Doveva finire così. Ed è finita bene. Lo sciopero di categoria, la ripresa del confronto, la lunga volata finale, le notti insonni. Un rito che nei metalmeccanici mantiene una sua caratura particolare. Roba per negoziatori veri e fino all’ultimo secondo perché il contratto deve essere conquistato, argomento per argomento, parola per parola.
Un negoziato anomalo, diverso da tutti gli altri, catapultato in piena pandemia, con alla base una piattaforma sindacale in parte superata dal contesto e condotta attraverso numerose videoconferenze e poche plenarie tradizionali. Una sorta di “remote negotiation” quasi a voler rappresentare plasticamente un aspetto della nuova fase del lavoro.
Forma e percorso anomalo non hanno però impedito di riaffermare la sostanza innovativa che conferma anche in questo negoziato la centralità e l’importanza del lavoro. Un buon contratto si distingue sempre dall’elemento che lo caratterizza e che ne determina la sua ragion d’essere, la sua particolarità, la sua necessità. Soprattutto se e quando riafferma una strategia e persegue una convinzione condivisa.
La costruzione della stessa piattaforma di categoria aveva risentito dei ritardi e delle contraddizioni della fase precedente e per questo avrebbe potuto pesare negativamente sul percorso producendo contrapposizioni strumentali. Così non è stato. Nessuno ha giocato a dividere né nessuno ha mai pensato di rompere pur avendo sul tavolo il tema della contrattazione aziendale che non è decollata a sufficienza, come era negli auspici del sindacati così come lo stesso diritto soggettivo alla formazione. Federmeccanica è riuscita ad inserire questi elementi in un percorso da realizzare comunque ma che necessitano inevitabilmente di tempi di maturazione più lunghi della durata di un contratto nazionale.
Il rischio che una deriva salarialista prendesse il largo proprio a partire da questo contratto (vista la richiesta iniziale di 153 euro) e contagiasse altri negoziati è stato contenuto. Il risultato, comunque significativo, visti i tempi, di 112 euro in tre anni e mezzo (scadenza al giugno 2024). Con il 2020 coperto da 12 euro di aumento in forza dell’ultrattività del contratto scaduto a fine 2019. A questo si aggiungono 200 euro l’anno sotto forma di welfare. Per la stessa controparte datoriale, quello trovato è un punto di incontro accettabile. Federmeccanica e le imprese metalmeccaniche, soprattutto quelle che contano al tavolo negoziale vogliono che il governo del salario e del lavoro resti alle parti sociali e quindi, con la firma, hanno ribadito l’importanza assegnata al CCNL. Un altro altolà sulla strada del salario minimo di legge.
Nel merito, è un buon compromesso.
Innanzitutto conferma la centralità delle relazioni sindacali, la legittimazione reciproca e quindi il rispetto dei ruoli che, di questi tempi, non è affatto scontata. Non c’è alcuna voglia di “sconfiggere” né di “respingere” tesi o atteggiamenti. C’è ascolto reciproco, stima e voglia di ripartire insieme.
Il testo conferma la rinnovata centralità del lavoro, della sua qualità e dei necessari cambiamenti da gestire insieme. La sua traduzione concreta è in continuazione e in sintonia con le logiche del contratto precedente, e con la filosofia del “patto della fabbrica”.
La conferma e lo sviluppo del welfare contrattuale segnano una direzione di marcia sul tema condivisa ormai unitariamente che il testo rafforza. La novità della parte relativa all’inquadramento professionale è però fondamentale per capire il senso della salto di qualità. È la vera novità di questo contratto. È il “terzo asse” di confronto da sempre auspicato dalla parte più innovativa del sindacato. Al tradizionale recupero dell’inflazione e al confronto sulla produttività (sul come crearla e su come condividerla), c’è, per la prima volta, il riconoscimento reciproco del valore del lavoro che entra finalmente in gioco con questo contratto. Ed è un valore condiviso.
Il confronto, dopo la presentazione della proposta di Federmeccanica, non si è quindi concentrato sulla richiesta del classico grimaldello necessario per contrattare le nuove categorie cosa che avrebbe preoccupato non poco le imprese. Si è concentrata sulle regole del gioco, sulla qualità del lavoro, le sue modalità e i suoi tempi quindi il lavoro nella sua accezione più ampia è messo al centro da entrambe le parti.
Non solo il necessario riconoscimento contenuto nelle nuove declaratorie ma anche il concetto di professionalità individuale, della sua valorizzazione e del suo sviluppo. Elemento fondamentale che si lega indissolubilmente al diritto soggettivo alla formazione.
Per chiudere il cerchio di questa prima riflessione sarà ovviamente decisivo un prossimo salto qualitativo e quantitativo della contrattazione aziendale di categoria vero luogo di conferma delle traiettorie del contratto nazionale appena sottoscritto e del “patto della fabbrica”. Ma questo è un altro capitolo.