta economica di Federmeccanica che, a giudizio unanime, coprirebbe solo una fetta modesta dell’intera categoria. E questo non è accettabile per nessuno dei tre sindacati. Quindi lo stallo e le reazioni conseguenti sembrerebbero inevitabili. Se così fosse qualsiasi tentativo di innovazione condivisa di metodo e di contenuto tramonterebbe cedendo il passo alla tentazione di ritornare su terreni noti innescando reazioni e contrasti con il corollario di accuse e contro accuse. Ma questa situazione potrebbe offrire anche interessanti opportunità di cambiamento vero se le parti dimostrassero di essere veramente animate dalla volontà di gettare le basi di una svolta profonda. Innanzitutto è impensabile che, in una categoria che vede, secondo dati sindacali, il 70% dei lavoratori coperti dalla contrattazione aziendale si ipotizzi un aumento nazionale certo solo per il 5% dei lavoratori. Questo significa che per circa il 25% del totale non ci sarebbe nulla per tutta la durata contrattuale. Diverso sarebbe un meccanismo che anziché fotografare il passato prenda in considerazione l’arco di tempo relativo alla durata futura del CCNL ipotizzando eventualmente tranche di copertura laddove non si sviluppi la contrattazione aziendale. Questo meccanismo di spostamento al secondo livello otterrebbe, tra l’altro, l’obiettivo di iniziare a variabilizzare parte del salario legandolo a necessari recuperi di produttività e al coinvolgimento dei lavoratori su obiettivi aziendali certi e misurabili. Quindi renderebbe coerente il salario contrattato sia a livello nazionale che aziendale ad un percorso collaborativo già realizzato, come sembrerebbe, in altre punti del negoziato in corso. D’altra parte l’eventualità di “marciare divisi per colpire uniti” avendo sul tavolo due piattaforme sindacali mi sembra di difficile praticabilità. Così come quella di trovare nelle proposte confederali il bandolo della matassa perché questo troverebbe assolutamente indisponibile la controparte datoriale che non sembra aver alcuna intenzione di sommare i costi dei due livelli. D’altra parte, se i metalmeccanici vogliono realizzare un vero giro di boa del sistema contrattuale del nostro Paese, devono segnalare chiaramente la volontà di rilanciare un contesto collaborativo e costruttivo che sappia integrare (e non sommare) i livelli della contrattazione e i suoi contenuti lasciando alla contrattazione aziendale il compito di consolidare una svolta che farebbe da apripista a quelle categorie dove esiste praticamente solo il CCNL e che non sono ancora attrezzate per un sistema misto. Nella stesso tempo Federmeccanica deve dimostrare che la svolta collaborativa non è strumentale ma è veramente finalizzata a cambiare il sistema delle relazioni sindacali. Su questo credo si giochi molto della credibilità delle parti in causa e della volontà di andare avanti. Per queste ragioni preferisco puntare su di un esito diverso e costruttivo di questa fase di evidente stallo e non mi unisco al coro di chi dà già per persa la partita.